Toscana

Moby Prince, misteriosa aggressione riapre il caso

L’aggressione subita da Fabio Piselli, ex parà della Folgore ed esperto in spionaggio elettronico “ma non consulente per i fatti del Moby Prince”, potrebbe essere legata ai fatti che portarono alla collisione tra il traghetto della Moby Line diretto a Olbia e la petroliera Agip Abruzzo, avvenuta il 10 aprile 1991. Lo sostiene, in sintesi, lo stesso Piselli che racconta l’aggressione subita venerdì scorso a Tirrenia (Pisa) e i retroscena che, secondo la sua interpretazione, starebbero dietro a questa. Piselli aveva deciso di avviare indagini personali sulla morte del cugino Massimo Pagliuca, morto affogato al largo dell’ Isola di Capraia. Pagliuca “era membro della Defence intelligence agency presso l’ambasciata americana a Roma – ha detto Piselli – e subito dopo la collisione del Moby Prince accompagnò a Camp Darby (la base americana che si trova al confine tra Pisa e Livorno) l’addetto militare dell’ ambasciata. Tre anni dopo – sostiene Piselli – è morto in circostanze misteriose: Massimo era un ex parà, provetto sommozzatore eppure è morto affogato”. Sulla circostanza della morte del cugino, Piselli incontra un uomo (sul quale, dice, “non è possibile dare informazioni”) che gli fornisce alcuni episodi relativi a movimentazione di armamenti “non istituzionali dalla base di Camp Darby” durante la notte della collisione. Una tesi, questa, che emerse già ai tempi delle indagini senza mai trovare riscontro oggettivo, ma che secondo Piselli potrebbe mettere in contatto la morte del cugino e quanto avvenne la notte della tragedia del Moby Prince nel porto labronico. Piselli decide “di incontrare l’ avvocato Carlo Palermo, parte civile nel processo Moby Prince, raccontargli tutto e fargli incontrare questa persona” e prende appuntamento con Palermo in un albergo di Pisa per la sera. “Ho fatto salire sulla macchina questa persona: in macchina avevo un palmare che stava registrando l’ incontro. Ci siamo avviati. Poi siamo scesi ed è avvenuta l’ aggressione”. Aggressione che si è svolta così, secondo il racconto di Piselli: “Mi hanno afferrato da dietro e colpito con il gomito alla testa, spezzandomi il respiro con una ginocchiata al fianco. Erano quattro, con il mephisto, del tipo di quelli utilizzati dai corpi speciali delle forze armate. Mi hanno messo a terra costringendomi con un ginocchio sullo sterno e mi hanno costretto ad aprire la bocca dove hanno infilato una sostanza amarognola. Subito – continua Piselli – ho avvertito un forte bruciore al petto e tachicardia. Ho perso i sensi e mi sono svegliato in auto a causa del fumo acre che stava riempiendo l’ abitacolo. Sono riuscito a uscire dallo sportello posteriore, appena in tempo per vedere avviare l’ incendio”. Secondo Piselli, “è stato utilizzato un innesco infiammante a lenta combustione”. Il palmare è andato distrutto nell’incendio e dell’informatore non c’era traccia. Il cellulare di Piselli – racconta lui stesso ed hanno confermato gli inquirenti- è stato ritrovato da un militare a Lido di Tirrenia, davanti agli stabilimenti balneari riservati agli Incursori dell’esercito, il Col Moschin. E’ stato consegnato ai carabinieri e da questi poi alla polizia che sta indagando sull’aggressione. MOBY PRINCE: 16 ANNI DOPO, UN DISASTRO ANCORA OSCUROIL FATTO – Il traghetto Moby Prince salpa alle 22 del 10 aprile 1991 dal porto di Livorno, diretto ad Olbia. A bordo ci sono 141 persone: l’equipaggio e alcuni turisti. Alle 22,25 il traghetto entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, ancorata in rada, e si incendia. Il traghetto viene individuato alle 23,35. Unico superstite un mozzo, aggrappato per più di un’ora all’unico bordo della nave non avvolto dalle fiamme.

I PROCESSI – Il 31 ottobre 1997 i giudici del tribunale di Livorno assolvono i quattro imputati dall’accusa di omicidio colposo “perché il fatto non sussiste”. Nella motivazione, si parla di “avventata fiducia nella guida a vista, non confortata neppure da una pur saltuaria verifica al radar, invalidata da sostanziale negligenza e disattenzione”. Il processo d’appello si svolge per un solo imputato, il terzo ufficiale della Agip Abruzzo. La Corte d’ appello di Firenze lo ritiene responsabile di disastro colposo e omicidio colposo plurimo, ma riconosce l’ intervenuta prescrizione dei reati. Due settimane dopo, il pretore di Livorno assolve l’ ex nostromo della ‘Moby Prince’ e l’ ispettore della Navarma, accusati di frode processuale per un presunto tentativo di manomissione delle timonerie. La seconda sentenza viene confermata in appello il 10 luglio 1998 e in Cassazione il 18 marzo 1999.

LA RIAPERTURA – A ottobre del 2006 la Procura di Livorno riapre le indagini dopo un esposto presentato dall’ avvocato Carlo Palermo (ex giudice), che ipotizza uno scenario con navi militari americane impegnate in misteriosi movimenti di armi nel porto livornese. A luglio di quest’anno, il pm Antonio Giaconi ha anche ascoltato, come persona informata dei fatti, il senatore a vita Giulio Andreotti, presidente del Consiglio all’epoca dei fatti.

I MISTERI – Ancora misteriose le cause del disastro. Le ipotesi hanno preso in considerazione la nebbia, l’eccesso di velocità, un’esplosione, un guasto alle apparecchiature di bordo. Si è parlato anche di soccorsi partiti in ritardo a causa della trasmissione in tv della semifinale di Coppa Uefa fra Juventus e Barcellona. Per i familiari delle vittime, la strage del Moby Prince è un'”Ustica del mare”. (ANSA).

Il sito delle vittime del Moby Prince

VITTIMA AGGRESSIONE DA PM; MAGISTRATI, PRUDENZA