Toscana

India, cristiani perseguitati

L’agenzia missionaria AsiaNews ha stilato una sorta di bilancio dell’ondata di violenze che dal 23 agosto sta scuotendo l’Orissa. La sera di sabato 23 agosto, a poca distanza dalla notizia della morte del leader indù, Swami Laxanananda Saraswati e di cinque suoi adepti, due suore del Preziosissimo Sangue a Kothaguda vengono fermate e fatte scendere dal veicolo al quale viene dato fuoco. Il conducente è picchiato selvaggiamente; quasi in contemporanea un’altra vettura che trasporta delle religiose vicino a Ainthapally, nel Sambalpur, è fermata e data alle fiamme.La mattina di domenica 24 agosto cominciano gli assalti. Verso le 17.30 viene assaltato il centro sociale Jan Vikas, dell’arcidiocesi di Cuttack Bhubaneswar. Mezz’ora più tardi viene attaccato e danneggiato il centro pastorale di Divya e poi il presbiterio di Baliguda. Attacchi simili si registrano alla chiesa cattolica di Kanjamedi, seguita da altre tre chiese. Nella notte vengono dati alle fiamme anche 12 negozi appartenenti a Dalit di fede cristiana. Violenza sessuale ai danni di una giovane suora cattolica della diocesi di Cuttack Bhubaneswar che lavorava per i servizi sociali di Nuagaon.

Lunedì 25 agosto: alle 7 alcuni seguaci del leader radicale indù, Laxanananda Saraswati, prendono d’assalto la chiesa cattolica di Phulbani, causando gravi danni. Segue assalto alla casa vescovile e alla curia di Bhubaneswar, frenato a stento dalla polizia. Verso le 13 viene assalito e picchiato Jamai Pariccha, direttore del Gramya Pragati, ente cattolico impegnato nei servizi di assistenza. Un episodio simile si registra un’ora più tardi nell’abitazione di un insegnante cattolico –Puren Nayak – a Bhudansahi, la cui casa è data alle fiamme. Nel pomeriggio vengono ucccisi la missionaria laica Rafani Majhi di 21 anni, arsa viva mentre cercava di salvare gli ospiti di un orfanotrofio della missione di Bargarh, e un uomo, anch’egli bruciato vivo a Kandhamal. Nell’attacco all’orfanotrofio è ferito in modo grave anche un prete. P. Thomas Challan, direttore del Centro per la pastorale diocesana a Kanjimendi e una religiosa, Suor Meena, sono feriti gravemente durante l’assalto al Centro pastorale, distrutto dalle fiamme.

La sera del 25 viene presa di mira anche la parrocchia di Sankrakhol, saccheggiata e data alle fiamme. Il parroco, p. Alexandar Chandi, si salva nascondendosi nella vicina foresta. Attaccato anche il convento di S. Giuseppe, le suore si salvano facendo perdere le proprie tracce all’interno della foresta. Verso le 23.30 vengono saccheggiate 17 case di cristiani a Raikia. Sempre il 25 ancora assalti a chiese in varie zone del distretto fra cui: la Pentecostale a Budamaha, la chiesa di Masadkia, la chiesa di Pisermaha, la battista e la redentorista a Mondakia, la chiesa di Mdahupanga. Una pattuglia di poliziotti è messa a guardia della chiesa di Jeypore: secondo fonti della sicurezza oltre 200 fondamentalisti erano pronti ad assaltarla. Nel distretto di Bargarh 2 mila fanatici assalgono e distruggono molte chiese, prendendo di mira preti e suore. A Padampur, p. Edward Sequira è picchiato e ferito gravemente. A Tiangia un fedele cattolico, Vikram Nayak, viene letteralmente fatto a pezzi da una folla inferocita. Altri due sono feriti nell’assalto, morendo nelle ore successive.

Martedì 26 agosto, nel villaggio di Tingia, tre persone muoiono per gli incendi appiccati alle loro abitazioni. Una folla prende di mira il villaggio di Badimunda, nel distretto di Kandhamal: la locale chiesa e cinque case sono date alle fiamme. I due missionari, un verbita e un gesuita, padre Simon Laksa e padre Xavier Tirkey, sequestrati lunedì 25 riescono a sfuggire dai rapitori e a mettersi in salvo dopo essere stati denudati e picchiati. Le autorità di governo impongono il coprifuoco e danno l’ordine di sparare a vista. Verso le 21.30 scontri a fuoco fra fondamentalisti indù e forze dell’ordine, nei pressi del villaggio di Barakhama, con quattro morti.

 Nella diocesi di Bhubaneshwar, il 2 settembre vengono assalite, razziate e demolite le chiesa cattolica di Padunbadi e quella del villaggio di Kakadabadi; il 1° settembre, erano state distrutte e bruciate la chiesa battista a Durgaprasad, la chiesa cattolica di Chadiapally, le chiese cattolica e battista di Balligada, la chiesa cattolica e la casa parrocchiale di Mondasore (una costruzione artistica di oltre un secolo). Distrutte e incendiate 2 case a Raikia; 50 a Balligada; 3 case di cristiani a Kakadabadi; altre 35 a Tikabali (Beheragano); 5 a Chakapad; una a G.Udayagir. La maggior parte dei cristiani fugge nella foresta.

Il 5 settembre quattro suore di Madre Teresa  – Sr. Mamta, la superiora, Sr. Ignacio, Sr. Josephina e Sr Laborius – vengono aggredite da una ventina di attivisti del Bajrang Dal alla stazione ferroviaria di Durgh (Chhattisghar). Le costringono a scendere e le consegnano alla polizia con l’accusa di «sequestro e conversione forzata» di quattro bambini che le religiose stavano portando dalla loro casa di Raipur al centro Charity Shishu Bhava, a Bhopal. Nell’attesa di verificare tutti i documenti, le suore passano in prigione la notte fra il 5 e il 6 settembre, mentre i bambini sono ancora nell’ospedale governativo. Il 7 settembre una chiesa anglicana a Ratlam (Madya Pradesh), antica di 86 anni, viene incendiata e distrutta.

Ma dialogo e cooperazione in India non si fermano

di Renato BuriganaDomenica 7 settembre è stata una giornata importante per l’India e per tutti coloro che credono che dialogo, confronto e cooperazione debbano andare avanti nonostante i tragici fatti accaduti in Orissa. I cristiani sono stati vittime di violenti attacchi, le scuole e le chiese sono state bruciate. Molti i morti. I fondamentalisti indù hanno riversato la loro rabbia verso le istituzioni cristiane, colpevoli secondo loro di un’opera di proselitismo.L’India è un continente complesso, affascinante, che sta vivendo da alcuni anni uno sviluppo senza precedenti. Correttamente si parla dell’India come di uno stato, ma è bene tener sempre presente che per vastità di territorio, cultura e lingue sarebbe più opportuno descriverlo come un vero e proprio continente, tante sono le differenze. Oltre un miliardo di abitanti, divisi in 22 stati (con ampli poteri di legiferare), con 15 lingue ufficiali (fra le quali l’inglese), due importanti e diffuse razze: l’ariana e la dravidica. L’indipendenza, avvenuta il 15 agosto1947, lascia l’India con una lingua parlata, l’inglese, che permette di comunicare, con una povertà assai diffusa, con ferrovie che non permettono gli spostamenti, con una situazione politica e sociale convulsa e complessa. In questi decenni gli indiani hanno sollevato il loro Paese e soprattutto in questi ultimi anni l’India, più le città che le compagne, hanno visto uno sviluppo senza precedenti, con un Pil sempre a due cifre.Tutt’oggi le differenze sono enormi fra stato e stato, e fra città e campagna. Le città, alcune delle quali sono enormi agglomerati di milioni di abitanti, hanno un centro dove la vita frenetica e il business è simile all’occidente. Poi vi sono colline e colline, limitrofe al centro, dove vivono milioni di persone senza casa, senza servizi in uno stato di povertà assoluta. Nelle città indiane non è difficile trovare intere famiglie che hanno eretto a loro domicilio i marciapiedi e, girando la sera, mille luci illuminano le strade di Bombay, New Dehli, Bangalore. Quasi il 70% della popolazione vive ancora nelle campagne (anche se questo dato tende a scendere velocemente) e l’agricoltura rende il Paese indipendente dal punto di vista alimentare. L’India è il primo produttore mondiale di tè, juta e arachidi, il terzo di tabacco e il quarto di cotone e frumento. Un importante sviluppo si è avuto nell’elettronica e nei computer. Oggi i tecnici indiani sono i più ricercati del mondo per le loro competenze. In alcune città, per esempio a Bangalore, vi sono i quartier generali di molte multinazionali che trovano qui ottimo personale, preparato e con un gran voglia di lavorare. La delocalizzazione di molte produzioni ha portato in India molte fabbriche e questo ha contribuito a far crescere lo sviluppo.L’India è ancora un Paese affascinante, che non lascia indifferente anche il visitatore più distratto. I suoi profumi, i suoi sapori, una vita caotica fanno «presa» sul turista e generalmente lo fanno innamorare di questo continente e del suo modo di vivere. Le strade, sempre affollate da centinaia di milioni di persone sempre in movimento (non esiste pressoché differenza di traffico fra la notte e il giorno), una molteplicità di templi e culti, un ritmo di vita (soprattutto nelle campagne) assai diverso dal nostro, fanno di questa terra un unicum.I cristiani hanno in India, soprattutto nell’India del sud, svolto un ruolo decisivo nello sviluppo e nell’emancipazione soprattutto delle donne. I cristiani sono appena il 2% delle popolazione, e dedicano il loro servizio all’educazione e all’assistenza. Le diocesi sono 156, le scuole oltre 20.000 con quasi otto milioni si studenti. Caratteristica della presenza cristiana è l’accoglienza e il dialogo con tutti, in particolare con le componenti religiose Indù e musulmana (anch’essa minoritaria). Nelle scuole, come negli ospedali, nelle case di assistenza per anziani l’accoglienza viene fatta a tutti senza nessuna distinzione di appartenenza religiosa, senza nessuna discriminazione sessuale o di casta. Nelle scuole cristiane sono moltissimi gli studenti di fede indù, un po’ meno quelli musulmani. È bene ricordare anche che in India, nonostante il Governo abbia abolito le caste e tutte le loro complicazioni nella vita quotidiana, esse permangono (soprattutto nelle campagne) e sono un fattore vincolante per lavoro, matrimoni, vita sociale in genere. Le comunità cristiane vivono uno stile di vita sobrio, di vita condivisa, di attenzione ai poveri e a gli emarginati,  di accoglienza che soprattutto nei villaggi, nelle campagne e nelle zone periferiche delle città stanno facendo crescere anche numericamente la componente cristiana, e  i cattolici. L’attenzione alla cultura locale e il dialogo fraterno e quotidiano hanno permesso alle comunità di essere accolte, senza nessun problema. Ecco perché le parole di Benedetto XVI  che invitano «a rispondere a tanta malvagità con la forza disarmata e disarmante dell’amore che vince l’odio» sono state molto apprezzate e accolte, non solo dai cristiani, ma da tutte le minoranze. 

Villaggi attaccati da fanatici, preoccupate le suore di Iolo

di M.Cristina Caputi

«Siamo addolorate e molto preoccupate per la situazione creatasi in India» sono le prime parole che ci dice Madre Paola Collotto, delle suore domenicane di Iolo, a Prato. Da anni la loro comunità è presente in India; dopo le prime case nate nella regione del Kerala, oggi le suore sono arrivate in tante altre zone della nazione, finanche nella ormai tristemente nota Orissa.

«Sentivamo che la Chiesa dell’India sarebbe stata rafforzata dalla persecuzione – ha ammesso Madre Paola – per questo anche nella formazione non potremmo non tenerne conto; purtroppo le nostre comunità sono senza protezione alcuna e con pochi aiuti, il loro sostegno sono la grande fede, un coraggio ed una forza incredibili». La famiglia delle suore domenicane pratesi è stata coinvolta nelle recenti persecuzioni, fortunatamente in modo non grave. Nei giorni scorsi, mentre era a casa per un periodo di vacanza, una postulante di 22 anni, Sugitra, ha vissuto l’attacco dei fanatici indù al suo villaggio, nel distretto di Kandamal, nell’Orissa. «Già il Natale scorso avevamo avuto delle minacce – precisa Madre Paola – e non ci è stato possibile celebrare la messa festiva; adesso però le cose sono peggiorate. Dopo l’uccisione del santone che guidava, da una ventina di anni, un gruppo di fanatici indù contro i cristiani, si è scatenata una violenta reazione al gesto posto in essere da alcuni banditi che nulla hanno a che fare con le nostre comunità, ma che, in questo modo, intendevano difendere i “poveri”. Dal 25 agosto scorso – prosegue la religiosa – le violenze sono in crescendo: più di 4 mila sono le case distrutte, tanti i villaggi rasi al suolo, i sacerdoti e le suore sono in grave pericolo, mentre oltre 100 mila persone sono ospitate nei centri di raccolta che la Caritas e le suore di Madre Teresa hanno attrezzato per i profughi».

La vicenda di Sugitra ha lasciato un forte segno nelle suore pratesi: come dicevamo, mentre era in vacanza nel suo villaggio, Raika, ormai composto da tutti cristiani neoconvertiti, i fanatici indù lo hanno improvvisamente attaccato, distruggendo e dando fuoco a tutto quello che incontravano sul loro cammino. La fuga degli abitanti è stata tanto repentina da non consentire loro di prendere alcunché; si sono rifugiati nella foresta dove hanno trovato scampo; vi sono rimasti una settimana intera, sotto una forte pioggia, scalzi, senza abiti di ricambio e senza protezione, né cibo. Hanno vissuto di foglie, radici e bacche. Solo quando l’accerchiamento dei persecutori è cessato, sono potuti uscire e sono stati accolti in uno dei tanti campi profughi della zona.

«A noi, la notizia dell’attacco al villaggio, l’ha data il fratello sacerdote di Sugitra – ci spiega Madre Paola – però per tutta la settimana in cui sono stati nascosti nella foresta non abbiamo avuto comunicazioni ed abbiamo temuto il peggio; invece poi è arrivata la telefonata che ci ha tranquillizzate. Certo, adesso Sugistra è spaventata, come lo sono tutti i cristiani di laggiù». Mentre parla con noi, la Madre telefona in India, parla con Suor Gemma: «Come state? Scriveteci, fateci sapere! Ancora attacchi? Anche ieri e oggi? Altre chiese bruciate? Hanno tagliato gli alberi intorno al villaggio per impedire la fuga degli abitanti e fermare eventuali aiuti dall’esterno? Coraggio, fatevi coraggio!». Poi alcune raccomandazioni e l’invito a confidare nella preghiera.

Il problema, ci spiega Madre Collotto, è che «i cristiani danno fastidio perché con le loro attività di evangelizzazione portano anche cultura ed emancipazione alle popolazioni più povere ed emarginate; mettono in crisi la suddivisione in caste e, come nel caso del villaggio di Surgita, fanno uscire dal loro isolamento le popolazioni ancora tribali».Dall’Italia si può far poco, ma il primo invito della Madre è quello di pregare perché cessino le violenze e si possa creare un clima di serena convivenza. La schedaLa famiglia religiosa delle Domenicane di Santa Maria del Rosario è nata l’8 settembre 1895 a Iolo, una frazione del comune di Prato. Un gruppo di ragazze del paese, sotto la guida del parroco, don Didaco Bessi, decise di donare la propria vita al Signore, al servizio dei fratelli, vivendo in una piccola e povera comunità. Il gruppo condivideva con i poveri tutto quello che aveva e si occupava dell’istruzione delle bambine del popolo, della catechesi e della visita agli ammalati. Durante la seconda guerra mondiale alcune giovani novizie domenicane, costrette a fuggire dal proprio convento, furono accolte dal Vescovo di Pistoia e Prato, mons. Giuseppe Debernardi, che le indirizzò al piccolo Istituto di Iolo, rivitalizzandolo. Finita la guerra, la Famiglia religiosa visse un periodo di fioritura e il 7 ottobre 1962 ebbe il riconoscimento pontificio. Il piccolo Istituto ha quindi assunto una fisionomia universale: nel 1968 iniziò l’avventura della missione con i primi rapporti con l’India. Quindi si aprì alla Polonia nel 1987, all’Ecuador nel 1991 e alla Romania nel 2001.

L’impegno dell’Istituto è su diversi fronti: prevede evangelizzazione, missioni popolari, animazione liturgica, pastorale giovanile e familiare, insegnamento, assistenza agli «ultimi»; in terra di missione prevede anche insegnamento, promozione della donna, prevenzione e cura della lebbra e della tubercolosi, prevenzione dell’aids. Dieci le comunità sorte fino ad oggi in India.

L’intervistaMons. Dias: «Il mondo deve sapere»Il governo dell’Orissa e il governo indiano non fanno tutto ciò che si dovrebbe fare, nonostante la presenza della polizia – afferma mons. Alex Das Neves Dias, vescovo di Port Blair, nelle isole Andamane e Nicobare, che dipendono direttamente dal governo centrale di Delhi –. Ma se non viene fermata in tempo la violenza contro i cristiani rischia di propagarsi anche in altri Stati indiani notoriamente anticristiani, come il Gujarat, il Madhya Pradesh, il Chattisghar. Alcuni segnali già ci sono». Mons. Dias racconta delle minacce di morte fatte dai nazionalisti indù a mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bubaneshwar in Orissa. «Anche se tutto il mondo sa che i cristiani non sono coinvolti nell’omicidio – dice – i fondamentalisti indù hanno intenzione di uccidere un leader cattolico. L’arcivescovo sta facendo tutto il possibile per arginare la violenza, incontrando a Delhi i politici, ma non basta». «Il mondo deve sapere che in India accadono queste cose – afferma il vescovo di Port Blair –. Quanto sta succedendo è assurdo. In una democrazia con un governo laico ogni religione dovrebbe avere la sua libertà».

A suo avviso sarebbe necessaria una maggiore pressione diplomatica a livello internazionale, nonostante la condanna da parte del governo centrale indiano e l’invio di una forza speciale di polizia. «Hanno agito un po’ in ritardo e non in maniera adeguata», secondo il vescovo. Ora la situazione in Orissa sembra più tranquilla, ma c’è ancora qualche aggressione nei campi dei rifugiati. «La gente non vuole stare lì perché si sente minacciata», conferma il vescovo. Nell’arcipelago delle Andamane e Nicobare (572 isole nel Golfo del Bengala, dove vivono circa 40.000 cattolici su 400.000 abitanti) la situazione è tranquilla. «Dopo le violenze in Orissa – racconta – ho incontrato i rappresentanti dei mezzi di comunicazione locali e tutti hanno condannato l’accaduto. Poi il 4 settembre abbiamo organizzato una processione insieme ad altri leader cristiani e 12 rappresentanti delle altre religioni. Il governatore delle Andamane ci ha assicurato che qui non succederà».

I segnali di qualcosa che non va, nell’ambito delle libertà e dei diritti, si leggono però anche da piccoli aneddoti. Può capitare, ad esempio, ad una semplice turista (per caso anche giornalista) in vacanza in alcune zone dell’India di sentirsi dire in aeroporto, quando informa le autorità di essere ospite qualche giorno in una comunità cattolica: «Prima di entrare deve passare per l’ufficio immigrazione e rispondere ad alcune domande». E giù una trafila di botta e risposta, indirizzi, diffidenze. Che verranno verificati via via durante la permanenza con visite delle forze dell’ordine a domicilio, controlli di passaporti e permessi durante gli spostamenti. «Succede sempre così, ogni volta che abbiamo visite – non si meraviglia il vescovo Dias –. Hanno paura che facciamo conversioni. Ma noi ci siamo sempre e solo occupati di coloro che sono già cattolici, anche se minoranza. Non abbiamo bisogno di fare proselitismo». Il timore delle conversioni – comprensibile in parte se riferito al peso storico che l’India ancora sente del colonialismo dell’Occidente (e il cristianesimo spesso viene identificato con esso) – è presente un po’ ovunque nel sub-continente. I missionari cattolici, che il più delle volte sono rispettosi delle reciproche identità e lavorano molto nel dialogo interreligioso, sono spesso sottoposti a numerose forme di controllo da parte della polizia, pena l’espulsione dal Paese. In alcuni Stati come in Rajasthan, Maharastra, Tamil Nadu, si è perfino discusso a lungo di leggi contro le conversioni.

a cura di Patrizia Caiffanella foto Madre Daniela Capaccioli, superiora generale delle Suore di Sant’Elisabetta, con un monaco indù in un tempio