Toscana

Filigrane: giovani contro l’intolleranza

di Francesca Lippi

E’ un pomeriggio da grandi occasioni, quello che si è svolto al teatro Giotto di Borgo San Lorenzo giovedì 7 ottobre. Un teatro gremito di giovani, colorati e composti, dove qualcuno proprio non ce l’ha fatta a rinunciare a sedersi per terra, per stare più vicino all’amica del cuore. Va in scena il talk show, «Intolleransia» condotto dall’attore Paolo Ruffini che, nel capoluogo mugellano, è stato il primo dei quattro previsti all’interno del progetto di «Filigrane» – Azione di Sistema delle Politiche Giovanili della Regione Toscana –, grazie proprio alla collaborazione con Paolo Ruffini e «Il Nido del Cuculo». Un progetto quello di Filigrane che mira a promuovere, tra i giovani, lo scambio di idee e la discussione sui temi della diversità, dell’intolleranza e del razzismo e che, per la musica, ha coinvolto il cantautore Niccolò Fabi.

E Ruffini ha incarnato perfettamente la trade-union tra due mondi: quello formale che si esprime per automatismi spesso ipocriti e che sicuramente appartiene più agli adulti, e quello puro, accattivante che non fa tanto caso al lessico, che scavalca spesso le convenzioni, ma è senza dubbio espressione di libertà ed è senz’altro più vicino ai giovani. I ragazzi non si sono fatti scappare questa occasione d’incontro con un attore così dissacrante e sono accorsi numerosi da tutto il Mugello, per vedere e ascoltare Paolo, senza rendersi conto che i veri protagonisti dello spettacolo sarebbero stati proprio loro.

Dalle prime battute di Ruffini, e non c’è bisogno di scomodare i critici teatrali per affermarlo, si è capito subito che gli organizzatori hanno puntato su di lui, perché la sua modalità comunicativa è leggera e ironica, ma non superficiale e soprattutto non pecca di insensibilità. Proporre ai ragazzi un tema forte e di estrema attualità, come l’intolleranza, senza annoiarli, non è cosa facile, ma Ruffini ci è riuscito, catalizzando l’attenzione sul tema, strappando risate e applausi, con il suo fare svagato ha  provocato il dibattito, riuscendoci, ha acceso la discussione, il confronto, ne ha mediato, con padronanza inaspettata, gli interventi. Il talk show si dipana così tra qualche parolaccia di troppo e la scoperta di un termine nuovo, coniato dai ragazzi, che stupisce Ruffini per primo: «Truzzo». E chi di noi adulti lo conosce? Cos’è, effettivamente un truzzo? «E tu» chiede incuriosito l’attore «ti senti un truzzo?» – No, io no- risponde il ragazzo intervistato. Prende la parola una ragazzina che spiega, in sintesi, cosa significhi l’accezione del termine. Il truzzo è uno che non è come te, che non ascolta la tua musica, che non si veste secondo i canoni imposti dal trend del momento. Insomma il truzzo, può essere uno che balla l’hip hop o chiunque altro. Salgono sul palco i giovani aspiranti «truzzi» cappellino da baseball rovesciato e pantaloni larghi, ballano l’hip hop perché gli piace e non si sentono truzzi per niente. Ormai, però, il dibattito è entrato nel vivo, si è estrapolato la chiave di volta per animare il confronto, il «truzzo» è il diverso, quello che non si sopporta. Quello che non è come te. Il ghiaccio è rotto.

Il talk decolla. Ruffini legge i messaggi dei ragazzi appesi alle bacheche sul palco, le parolacce non si contano, ma lui non si scompone, «non sopporto gli albanesi» «sono intollerante verso chi non è del mio Paese», sono alcuni dei messaggi che la dicono lunga sul clima incandescente che si sta materializzando in teatro. I temi toccati sono tutti di grande portata: la giustizia sociale, l’uguaglianza, la diversità, il razzismo, l’amministrazione della giustizia, la violenza, il lavoro, il governo, i partiti. I fischi, i «buuu» si sprecano. Poi prende la parola Chiara, una giovane che fa la barista, la quale sottolinea l’importanza degli stranieri per l’economia, «perché gli extracomunitari fanno i lavori che noi non facciamo più e poi non dimentichiamoci che siamo stati emigranti anche noi e la mafia, in America, ce l’hanno portata proprio gli italiani». Applausi, consensi, poi sale sul palco Gaetano «Non sopporto gli albanesi» dichiara con forza «hanno ammazzato un mio amico» (Leonardo Rusciano, 18 anni, anche il nostro giornale se ne è occupato lo scorso anno, il giovane fu accoltellato, durante una lite, proprio da un giovane albanese). Si leva un mormorio, poi cala il silenzio. Il dolore nella sala è palpabile. Una ragazza sul palco esclama: «Gli albanesi non sono tutti così!».

Ruffini coglie l’attimo, guarda Gaetano «non siamo da Maria De Filippi, ma questa cosa terribile che è successa mi dispiace davvero». L’atmosfera pesante si stempera, e il talk va avanti regalando agli adulti presenti uno spaccato della realtà giovanile mugellana inaspettato e sincero, ricco di umanità e valori. E un insegnamento, a nostro avviso, fondamentale: i giovani vanno ascoltati e non giudicati dall’aspetto esteriore.

Un percorso «in itinere»Abbiamo scelto un territorio come quello di Borgo San Lorenzo» spiega Chiara Criscuoli del coordinamento e segreteria organizzativa di Filigrane «molto vicino a una città come Firenze, ma comunque un po’ più isolato, dove sia più facile creare un microclima, per la prima serata con Paolo che intervisterà i ragazzi scherzando, offendendo, con le sue modalità e la sua ironia, per tirare fuori dei contenuti, perché questo è lo scopo di questo spettacolo».

La cosa non finisce qui… «No. Questi sono percorsi in itinere, perché vogliamo che i giovani possano dare il loro contributo, sulla convivenza, sempre e comunque. Stiamo lavorando e costruendo, potrà venirne fuori chissà che cosa, sicuramente sarà qualcosa che viene dal cuore di questi giovani. Stiamo pensando ad una conclusione su questi due percorsi aperti da Paolo Ruffini e Niccolò Fabi e come riuscire a metterli insieme, già per noi il fatto che, una volta trovati i testimonial, tantissimi giovani come oggi qui a teatro, si siano avvicinati a questi percorsi, costituisce un grosso risultato e, possiamo dirlo, è già un successo».

«Non mi aspettavo fossimo così tanti» commenta Marco, anni 17 «anche se Ruffini è molto conosciuto ed è un ottimo richiamo». Come ti è sembrata la serata? «Non male, anche se tra noi qualcuno vuol fare troppo il professore». In che senso scusa? «Vuol dare le dritte a tutti e magari lui per primo alla fine non sa da che parte stare». E tu? «Non sono salito sul palco a dire la mia, però non sono certo razzista, anche se credo che in Italia l’entrata degli extracomunitari andrebbe regolamentata meglio».