Toscana

Lavoratori stranieri, la crisi si fa sentire anche per loro

di Federico Fiorentini

Proprio mentre a Rosarno (Rosarno, il richiamo di Benedetto XVI) le tensioni fra cittadini e braccianti africani raggiungevano l’apice, nella sede del Consiglio regionale veniva presentata la ricerca Il lavoro degli immigrati in Toscana: scenari oltre la crisi. Una coincidenza che, come ha sottolineato l’assessore al Lavoro Gianfranco Simoncini, costituisce un’ulteriore, superflua conferma della stringente attualità dell’argomento: «Il lavoro degli stranieri in Italia segna l’agenda delle politiche di lungo periodo di tutto il paese, e la sua risoluzione passa attraverso l’avviamento di un nuovo e più profondo percorso di civilizzazione». Il titolo del Rapporto 2009 dell’Irpet, giunto alla sua terza edizione, non deve essere interpretato come l’invito a un facile ottimismo. Il dirigente dell’Istituto Giovanni Maltinti ha infatti voluto chiarire che la formula scenari oltre la crisi è stata scelta per rimarcare il necessario ampliamento degli orizzonti di riferimento: «Le dinamiche regionali devono essere lette alla luce dei processi che, verosimilmente, porteranno a superare alcuni aspetti della congiuntura economica dell’ultimo anno e mezzo, inquadrando la situazione toscana nella realtà economica globale».

L’immigrazione italiana può essere accostata a quella degli altri paesi dell’Europa del sud, dove il fenomeno è più recente: gli stranieri ricoprono mansioni a bassa qualifica, inferiore alle reali capacità, con carriere professionali dalle scarse prospettive di ascesa. I migranti, che fino al 2008 potevano trovare lavoro senza eccessive difficoltà, sono stati i soggetti che più hanno risentito della crisi: generalmente impiegati nei settori più colpiti (industria, costruzioni, commercio, turismo), hanno scontato anche la natura «non standard» dei loro contratti, risultando i primi a essere licenziati. Le famiglie straniere tendono a poter contare su un’unica fonte di reddito, e sono meno coperte dagli ammortizzatori sociali; questi due fattori causano un incremento delle possibilità di cadere in povertà. La conclusione del Rapporto è che, nonostante la crisi abbia decretato un aumento della competizione fra italiani e stranieri in Toscana, tale incremento è stato abbastanza contenuto, dato che gli ambiti occupazionali sono differenti. Esiste dunque una sorta di «complementarietà» fra le due tipologie di lavoratori.

I settori più a rischio – nei quali gli italiani sono ancora la maggioranza – sono quelli dell’industria, dell’edilizia e delle professioni cosiddette medium skilled, come elettricisti, imbianchini e idraulici. Le tensioni saranno comunque interne ai comparti, e la concorrenza si verificherà soprattutto fra immigrati «vecchi» e «nuovi». Con la futura ripresa dovrebbe tornare a crescere la domanda di lavoro immigrato, che comunque, in ambiti come quello dell’assistenza domestica, è rimasta sostanzialmente inalterata.

Se la ricerca Irpet si è limitata ad auspicare una minore dipendenza fra permanenza legale degli stranieri in Italia e loro situazione occupazionale, Laura Zanfrini della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità, centro di monitoraggio per la Lombardia) ha rimarcato gli aspetti più negativi della realtà nazionale: «Dobbiamo purtroppo riconoscere un “modello Italia” poco lusinghiero, che non passa attraverso un’importazione pianificata, ma una regolarizzazione successiva, che rappresenta la tardiva presa di coscienza di un dato di fatto. La nostra è un’immigrazione di basso profilo, a forte rischio povertà: sono arrivate milioni di persone che hanno incrementato esponenzialmente l’area di vulnerabilità sociale». Secondo Zanfrini la responsabilità della mancata integrazione va imputata in primis alle istituzioni, e più in generale a un approccio immaturo dell’intera società, incapace di avviare un reale processo di democratizzazione: «Attualmente il sistema produce forti criticità, alla cui base si trova un atteggiamento discriminatorio: per una prestazione lavorativa analoga una parte della popolazione – gli immigrati – ricevono compensi inferiori all’altra, gli italiani. I segnali che provengono dal mondo economico e da quello politico sono ambivalenti: da una parte si è favorevoli all’immigrazione, dal momento che questi soggetti si adattano a svolgere lavori che non vogliamo fare. Ma, dato che è solo il fabbisogno a legittimare la presenza straniera, una volta che questo – per qualsiasi motivo – cessa, termina anche la volontà di garantire il soggiorno in Italia. Sull’altro versante si impianta una logica di pari opportunità e rafforzamento dei diritti, in ovvio contrasto con le istanze utilitaristiche alla base del fenomeno migratorio».

Confermate le gravi problematiche su scala nazionale, l’assessore Simoncini ha tracciato un quadro delle peculiarità toscane: «I migranti, traino della recente crescita occupazionale, sono il segmento che maggiormente ha risentito della recessione, che in Toscana ha visto un’esplosione della cassa integrazione, l’aumento del ricorso agli ammortizzatori tramite gli stanziamenti del Fondo Sociale europeo, nonché la riduzione degli avviamenti al lavoro». Le iniziative adottate dalla Regione per assistere i lavoratori stranieri seguono un duplice binario: «Su un piano più generale intendiamo proseguire le normali politiche di sostegno al mondo del lavoro, che di per sé hanno una ricaduta sull’attività dei migranti. Occorrono tuttavia anche strategie mirate, a partire da quelle sulla sicurezza sul posto di lavoro, dato che gli stranieri sono i soggetti più esposti agli incidenti. Intendiamo inoltre impegnarci non solo per una regolarizzazione dell’assistenza domiciliare, ma anche per una qualificazione di queste figure professionali con corsi ad hoc. Per quanto riguarda invece particolarmente l’universo maschile il nostro obiettivo è la parificazione scolastica di fatto, dal momento che esiste una massiccia dispersione dalla seconda media in su. Vogliamo circoscrivere i fenomeni di segregazione, sensibilizzando l’ambito familiare sull’importanza di un’adeguata formazione».

In Toscana 355 mila regolari con rumeni e albanesi ai primi postiSecondo le stime dell’Irpet (Istituto regionale programmazione economica Toscana), che si è servita anche del Dossier Caritas, in Toscana risiederebbero 355.000 stranieri regolari, circa il 9-10% della popolazione complessiva.

Negli ultimi anni si è registrato un consistente incremento delle presenze dei paesi dell’Europa orientale, a causa del recente ingresso nell’Unione, responsabili di quasi il 40% dell’aumento degli immigrati. Parallelamente rallentano gli arrivi da nazioni come Marocco e Filippine, la cui popolazione cresce quasi solo per nascite in Italia e ricongiungimenti faniliari. Particolare il caso cinese, che vede un saldo negativo per diminuzione ingressi e maggiori partenze. Da segnalarsi infine una sottorappresentazione degli africani rispetto alla media italiana. La Toscana è la quinta regione per incidenza degli stranieri sulla popolazione, dopo Emilia Romagna, Umbria, Veneto e Lombardia. Secondo l’anagrafe nel 2008 il paese più rappresentato è la Romania (64mila residenti), che ha scalzato l’Albania (62mila); vengono poi Cina e Marocco, rispettivamente 26 e 24mila presenze. Fino al 2008 l’immigrazione ha contribuito in maniera sostanziale alla crescita occupazionale, dato che gli stranieri hanno inciso per circa i due/terzi sul numero complessivo delle assunzioni, compensando così il calo degli ingressi dei giovani italiani nel mondo del lavoro e i pensionamenti di una popolazione sempre più anziana.

Il Rapporto parla di una «rilevanza strutturale» dei migranti per il sistema economico toscano, dal momento che la maggior parte dei loro contratti risulta essere a tempo indeterminato (57%, una sostanziale parità con il 59% degli italiani), senza che peraltro questo garantisca una stabilità occupazionale sul lungo periodo.

I dati del primo semestre 2009 rivelano l’influenza sul mercato del lavoro della recessione globale, che ha colpito le tipologie sociali economicamente più fragili: giovani, donne e immigrati. Il tasso occupazionale degli stranieri, prima addirittura superiore, è diventato molto simile a quello degli italiani (intorno al 65%), ma il tasso di disoccupazione, già più elevato di quello dei nativi, è arrivato al 10%. Le categorie a maggiore rischio disoccupazione risultano gli ultraquarantenni, spesso con numerosi anni di soggiorno ma dalla carriera professionale debole, e gli immigrati arrivati più di recente.

La Giornata per le migrazioniIl minore migrante speranza per il futuroRicordare che a partire dal 2004 la Giornata delle Migrazioni da nazionale è diventata mondiale e viene celebrata universalmente nella seconda domenica dopo l’Epifania può contribuire a mettere in risalto l’importanza che la Chiesa attribuisce al fenomeno delle migrazioni. Fenomeno che, in questi ultimi decenni, si è globalizzato e capillarizzato al punto di imporre alle nostre comunità cristiane un nuovo modo di concepire se stesse e di impostare la propria presenza e la propria azione, nella previsione di una società sempre più multiculturale e multi religiosa. Anche dare uno sguardo all’elenco dei titoli delle passate Giornate può risultare significativo. È facile infatti notare che l’attenzione, da più di due decenni (cioè molto prima del 2004), è stata spostata dalle problematiche della emigrazione italiana all’estero alle problematiche dell’immigrazione in Italia. È cambiato l’aspetto del fenomeno migratorio, si è addirittura capovolto, non è però cambiato il tipo di sguardo e di preoccupazione della Chiesa nel considerarlo. È lo stesso sguardo attento e fraterno all’uomo concreto, alla sua vicenda umana e al suo destino eterno, alla sua dignità di immagine di Dio. Dignità spesso, nella pratica, non riconosciuta e non rispettata. È la stessa preoccupazione di presenza e vicinanza solidale, di promozione umana e di annuncio di salvezza e di speranza…

Prendiamo come esempio alcune tematiche trattate sia nel periodo in cui in Italia era prevalente il fenomeno emigrazione sia in quello seguente in cui il fenomeno immigrazione è come esploso. Solo la data ci permette di stabilire se la tematica era affrontata dal punto di vista della emigrazione o da quello della immigrazione. Nel 1975: Giustizia per la donna emigrante. Tema analogo per la donna immigrata: 1995: Donna: profezia di una nuova società. Nel 1968: Per la Chiesa non ci sono frontiere. Emigrazione, incontro di fratelli. Nel 1971: Ogni uomo è mio fratello. Nel 1978: Stranieri o fratelli?. Nel 1989: Minoranze: la ricchezza della diversità. Nel 1992: Migrazioni: incontro di popoli. Nel 1996: Irregolari? Nessuno sconto sulla dignità del migrante. Nel 1997: Con Cristo, per un mondo senza frontiere. Nel 2000: Non siete stranieri né ospiti, ma concittadini e familiari di Dio. Nel 2001: Dov’è tuo fratello? (Gn 4,9). Stesso discorso per il tema della famiglia. Nel 1969: L’uomo ha diritto alla tutela della sua famiglia ovunque vada. Nel 1987: La famiglia, anima nelle migrazioni.

Per la Giornata 2010 è stato scelto come tema Il minore migrante e rifugiato – Una speranza per il futuro (Messaggio del Papa per la Giornata dei migranti 2010). Tema che era stato già affrontato nella prospettiva dell’emigrazione italiana, fin dal 1970: Emigrazione di giovani: rottura col passato? Avventura o apertura?. Poi nel 1972: Sono figlio di emigranti, nel 1979: Scuola senza frontiere e nel 1984: Giovani in emigrazione: timori o speranze?.

Anche la Giornata Migrazioni di quest’anno rappresenta un’occasione per sintonizzarci con lo sguardo e le prospettive missionarie e pastorali della Chiesa: attenzione concreta all’uomo, ad ogni uomo, al suo dramma, alle sue sofferenze e speranze. Non sarebbe attenzione concreta all’uomo se non ci accorgessimo che tra gli immigrati vi sono molti minori, che essi soffrono di ulteriori fragilità rispetto ai loro coetanei locali: a volte sono discriminati, a volte sono ostacolati nell’integrazione, a volte sono non accompagnati da adulti ed esposti a maggiori pericoli… La loro crescita umana e religiosa non può restare estranea allo sguardo, alla preoccupazione e all’iniziativa delle nostre comunità cristiane: diocesi, uffici pastorali, parrocchie, ordini religiosi, movimenti…

Angelo ChiasseriniDirettore Migrantes Toscana L’esperienzaArezzo, il rifugio della «Don Bosco»La comunità educativa per minori «Casa Don Bosco» di Arezzo ha aperto i suoi locali iniziando ad accogliere minori che si trovano in situazione di disagio sociale il 24 settembre 2008. In realtà però tale comunità era nata, almeno nelle menti di coloro che poi l’hanno progettata e «costruita» passo a passo, più o meno un anno prima.

Gli «ideatori» di questa che adesso è una realtà, sono tutte persone che provengono dall’ambiente Migrantes della città di Arezzo; alcune di queste, inoltre, avevano anche delle specifiche professionalità ed esperienze nell’ambito educativo, capacità che hanno messo in campo nel progettare e nel realizzare questa «opera-segno».

La realtà dei minori che si trovano in situazioni di disagio sociale, di minori che sono a rischio di devianza o già, in qualche caso, con qualche reato alle spalle, di minori stranieri che giunti clandestinamente nel nostro paese si trovano soli perché privi di riferimenti parentali, che caratterizzano particolarmente le nostre società di oggi, sono i target che sono stati individuati come i destinatari di questo progetto. Da un’analisi d’ambiente condotta sulla realtà locale aretina, questa tipologia di minori rimaneva «esclusa» da altri progetti esistenti oppure  tali progetti erano insufficienti a rispondere alle esigenze che emergevano.

Dopo «l’ideazione» di una comunità educativa per minori e dopo aver individuato il target più specifico si è passati alla progettazione che si è indirizzata in diversi settori: dal reperimento della struttura alla stesura di un progetto educativo, dall’individuazione delle figure educative da coinvolgere all’espletamento delle pratiche burocratiche per l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni. Inutile dire che questa fase è stata impegnativa, complessa, faticosa e tutt’altro che facile: non sono mancati anche situazioni che ci hanno scoraggiato e messo a dura prova la nostra determinazione nel raggiungimento dell’obiettivo.

Dal giorno dell’apertura, giorno in cui un primo traguardo poteva dirsi raggiunto, non abbiamo avuto neppure modo e tempo di assaporare questo momento, di gustarci l’obiettivo conquistato perché subito siamo stati assaliti dai vari piccoli e grandi problemi che nascono dall’occuparsi di minori in tutto e per tutto, dalla A alla Z. In pochissimo tempo la comunità educativa, a carattere residenziale, si è ben presto riempita con minori che, seppur ancora molto giovani, portavano con sé un ricco bagaglio di esperienze, di percorsi, di sofferenze, di disagi … Ma su questo sarebbe necessario aprire un altro, ampio capitolo.

La comunità educativa «Casa Don Bosco» è una comunità a carattere residenziale: per il tempo della permanenza dei minori, questa è la loro casa. Per questo gli operatori ed educatori sono sempre presenti, ventiquattro ore su ventiquattro per trecentosassantacinque giorni all’anno, chiaramente mediante delle turnazioni.

La struttura è stata volutamente individuata nel centro della città, proprio per favorire al massimo il contatto e quindi l’integrazione con la realtà circostante, il quartiere, le scuole, i centri di aggregazione, le società sportive, i centri culturali, ecc. L’integrazione infatti è una delle finalità che si propone il Progetto educativo generale della comunità ed è proprio per questo che vengono accolti quei minori che, trovandosi nelle condizioni socio-economiche di cui sopra, necessitano di un percorso educativo che li conduca verso un positivo inserimento (o re-inserimento) nella società intesa nel senso più ampio del termine, ma anche molto concretamente, cioè partendo da un lato dalle esigenze e dagli obiettivi dei minori stessi, ma tenendo conto le opportunità, le possibilità e le normative dall’altro.

Fin dall’inserimento vengono elaborati, con i ragazzi e con i servizi sociali di riferimento, progetti finalizzati all’inserimento sociale, promuovendo la partecipazione ad attività «esterne» alla comunità, al fine di favorire una sempre maggiore integrazione dei minori nel contesto territoriale.

All’interno della comunità, ogni momento della giornata è organizzato secondo finalità educative. Le attività, quali colloqui personali, incontri di gruppo, compiti di gestione della casa, attività ludico-ricreative traducono la filosofia educativa del servizi

Stefano Mori