Toscana

Il Papa in Usa: una Chiesa «ringiovanita» nonostante gli scandali

di Marco Lapi

Un osservatorio decisamente privilegiato per seguire la visita del Papa in America è stato quello di Marco Bardazzi, quarantenne pratese, dal 2000 corrispondente dell’Ansa dagli Stati Uniti, ma anche autore di diversi libri (tra cui una biografia di Benedetto XVI), membro del comitato editoriale della rivista internazionale Oasis, promossa dal Patriarca di Venezia Angelo Scola, e portavoce dell’edizione 2007 del Meeting di Rimini. Dopo aver vissuto a New York e seguito per la sua agenzia l’attacco dell’11 settembre 2001, nei giorni scorsi ha potuto vedere il pontefice inginocchiato a Ground Zero.

Marco, quale Chiesa ha trovato il Papa al suo arrivo in America?

«Ha trovato una Chiesa solida, ma che vive un rischio di fondo, quello di “protestantizzarsi”. Alle sfide del secolarismo non si può rispondere solo con precetti etici, ma con la presenza e con la consapevolezza che la fede cristiana, come ha detto il Papa parlando nella Basilica dell’Immacolata Concezione a Washington, “è essenzialmente ecclesiale, e senza un vincolo vivo con la comunità, la fede dell’individuo non crescerà mai sino a maturità”. Il rischio, in caso contrario, è quella che Benedetto XVI ha descritto come “un’apostasia silenziosa”. Un lento allontanarsi dalla Chiesa per fare della fede una faccenda privata che alla fine è ridotta a momenti di devozione slegati dalla vita quotidiana e dalle sfide di tutti i giorni…».

E invece, secondo te, quale Chiesa ha lasciato?

«Credo che, dopo sei giorni straordinari e ricchi di “miracoli”, Benedetto XVI abbia lasciato una Chiesa ringiovanita, come lui stesso è apparso ringiovanire in America. Ma tornando alla domanda precedente, vorrei sottolineare che il Papa ha anche esortato a superare le divisioni teologiche che hanno caratterizzato la Chiesa americana: “Una delle grandi delusioni che seguirono il Concilio Vaticano II, con la sua esortazione a un più grande impegno nella missione della Chiesa per il mondo – ha detto infatti nell’omelia nella cattedrale di St. Patrick, a New York – penso sia stata per tutti noi l’esperienza di divisione tra gruppi diversi, generazioni diverse e membri diversi della stessa famiglia religiosa. Possiamo andare avanti solo se insieme fissiamo il nostro sguardo su Cristo!”».

Sui media italiani si parla del cattolicesimo negli Usa solo per lo scandalo dei preti pedofili. Ma qual è la reale situazione tra la gente? Ispanici e cattolici originari di paesi europei come Italia e Irlanda che peso hanno rispetto alla totalità dei fedeli?

«La vicenda dei preti pedofili ha senza dubbio segnato la Chiesa americana in questi anni e il Papa l’ha messa costantemente al centro delle sue riflessioni. Ma la vera rivoluzione in corso nel mondo cattolico americano è segnata dal fenomeno dell’immigrazione. La Chiesa cattolica, secondo i sondaggi, è quella che perde più fedeli che passano ad altre denominazioni, eppure in termini numerici non diminuisce proprio perché è alimentata continuamente dall’arrivo di immigrati dall’America Latina. La tradizionale base di immigrati irlandesi e italiani si va riducendo, e la Chiesa cattolica americana, come gli Stati Uniti in genere, parla sempre più spagnolo. Molti altri fenomeni caratterizzano però il cattolicesimo americano di oggi. Le università cattoliche, per esempio, sono luoghi di grande ricchezza culturale e hanno un peso crescente».

I dati di fine 2005 dicono che i cattolici in America sono quasi 67 milioni, pari al 22,6% della popolazione, e che possono contare su un sacerdote ogni 1477 abitanti. I candidati al sacerdozio sono 5865, una cifra considerevole. Pur con tutta la prudenza necessaria richiamata dal Papa stesso (meglio pochi ma buoni) sembra quindi che le vocazioni godano di ottima salute…

«In realtà, seppure alte in termini numerici, le vocazioni sono in calo e allarmano la Chiesa. Ma è vero che si notano segnali di cambiamento. Le nuove generazioni di americani, quelle cresciute nell’atmosfera tesa del dopo-11 settembre, mostrano un crescente impeto a dedicare la vita non tanto agli ideali del successo imprenditoriale, come accadeva negli anni Novanta del boom della New Economy, ma a proposte più “impegnative”. In quest’ottica, il sacerdozio appare affascinante, nonostante l’innegabile crisi creata dallo scandalo della pedofilia. Se non fosse ormai ridotta a un’espressione che rischia la banalità, si potrebbe dire che i giovani americani riscoprono i “valori”. È anche l’effetto di una società oggi più religiosa che nel recente passato, sicuramente più di quello che accadeva negli anni ’60 o ’70».

Ma come riesce a compenetrarsi la fede cristiana con la società e la mentalità americana, sempre che sia corretta l’idea dell’America che in Europa solitamente abbiamo?

«Ciò che del Papa ha più colpito gli americani, in questi giorni di visita, è stato l’accento positivo con cui ha descritto gli ideali e la religiosità degli Stati Uniti. “Storicamente, non solo i cattolici, ma tutti i credenti hanno qui trovato la libertà di adorare Dio secondo i dettami della loro coscienza – ha detto – essendo al tempo stesso accettati come parte di una confederazione nella quale ogni individuo ed ogni gruppo può far udire la propria voce”.È stato evidente che il Papa vede nel modello americano una sorta di antidoto al modello di società “post-cristiana” che domina in Europa, pur mettendo in guardia sui rischi di un individualismo esasperato o di una religiosità fatta di molto feeling e pochi contenuti. In generale, però, Benedetto XVI ha mostrato di comprendere il cuore della realtà americana, senza lasciarsi deviare dalle distorsioni, le caricature e gli stereotipi con cui l’America viene descritta in Europa».

Quali sono i rapporti tra le diverse confessioni religiose?

«Sono assai migliori che in passato. Il Papa ha incontrato i leader delle varie religioni a Washington che gli hanno espresso la loro ammirazione e il desiderio di camminare insieme. A New York l’incontro nella sinagoga è stato commovente. Ma non è solo una questione di rapporti tra capi delle Chiese. Anche a livello di fedeli va scomparendo per esempio l’odio anti-cattolico di un tempo tra i protestanti, sostituito dalla consapevolezza che su molti temi – quali l’aborto, i limiti della ricerca scientifica, la difesa della famiglia – c’è abbondanza di terreno per lavorare insieme. Nello stesso tempo, però, il fenomeno delle megachiese create da carismatici pastori che raccolgono decine di migliaia di persone, resta complesso da decifrare: il rapporto tra le confessioni con una lunga tradizione e questi leader religiosi superstar non è semplice».

Quattro anni fa è uscito un tuo libro, «Sotto il cielo d’America», che parla dell’incontro di diverse persone con il movimento di Cl. Quale è, più in generale, il ruolo dei movimenti nella Chiesa d’America?

«Pur essendo una realtà relativamente nuova nel panorama statunitense, quella dei movimenti è una linfa che si sta diffondendo sempre più nella pianta del cattolicesimo americano, rinvigorendola. Comunione e liberazione è presente in oltre 130 città americane, come è stato riferito anche al Papa in un incontro a Manhattan nei giorni scorsi con alcuni ciellini. Comunità consistenti del movimento dei Focolari o dei neocatecumenali sono presenti e assai attive in tutti gli Usa. Realtà come la Comunità di Sant’Egidio godono di grande stima a Washington e New York, dove i suoi esponenti sono ascoltati in luoghi come il Dipartimento di Stato o l’Onu. Lo stesso Benedetto XVI, nel corso del suo viaggio, ha esortato i vescovi americani a essere aperti e ricettivi di fronte ai movimenti e al laicato cattolico in genere, indicando questo mondo variegato come una risorsa preziosa per la Chiesa americana».