Toscana

Governare l’immigrazione

di Antonio Lovascio

Se scruta a fondo – con la lente di ingrandimento – il suo «pianeta immigrazione», la Toscana forse non si vedrà come un’isola felice, ma è comunque ben lontana dai raccapriccianti drammi, dagli episodi di violenza, razzismo e discriminazione esplosi negli ultimi mesi a Rosarno, Milano o nel Lazio.

Nonostante una crisi economica ed occupazionale profonda – che rende ancor più incerte le prospettive di lavoro di disoccupati e soprattutto dei giovani – l’insediamento di stranieri regolari nella nostra regione è in continua crescita. Hanno superato la soglia delle 309 mila unità (in gran parte albanesi, rumeni, asiatici ed africani) e sono aumentati di 30 mila rispetto all’ultimo anno. È l’esercito delle badanti, dei lavoratori dell’edilizia e del settore servizi, di cui non possiamo fare a meno. Il processo migratorio da stagionale si è trasformato in stanziale. Su cento assicurati all’Inail, ben sedici provengono da altri Paesi, così come nelle scuole dieci alunni su cento non sono italiani, con punte addirittura del 24 per cento a Campi Bisenzio, che ospita una comunità di 6.500 cinesi su una popolazione complessiva, di 43 mila abitanti.

Lievita velocemente la «Toscana dell’Arno», quella compresa tra Arezzo e Pisa: ha le sue «capitali» in Firenze e Prato e assorbe ormai il 69% delle presenze. Nel 2009 però è stata segnalata una ridistribuzione delle collettività immigrate verso le province costiere di Massa Carrara e Grosseto.

Dunque, è in atto un grande cambiamento, che vede quali attori cittadini divisi tra il Paese d’origine e quello di destinazione. Il loro inserimento deve essere affrontato riconoscendo il diritto alla differenza. Ma il problema della migrazione va gestito associando accoglienza e solidarietà a indispensabili condizioni di legalità e sicurezza, in modo che, con regole chiare, siano rispettati i diritti di tutti. La Toscana ha varato una sua legge regionale sull’immigrazione – peraltro ancora contestata – per portare avanti insieme agli enti locali, all’associazionismo e al volontariato interventi ed iniziative in tema di istruzione, salute, integrazione culturale. Interventi che il nuovo Governatore Enrico Rossi intende incrementare con ulteriori servizi e Progetti. Se son rose fioriranno.

Intanto non c’è dubbio che, dopo questa «esplosione» di arrivi e sofferte attese, vada fatta – a livello nazionale ma anche qui in Toscana – una seria riconsiderazione degli aspetti normativi, ormai inadatti a fronteggiare un imponente fenomeno migratorio.

Cosa fare? Un buon contributo di conoscenze viene dalla Caritas, attraverso il suo Dossier annuale che ha imposto un metodo, una «filosofia» imperniata sulla carità ma anche sulla competenza. Insomma è ormai diventata una «bussola» saggia che segna la rotta a tante istituzioni, enti ed operatori. Perché solamente da conoscenze adeguate si ricava la spinta per vincere le paure e il desiderio di inutili chiusure, talvolta indotte da cattiva informazione e da confuse o distorte rappresentazioni mediatiche. Infatti quello che per i più è considerato esclusivamente un problema sociale, andrà sempre più visto come un fenomeno strutturale che inciderà sul futuro delle nostre comunità.

Il «Rapporto» IDOS-Fondazione Migrantes ha offerto, ad esempio, tanti spunti di riflessione e di proposta al convegno che ho avuto il piacere di moderare a Palazzo Medici Riccardi, organizzato dalla Provincia di Firenze con la collaborazione del Centro Studi Emergenze.

Con i rispettivi presidenti, Andrea Barducci e Salvatore Arca, si sono confrontati qualificati esperti che vivono sul campo queste problematiche: Alessandro Martini, direttore della Caritas diocesana fiorentina, il questore Francesco Tagliente, la dottoressa Daniela Lucchi in rappresentanza del Prefetto Andrea De Martino, Paolo Ermini, direttore del Corriere Fiorentino; il sindaco di Campi Bisenzio Adriano Chini. E, infine, due docenti universitari, il sociologico Carlo Colloca, presidente del Ceuriss (Centro Europeo Ricerche e Studi Sociali), e Margherita Azzari, coordinatrice del gruppo di giovani ricercatori del Laboratorio di Geografia che a maggio pubblicherà l’«Atlante dell’imprenditoria straniera in Toscana». Già abbiamo avuto una prima anticipazione della «fotografia» delle 32 mila imprese straniere individuali che operano in Toscana (10 mila a Firenze, 5 mila a Prato). Se questo quadro conferma come elemento positivo la predisposizione al radicamento nel nostro tessuto economico, allo stesso tempo fa emergere anche alcune criticità: prima fra tutte la registrazione nell’Albo delle partite IVA al solo scopo di ottenere il permesso di soggiorno e «coprire» in qualche modo una posizione di clandestinità. Inoltre non sempre la crescita di imprenditorialità straniera è indice del passaggio da uno stato di precarietà a condizioni di stabilizzazione, soprattutto in un momento di crisi economica pesante come quella che stiamo vivendo. Già qualche albanese o rumeno, rimasto senza lavoro, sta prendendo deluso la via del ritorno.

Per utilizzare al meglio questa «risorsa» occorre mettere da parte lo scontro ideologico (tra i fautori rigidi dell’accoglienza umanitaria e quelli altrettanto intransigenti che invece vogliono far prevalere su tutto la logica e la «forza» della sicurezza), abbandonare luoghi comuni e modelli di approccio ormai superati, e procedere, caso per caso, in ogni realtà urbana, con tanto buonsenso e una discreta dose di pragmatismo. Un esempio concreto ci viene da alcune Prefetture e Questure della Toscana.

«A Firenze – ha spiegato Francesco Tagliente – stiamo portando avanti misure in materia di diritti degli immigrati, come la riduzione dei tempi per rilasciare il permesso di soggiorno e la chiusura dei canali privilegiati per garantire loro parità di trattamento. È una scommessa in parte già vinta. Se prima ci volevano 18 o 12 mesi, oggi in quaranta giorni siamo in grado di sistemare le singole posizioni».

Assicurato il primo diritto di cittadinanza, è più facile attuare poi una politica di asilo e di convivenza, prevenire le situazioni di alto rischio sociale. Che non riguardano solo il problema della criminalità in senso stretto, ma si legano ad altri elementi non meno importanti. Si coniugano con il grado di vivibilità delle nostre città. Il degrado delle piazze e dei centri storici, la mancanza o la trascuratezza di aree verdi, la scarsa pulizia, l’insufficiente illuminazione notturna delle strade, la presenza di spacciatori e drogati, e nelle periferie di prostitute alla ricerca di clienti, sono tutti fattori che concorrono a determinare il livello di percezione di pericolo da parte dei toscani. Indistintamente, da Firenze a Grosseto, all’interno come lungo la costa tirrenica.