Toscana
Villaggio del Fanciullo: sessant’anni di carità dalla parte dei ragazzi
di Rita Camilla Mandoli
Domenica 27 maggio il Villaggio del Fanciullo a Lucca compie 60 anni. Ma nel cuore dei lucchesi è come se esistesse da sempre. Essi lo hanno voluto, lo hanno fatto nascere e adesso ne vogliono celebrare l’anniversario assieme a don Enzo e don Diomede, due sacerdoti che ne sono l’anima.
L’organizzazione interna prese a modello la «Città dei ragazzi» di Padre Flanagan, nata e fiorita in America, introdotta in Italia da monsignor Giovanni Patrizio Carrol-Abbing che proponeva un nuovo metodo pedagogico. La legge del Villaggio era basata sul principio dell’autogoverno. La Costituzione era fondata sul principio che ogni cittadino doveva essere libero di compiere il proprio dovere, leale in tutte le cose, responsabile dei propri atti. Il programma educativo voleva condurre il giovane traviato a essere un uomo completo e un onesto cittadino. Sono episodi di vero eroismo, da parte di tanti ragazzi, per riuscire nella loro formazione. Non mancano deficienze. Questo si deve non a una mancanza di tensione verso il meglio, bensì all’incostanza dell’età evolutiva, alla mancanza di mezzi necessari di cui soffre il Villaggio. Spinti dal desiderio di poter migliorare la propria vita all’interno di quell’Istituto, i fanciulli tolti dalla strada erano incuranti dei numerosi ostacoli che dovevano affrontare.
I primi di giugno, purtroppo, i giovani del Villaggio dovettero abbandonare i locali sul Baluardo Cesare Battisti, per far spazio all’asilo Regina Margherita. Essi andarono ad abitare a palazzo Bottini e cominciarono a cercare il modo di guadagnarsi la cena presso la Mensa popolare.
Mentre don Mei girava per gli uffici, spostandosi da un ente altro, per cercare i «mezzi» ed i piccoli restavano a casa per le pulizie i ragazzi più grandi di buon’ora cominciavano a partire. Divisi a gruppetti, con tanto di carretto, percorrevano le campagne alla ricerca di ferro vecchio, stracci, ecc. che poi rivendevano. Il loro lavoro fruttò un bel gruzzoletto: guadagnarono trentunmila lire che utilizzarono per pagarsi la cena.
Al finire dell’estate, come di consueto, l’asilo Regina Margherita sgomberò i locali permettendo, il 15 settembre, al direttore ed ai suoi fanciulli di ritornare al Baluardo Cesare Battisti. Fu in questa occasione che li raggiunse don Enzo Tambellini, un giovane sacerdote, ordinato da pochi mesi, che aveva subito mostrato interesse verso questa iniziativa a favore dei ragazzi in difficoltà. «Il primissimo nucleo comprendeva fanciulli provenienti prevalentemente dai quartieri più poveri della città: Pelleria, Cittadella e il Bastardo» ricorda don Enzo.
I locali non erano sufficienti e, per poter far fronte alla crescente domanda di ospitalità, venivano utilizzate grandi tende adibite all’istruzione, alle riunioni e usate come dormitorio per dieci persone circa.
I due sacerdoti si occupavano di problemi diversi: l’attenzione principale di don Natale era rivolta alle difficoltà interne, mentre a don Enzo era affidato l’esterno: in particolare egli si occupava, infatti, di sollecitare la carità.