Toscana
Banche, la Toscana perde pezzi
di Claudio Turrini
Una mattina vai alla tua banca, come hai fatto, da anni, chissà quante volte. Non guardi l’insegna, non ne hai bisogno. Dentro, agli sportelli, le solite facce. Te ne accorgi quando prendi il modulo da riempire per l’operazione che volevi fare. Lì per lì pensi al caldo di questo luglio che fa davvero brutti scherzi. Eri convinto di essere entrato nella tua banca, che è sempre stata quella da vent’anni e invece ti ritrovi in un’agenzia del Crédit Agricole, che non sai neanche come si pronuncia.
È l’incubo che potrebbe capitare a migliaia di correntisti della Cassa di Risparmio di Firenze (che nel frattempo ha fatto il restyling anche al nome: Banca Cr Firenze) di una delle undici agenzie dell’area fiorentina passate armi e bagagli al colosso francese per 7,7 milioni di euro ciascuna (in tutta Italia 96 filiali del Gruppo Intesa Sanpaolo per 740 milioni di euro). Stessa sorte per gli sportelli ceduti da Monte dei Paschi di Siena a Banca Intesa Sanpaolo (50 per 200 milioni di euro) e a Carige (20 per 130 milioni di euro). Al personale della banca, per fortuna, viene garantito un passaggio il meno «indolore» possibile. Ma anche per loro non tutto fila liscio. «In queste filiali ci spiega Stefano Biondi, segretario toscano della Fiba-Cisl, con 10 mila iscritti ci può essere qualcuno in attesa di trasferimento, oppure con legittime aspettative di carriera, che può vedere compromesse. Ma il peso più grosso lo subisce il territorio: la perdita di uno strumento che segua le esigenze reali della clientela».
E questo è il punto vero. Queste cessioni, in parte richieste dall’antitrust (dopo l’acquisizione di AntonVeneta da parte di
E almeno i cambiamenti di marchio, per quanto brutali, sono chiari. Ti rendi conto che qualcosa è cambiato. Più difficile è accorgersi che la CariPrato la «mamma» come la chiamavano i pratesi è ormai la Banca popolare di Vicenza a tutti gli effetti. Un po’ come la camicia che compri con la scritta made in Italy e che invece è fatta in Cina.
«C’è un processo che riguarda un po’ tutte le aziende», spiega Biondi, «le banche stanno tutte puntando ad economie di scala. Tradotto in poche parole a ridurre i costi. Questo a decrimento dei marchi e anche di quei collegamenti con i territori che i vari marchi avevano in origine. E nel tempo si arriverà anche ad una riduzione del numero di sportelli».
Per la Toscana poi c’è una «debolezza intrinseca», che dura da almeno 20 anni, quando si è persa l’occasione di dar vita ad un’unica grande Cassa di Risparmio toscana. «Non voglio dire che chi arriva si comporta da pirata. Però, ci sono dei vincoli; anche le operatività di finanziamento di credito tengono conto di alcuni parametri. E dovendo scegliere, sicuramente privilegia le aree dove è più radicato». Questo è vero per le grandi banche nazionali. Ma anche i nostri istituti soffrono per una «bassa patrimonalizzazione, anche rispetto ai parametri che Basilea II e Basilea III (accordi interbancari sui requisiti di capitale, ndr) impongono nei finanziamenti alle imprese. Questo pone limiti oggettivi all’erogazione del credito. Ma può diventare anche un alibi facile».
Il 2009 è stato un anno difficile per l’economia. Il nostro Pil ha perso il 5% e anche le banche ne hanno risentito. Le esportazioni stanno ripartendo. Ma adesso potrebbe mancare quel «volano» della ripresa che è il credito alle imprese. Istituti con la testa altrove chiudono i rubinetti. «Non si può pensare ci dice ancora Biondi che in Toscana l’onere del volano finanziario sia supportato dalle sole Banche di credito cooperativo: non ce la potrebbero fare. Abbiamo una debolezza intrinseca sugli assi di credito tradizionali».
Di queste preoccupazioni si è fatto carico anche il Consiglio regionale che nei giorni scorsi ha approvato una mozione presentata da Marco Carraresi dell’Udc, che prendendo spunto dalla cessione di sportelli al Crèdit Agricole e dall’incorporazione di Cariprato, chiede alla Giunta regionale di intervenire «per tutelare gli interessi delle realtà produttive, dei risparmiatori e del personale dipendente, a garanzia del radicamento e della forte sinergia con la realtà produttiva del territorio».
«Tutto questo non può non preoccupare sottolinea Carraresi . Occorre ricordare che a seguito delle operazioni di vendita o di fusione che stanno caratterizzando il mondo bancario nella nostra regione, in questi ultimi anni sono stati persi solo dall’ex gruppo Cassa di Risparmio di Firenze circa 600 posti di lavoro (oltre a quelli legati all’indotto), è stata venduta Banca Findomestic ad una società estera, è stato pesantemente ridimensionato il Centro Leasing, non è chiaro quale sarà il futuro del Centro Factoring e del Centro Vita e del relativo personale, sono stati distaccati centinaia di lavoratori dalla Banca CR di Firenze a Intesa Sanpaolo e al consorzio di gruppo con trasferimento delle relative attività».
«La Regione sta facendo quello che può», commenta Biondi. «Ci si doveva pensare 10 o 20 anni fa. Fino agli anni ’80 avevamo una rete straordinaria di Casse di Risparmio». «Si è pensato alle Fondazioni che si liberavano del patrimonio della banca per fare sul territorio attività di sostegno al sociale e allo sviluppo, senza tener conto che si perdeva il volano della finanza. È stata una visione miope. Ci si è illusi che un’azienda valeva un’altra sul territorio. Ma senza la cabina di regia non c’è più un’attenzione privilegiata al territorio. Adesso quello che dobbiamo fare è proteggere il più possibile quello che è rimasto. Vedere se riusciamo a mantenere il più possibile almeno un pezzo di pensiero strategico in Toscana».
Quello che il segretario dei bancari Cisl auspica è «una strategia che coinvolga le parti sociali e le istituzioni per custodire, da una parte, il più possibile il patrimonio che abbiamo e dall’altra condizionare le aziende che vengono da noi a fare acquisti ad adottare regole precise». Perché «se non mettiamo dei paletti, temo molto per la Cassa di San Miniato o per quella di Volterra».
In questi giorni si parla anche di una possibile vendita della Cassa di Risparmio di Livorno, Pisa e Lucca, oggi in mano alla Popolare di Verona, che ha un gran bisogno di liquidità. E il rischio è che vada all’estero «anche perché il sistema creditizio italiano in questo momento non mi sembra in grado di acquisirle».
Questa «debolezza» del sistema creditizio toscano per Biondi presenta anche altri rischi. «Dovremo ragionare anche su alcuni fenomeni, come quello del riciclaggio del denaro sporco e dell’indebitamento delle famiglie che apre la strada all’usura. C’è un espulsione progressiva dal sistema creditizio normale o di imprese o di singoli cittadini che non son più bancabili per qualche incidente di percorso, come non pagare qualche rata di un piccolo prestito o di un rientro di un fido. Allora si rivolgono a finanziare meno attente ed è l’inizio della fine».
A Prato per quarant’anni l’hanno chiamata «la mamma». Perché quando i telai tessevano incessantemente e la popolazione raddoppiava attratta dal lavoro e dal benessere, l’allora Cassa di Risparmi e Depositi di Prato sosteneva da vicino lo sviluppo industriale e, paternalisticamente, finanziava tanto il restauro della cattedrale che le cene sociali delle squadre sportive. Da ultimo, erano gli anni Ottanta del secolo scorso e la Cassa pratese era una delle più dinamiche banche a livello italiano, la seconda addirittura per lavoro con l’estero.
Sembra lontana un secolo quella storia. Ora una città disincantata e quasi distratta dove si dibatte di crisi e non di sviluppo nemmeno sembra scuotersi più di tanto di fronte all’improvvisa notizia che la Banca Popolare di Vicenza, proprietaria di CariPrato dal 2003, si incorpori l’istituto di credito pratese. Una decisione presa dai veneti, guidati dal noto imprenditore vitivinicolo Gianni Zonin, per il 1° gennaio 2011. Dal nuovo anno sempre che alla Banca d’Italia vada bene di CariPrato rimarranno soltanto le insegne. La banca pratese non esisterà più. Più o meno come successe a suo tempo per un altro storico istituto la Banca Toscana con il Monte dei Paschi l’istituto pratese verrà fuso dentro la banca veneta: qui confluiranno i cento sportelli sparsi in tutta la Toscana. Popolare di Vicenza costituirà una divisione regionale ma tutte le decisioni saranno prese più che mai ai piedi dell’Asiago.
Fosse successo anche soltanto quindici anni fa, in città si sarebbero fatte le barricate. Ora, invece, in pochi hanno levato forte la loro voce: il sindaco Roberto Cenni, il presidente della Provincia Lamberto Gestri e il Vescovo. Rare le altre voci, a parte i sindacati, preoccupati anche per le eventuali ricadute negative sull’occupazione. E dire che è anche l’anno del 180° anniversario di fondazione della banca. Mons. Gastone Simoni, un po’ a sorpresa, ai microfoni di Tv Prato, il giorno precedente il consiglio di amministrazione, non l’ha mandata a dire: «Mi pare sia un bel colpo estivo alla dignità e alla fiducia di cui invece Prato avrebbe bisogno in questi momenti di crisi». Saranno le difficoltà economiche del distretto, sarà un clima sempre più diffuso di sfiducia, sarà che la banca non era più di proprietà pratese da vent’anni (dopo il noto crak di fine anni Ottanta, prima rilevata dal Monte dei Paschi, poi, appunto, dai vicentini), ma la notizia sembra essere già stata digerita in riva al Bisenzio. Non ci sta il sindaco Roberto Cenni: «Anche se il controllo veniva esercitato altrove afferma la banca finora c’era ed era pratese. Ora non sarà più così». Il presidente della Provincia si è spinto fino ad ipotizzare un nuovo istituto di credito locale, che sia vicino alle necessità del territorio, magari di caratura interprovinciale, «visto che, dopo la confluenza in Intesa – San Paolo, anche le decisioni di Carifirenze vengono prese altrove».
Che il destino di CariPrato potesse essere questo, qualche osservatore tra i più attenti lo aveva capito già da qualche mese. In inverno tutti gli immobili di proprietà erano stati venduti ad una società interna alla Popolare di Vicenza; poi la cessione a quest’ultima del 13% delle azioni da parte della Fondazione Cassa di Risparmio, l’unico socio di minoranza, in cambio, tra l’altro, di un 0,5% dell’azionariato della Popolare. A maggio l’arrivo dal Veneto di un nuovo direttore generale, Franco Tonato, noto per la sua competenza in incorporazioni bancarie.
Ora l’unica partita è quella che cerca di giocare la locale Fondazione. Il socio di maggioranza deve liquidarle l’8% residuo delle azioni. Si parla di un valore di poco meno di 40 milioni di euro. In ballo ci sono anche lo storico Palazzo degli Alberti, sede centrale di Cariprato (l’unico edificio rimasto di proprietà), e la prestigiosa omonima galleria d’arte, con Caravaggio, Lippi e Bellini. Già, nella Crocifissione del grande pittore rinascimentale veneto, si vede sullo sfondo la città di Vicenza. Quasi un presagio, dice qualcuno.
La Cassa di Risparmio di San Miniato, fondata nel 1830 da monsignor Torello Pierazzi, è una delle più antiche d’Italia, oggi capogruppo del Gruppo Carismi. Con 85 sportelli in Toscana la raccolta diretta a fine 2009 si è attestata a 2,5 miliardi di euro e gli impieghi verso la clientela a 2,2 miliardi di euro (+4,55). L’utile di esercizio è stato di 8 milioni.
Infine la Cassa di Risparmio di Volterra, fondata nel 1494, con 75 filiali in 7 province Toscane e 509 dipendenti. I dati dell’ultimo esercizio approvato (2009) segnano un utile di 5.088.517 euro; gli impieghi ammontano a 1.705.815.000 euro, mentre la raccolta diretta è stata pari a 1.684.820.000 euro.
La Banca popolare di Lajatico fu fondata il 14 settembre 1884 per iniziativa del medico condotto del Comune, Guelfo Guelfi sotto la forma di Società Anonima Cooperativa di Credito, sull’esperienza di una precedente Cassa mutua che aveva lo scopo di sostenere operai e contadini. Oggi ha più di 5 mila soci, quasi 100 dipendenti e 16 filiali. Nel 2009 la raccolta diretta è stata di 471 milioni e gli impieghi pari a 361 milioni di euro. L’utile netto è stato di 3,7 milioni di euro.
Infine la Banca popolare di Cortona fondata nel 1881; con 2.150 soci ha un capitale sociale di 2.761.977 euro. La raccolta diretta al 31 dicembre scorso era di 195 milioni di euro (+11,09%) e i crediti verso la clientela di 165 milioni con un utile di esercizio di 442 mila euro.