Toscana

Fisco e famiglia: ecco cosa cambiare

di Andrea Bernardini

I medici l’hanno capito da tempo: prevenire è meglio che curare; ed infatti la medicina predittiva fa meraviglie. Gli psicologi e gli psicoterapeuti onesti lo ammettono candidamente, anche contro i loro interessi. I politici, invece, la lezione non l’hanno ancora imparata. Due famiglie su dieci sono seguite dai servizi sociali, altre tre o quattro su dieci sono deboli, si sono già sciolte o traballano? Uno con un po’ di sale in zucca risponderebbe: proviamo ad aiutarla prima che sian dolori. La risposta del politico: curiamo la patologia.

Francesco Belletti, 53 anni, sociologo, sposato e padre di tre figli, direttore del Centro internazionale studi famiglia e presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari legge il dossier prodotto dal nostro settimanale. E commenta: «è vero, le separazioni aumentano e questo è anche frutto della crisi dei valori; le coppie fanno pochi figli: l’indice di fertilità femminile è fermo a 1,4 figli a donna, molto al di sotto del minimo necessario (2,1) a mantenere l’equilibrio demografico. Il nostro paese è destinato a invecchiare: se oggi c’è un nonno per ogni bambino, ed un pensionato ogni 4 lavoratori, di questo passo nel 2050 ci saranno quasi tre nonni per ogni bambino ed un pensionato ogni due lavoratori».

E il 2050 non è poi così lontano…

«Il nocciolo del problema è questo: invece di intervenire solo (e giustamente) sulla malattia, perché non proviamo a prevenirla, favorendo la vita delle famiglie? Invece di vaticinarne – impietriti – l’ estinzione della famiglia, perché non ne riconosciamo le sue funzioni sociali?».

Si spieghi meglio… «Far famiglia non è solo un fatto privato. La famiglia è l’ambiente privilegiato in cui il bambino cresce, si educa ai valori civili, si confronta con altre generazioni. In famiglia si sperimenta la solidarietà: il marito accudisce la moglie e viceversa, ed entrambi accudiscono i figli. Se un adolescente non trova lavoro, in famiglia può restare ancora qualche anno in attesa di tempi migliori. Se uno dei due perde lavoro, l’altro lo sostiene, non va a rapinare in banca. Tutti questi comportamenti appaiono come naturali».

Ma se la relazione di coppia si rompe?

«Se la famiglia non c’è o si dissolve, i costi sociali dello Stato e dei governi locali aumentano a dismisura. E a rimetterci siamo tutti, le famiglie solide in primis. La vostra inchiesta, del resto, lo ha reso molto bene: quando una coppia scoppia, spesso uno dei due cade in disgrazia, i figli annaspano. E lo Stato ed i comuni che fanno? Riconoscendo la difficoltà, in qualche modo, vengono incontro a questo disagio: favorendo l’ingresso dei bambini di separati al nido o l’accesso ad una casa popolare, sgravando fiscalmente l’assegno di mantenimento. Giusto. Il problema è che, questo regime privilegiato, favorisce l’elusione: così diverse famiglie, magari ben (o mal) consigliate, ne approfittano e si separano fittiziamente. La famiglia che tiene, tirando la cinghia, ma stando alle regole, finisce in fondo alle graduatorie, paga più tasse. E barcolla. Assurdo».

Dunque: meglio prevenire che curare…

«Sarà un caso, ma come mai in Francia, dove le politiche familiari sono all’avanguardia, l’indice di fertilità è di due figli a donna?».In Francia esiste il quoziente familiare…

«Noi abbiamo chiesto più volte di rivedere la scala di equivalenza dell’Isee, aumentando il valore di ogni figlio che si aggiunge, nel tempo, al nucleo familiare. Il quoziente familiare puro non piace ad alcune forze politiche perché: si applica al reddito imponibile familiare e non a quello individuale e questo entra in attrito con l’articolo 53 della Costituzione che recita: “ tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”; favorisce soprattutto le famiglie monoreddito, specie quelle con redditi più alti e, di fatto, disincentiva il lavoro femminile. Più consenso trova invece il Fattore famiglia, che abbiamo presentato a Milano nello scorso novembre in occasione della conferenza nazionale della famiglia».

Cosa prevede?

«Per semplificare il calcolo, evitare complicati correttivi e per rispondere appieno ai dettami costituzionali, proponiamo di intervenire introducendo un’area non tassabile, né dallo Stato, né dalle Regioni e nemmeno dai Comuni, proporzionale alle necessità primarie della persona, necessità che non possono costituire capacità contributiva e che quindi non possono essere tassate. Abbiamo chiamato questo reddito non assoggettabile a tasse no tax area. Esso sarà proporzionale ai carichi familiari e crescerà al loro aumentare. A differenza del quoziente familiare alla francese, che, secondo i critici, ha il difetto di favorire maggiormente i redditi alti, Fattore famiglia agisce partendo dalla parte bassa del reddito: in questo modo le aliquote interessate sono sempre le stesse, indipendentemente dal reddito. Ma c’è di più: Fattore famiglia prevede un credito di imposta per gli incapienti».

A che punto siamo?

«Quattro di noi (Roberto Bolzonaro, Giuseppe Ficini, Andrea Tomasi e Pietro Boffi) partecipano, insieme a rappresentanti di Confindustria, delle associazioni professionali e dei sindacati, ai tavoli istituiti dal ministro Giulio Tremonti alla Scuola superiore del Ministero di economia e finanza a Roma, per indagare su spesa sociale ed agevolazioni fiscali, ma anche sull’economia sommersa e metter così mano alla prossima legislazione fiscale. Lì portiamo le istanze contenute in Fattore famiglia. Da dicembre ci ritroviamo una volta al mese, ad aprile dovremmo fare l’ultimo incontro… speriamo di venire ascoltati. Intanto lo scorso martedì 15 marzo, alla sede del Cnel abbiamo organizzato un convegno sul tema «Un fisco family friendly: il fattore famiglia alla prova».

Quanto costerebbe allo Stato questa riforma family friendly?

«Secondo alcune stime,  tra i 15 ed i 17 miliardi di euro, derivanti soprattutto dal credito di imposta per gli incapienti. Ma il sistema potrebbe essere applicato in modo graduale, prima di arrivare a regime. E in tal caso il costo sarebbe molto meno oneroso. Del resto tutti, dal centrodestra al centrosinistra, han promesso un impegno serio a favore della famiglie. È questo il momento di passare dalle parole ai fatti».

La proposta del Forum: Fattore famigliaSi chiama «fattore famiglia» la proposta lanciata dal Forum delle associazioni familiari per arrivare in tempi brevi ad un sistema finalmente equo per le famiglie con carichi familiari, a partire dal dettato costituzionale (artt. 30 e 31, ma soprattutto l’art. 53, «tutti sono chiamati a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva»).

Il «fattore famiglia» modificherebbe l’attuale sistema facendo sì che a parità di reddito, una famiglia con tre figli paghi molte meno tasse rispetto ad una famiglia che non ha figli; esso può inoltre riconoscere altri fattori di difficoltà familiare (quale, ad esempio, presenza di disabili), sostenendo così la famiglia nei suoi compiti di cura. Servirebbe anche a superare il sistema vigente degli assegni al nucleo familiare, attualmente calcolati in base al reddito familiare. L’unificazione dei due sistemi, assegni e tassazione, in un sistema integrato, renderebbe il tutto più chiaro e semplice, estendendone i vantaggi anche a chi oggi non ne usufruisce.

Dal punto di vista tecnico il «fattore famiglia» si basa sui seguenti elementi:– introduce una «no tax area familiare» determinata dai costi di mantenimento ed accrescimento dei singoli componenti del nucleo familiare; più persone sono presenti nel nucleo, maggiore sarà il reddito non sottoposto a tassazione;– La No tax area si calcola moltiplicando il costo di mantenimento del dichiarante per un coefficiente dedotto da una scala di equivalenza definita dal numero dei componenti e dalle problematiche del nucleo familiare;– adotta il criterio della quota fissa: la quota di reddito sarà esente dalla tassazione dell’aliquota più bassa (oggi il 23%). In tal modo si garantisce equità di vantaggio tra redditi bassi, medi e alti (punto critico del «quoziente familiare» nelle sue diverse versioni);– adotta criteri oggettivi e aggiornabili anno per anno per misurare la no tax area: in particolare adotta la soglia di povertà misurata dall’Istat annualmente (circa 7.000 euro per persona sola, oggi);– usa un «coefficiente familiare» progressivo rispetto al numero di figli: in altre parole il peso dei figli viene adeguatamente riconosciuto (oltre il doppio di quanto faccia oggi ad esempio l’ISEE).– Fissa il reddito familiare a livello nazionale, in modo universalistico, e offre al federalismo fiscale una misura della ricchezza familiare che assicura parità di trattamento a livello nazionale e possibilità di intervento differenziato tra Regioni e negli enti locali. Parla il Vigile urbano:«Tante le residenze fasulle, ma i controlli vengono fatti»Le raccomandazioni sono sempre le stesse: controllare se, al campanello, è indicato il nome corretto. Suonare all’abitazione. Cercare chi ha dichiarato di risiedervi. Un’occhiata alla casa: c’è l’acqua? e la luce? e il gas? la cucina è funzionante? e i letti sono presenti? ed un armadio per i vestiti? Sono presenti, effettivamente, tutti i membri del nucleo familiare dichiarato all’ufficio comunale? Quando l’ufficio anagrafe del comune, la Questura o la Prefettura vogliono verificare se il single o la famiglia abita nell’alloggio in cui dichiara di risiedere, quasi sempre affidano questo compito alla polizia municipale..

L’istruttore direttivo della polizia municipale Andrea Bini, segretario generale di Cisl funzione pubblica a Pistoia, di verifiche ne ha fatte molte. «Verifiche scrupolose. Perché alle residenze fittizie non ricorrono solo coppie che si separano sulla carta, ma anche delinquenti che cambiano ufficialmente casa da un mese all’altro per rendersi irreperibili e/o sfuggire ai controlli delle autorità competenti». «Di residenze fittizie – ci dice – ne abbiamo scoperte diverse. Uomini o donne che, in un mese, non si sono fatte trovare in casa nemmeno a tarda sera o nel fine settimana, o che hanno aperto la porta ma che non hanno saputo dimostrare di abitare effettivamente in quell’alloggio».

Quando il dichiarante non è in casa? «Chiediamo notizie anche ai vicini». «Se la prima visita non ci convince, possiamo tornare in quell’appartamento per ulteriori verifiche. Al termine dobbiamo compilare e sottoscrivere l’apposito modulo da restituire all’ufficio anagrafe del comune o redigere un rapporto da inviare all’autorità che ha chiesto la verifica».

I controlli, dunque, sono scrupolosi. Ma chiedono tempo e pazienza. E questo mal si concilia con il numero degli agenti e con quello delle richieste «soprattutto nei comuni medio – grandi». Dunque? «Sì, nonostante i nostri sforzi – ammette Bini -  alcuni possono farla franca».

A.B. L’intervento:Un tavolo «bipartisan» di stimolo alla Giunta e al Consiglio regionaleIn Consiglio regionale è nato e già sta lavorando un gruppo di lavoro che unisce tutti coloro i quali credono che alla Toscana serva un forte impulso per sostenere la famiglia e la natalità. Unisce consiglieri del centro-destra e del centro sinistra e ha come punto di riferimento il manifesto del Forum Toscano delle Famiglie sottoscritto in occasione della campagna elettorale del 2010 anche dal Presidente Enrico Rossi.

La scelta è chiara: dare alle famiglie toscane politiche di promozione e sviluppo e mettere al centro la natalità intesa come ricchezza e patrimonio di tutti. Scelte a cui si legano iniziative precise che vorrebbero impegnare Consiglio e Giunta su pochi ma significativi punti come il sostegno alle giovani coppie; gli incentivi alla natalità, l’attivazione della formula del «Fattore famiglia» grazie alla quale tariffe e servizi di competenza regionale verranno calcolati in base al combinato disposto tra il reddito e la composizione familiare; l’introduzione della «valutazione di impatto familiare» così che ogni azione legislativa della Toscana venga valutata e vista con gli «occhi» delle famiglie; il sostegno alle associazioni familiari che costituiscono un reticolo importante di valori ma anche di concrete azioni di prossimità; la rimodulazione dell’ISEE; la valutazione del funzionamento dei Consultori.

Su alcuni punti già ci sono stati importanti avanzamenti, su altri siamo ancora in fase di elaborazione, ma su tutti c’è l’impegno per trovare convergenze di buon senso che sappiano superare inutili steccati ideologici per andare direttamente al cuore delle questioni.

Va da sé che ci sono sensibilità diverse e anche posizioni articolate, come anche il dibattito sul bilancio preventivo nel dicembre scorso ha dimostrato e nessun Gruppo politico intende con questa scelta rinunciare alle proprie idee o particolarità. Si tratta, tuttavia, di capire su quali punti la convergenza si può trasformare in sostanziale adesione così da accelerare le scelte dando risposte concrete.

Da tempo, e da più parti, si dice che le famiglie toscane rappresentano una leva di sviluppo e un luogo di valori così come è molto condivisa l’idea che la sofferenza demografica che stiamo vivendo impone scelte concrete da fare oggi per invertire la tendenza domani. Ma non solo: è diffusa la convinzione che spesso il «no» alla vita e alla natalità ha ragioni economiche che la politica ha il dovere di rimuovere.

Su questi punti in campagna elettorale, da candidati, ci siamo impegnati ora riteniamo quindi serio e doveroso, da eletti, creare le condizioni perché l’impegno divenga non solo una promessa, ma un agire concreto anche a costo di rinunciare a battaglie solitarie poco utili a raggiungere gli obiettivi.

Il Gruppo, inizialmente composto da Marco Carraresi (UDC), Stefania Fuscagni (PDL- Portavoce Opposizione) e Paolo Bambagioni (PD) si è aperto al contributo fattivo di altri consiglieri: Gian Luca Parrini , Nicola Danti  e Caterina Bini (PD), Gian Luca Lazzeri (Lega Nord), Stefano Mugnai, Paolo Ammirati, Giovanni Donzelli, Jacopo Ferri, Nicola Nascosti (del PDL).

Marco Carraresi (Udc)Stefania Fuscagni(PdL – Portavoce dell’Opposizione)Paolo Bambagioni (Pd) Colpa di norme troppo complesseCoppie che si separano (ma solo sulla carta) per risparmiare sul fisco, per strappare l’integrazione al minimo della pensione o assegni familiari più alti, per ottenere più facilmente l’accesso del loro figlio al nido o una casa popolare: sono gli effetti di un corto-circuito normativo che finisce con il penalizzare, in diversi casi, le famiglie solide. La nostra inchiesta su «fisco e famiglia» è arrivata nelle mani dei politici.

Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle politiche per la famiglia, non appare sorpreso dagli esiti del nostro dossier: «Devo dire che ero a conoscenza di possibili effetti distorsivi di alcune disposizioni fiscali o di possibili paradossi». «Effetti di questo genere – dice – credo siano dovuti alle modalità con cui nel tempo si è consolidato il nostro sistema fiscale: molto complesso, frutto di una non semplice stratificazione normativa. Proprio per questo motivo ho salutato con estremo favore la costituzione di un tavolo presso il Ministero dell’economia e delle finanze per avviare quella che sarà una sfida ambiziosa che punta a riformare un sistema fiscale concepito negli anni 60 e perciò ormai obsoleto. Credo che con il disboscamento di tutte quelle forme di erosione della base imponibile che invece di essere l’eccezione si traducono nella regola, con la semplificazione si possa costruire un fisco più a misura del cittadino, concentrando le agevolazioni su famiglie, lavoro e imprese».

«Sulle politiche per la famiglia – dice anche Giovanardi – il nostro Paese non è all’anno zero. La spesa sociale non si può giudicare in base al maggiore o minore finanziamento di un fondo rispetto ad un altro, di competenza di questo o quel dicastero. Credo che un serio ragionamento debba essere fatto avendo presente i grandi aggregati, relativi alla fiscalità di vantaggio per la famiglia, agli assegni familiari, alle varie forme pensionistiche, ai servizi socio-sanitari, al sostegno delle invalidità, agli ammortizzatori sociali. Se uno va a vedere il totale delle spese in questa direzione forse siamo al livello di grandi Paesi europei. Da una ricognizione effettuata dal Ministero del lavoro, la dimensione finanziaria a favore della famiglia ammonterebbe a circa  65 miliardi di euro, di cui 14, 9 miliardi destinati nel 2009 per agevolazioni fiscali a favore della famiglia».

Il fenomeno delle false separazioni? Secondo Luigi Bobba, già presidente nazionale delle Acli ed ora deputato del Partito Democratico, il problema esiste: «Non dico che il legislatore, quando ha emanato certe norme, non fosse animato da buone intenzioni, ma è un fatto che certi effetti distorsivi delle disposizioni fiscali finiscono con il penalizzare le famiglie. A pagare sono, al solito, i cittadini onesti, quelli che hanno figli, che nonostante tutto continuano a credere nel futuro».

Luisa Capitanio Santolini, già presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari ed ora deputato dell’Udc: «È molto grave che siamo ridotti a questo punto ed è grave che uno Stato induca i propri cittadini ad essere disonesti, perché li deruba sistematicamente dei loro diritti e accetta che il sistema fiscale sia una prateria dove non ci sono regole giuste, dove non ci sono “ripari” di sorta e dove vige la legge del più furbo».

A.B.Le precedenti puntateLa nostra inchiesta, condotta Andrea Bernardini, si è incentrata sulle distorsioni e incongruenze del sistema fiscale italiano nei confronti della famiglia. Invece di favorirla, soprattutto quando nel nucleo ci sono figli o anziani non autosufficienti, la penalizza, inducendo anche i cittadini a comportamenti anomali o fraudolenti. La prima puntata (n. 4 del 30 gennaio 2011) si è occupata delle coppie che si dividono solo sulla carta per pagare meno Irpef. Fenomeno più diffuso di quello che si possa pensare; così come la scelta di non sposarsi per non perdere vantaggi fiscali o quando devono chiedere al Comune l’erogazione di un servizio sociale. Separandosi fittiziamente (o non sposandosi) si risparmia sull’Irpef e sull’acquisto di una seconda casa, con relative tariffe per acqua, luce, gas e rifiuti. Del resto il dato di separazioni che poi non sfociano naturalmente in divorzi e spesso in età anche avanzata, destano molti sospetti. Anche l’Isee (o Iseu nel caso delle tasse universitarie), istituito per determinare la vera situazione economica del nucleo, in modo da erogare servizi in base al reddito, da strumento di equità si può trasformare in evidente ingiustizia.Nella seconda puntata, sul n. 7 del 20 febbraio, abbiamo visto come ci siano «falle» anche nel sistema dell’Inps. Incredibile ma vero, separarsi (fittiziamente) dal marito o dalla moglie a 60 e più anni conviene, persino se si vuol ricevere l’integrazione al minimo della pensione. Abbiamo anche messo a confronto una coppia sposata e una convivente per vedere vantaggi e svantaggi nel caso di detrazioni e assegni familiari, rette scolstiche, ecc. Nella terza puntata, sul n. 9 del 6 marzo, abbiamo affrontato invece il problema dell’accesso ai «nidi». Un servizio che difficilmente riesce a coprire tutta la richiesta, causando anche lunge liste d’attesa. Giustamente si tiene conto di situazioni «difficili» nell’assegnare i punteggi per le graduatorie. E non sono poche le coppie che, per favorire l’ingresso di loro figlio al nido, scoppiano uno o due mesi dopo la nascita del pargolo, le mamme che prendono residenza dalle nonne per dimostrare che con il loro partner è veramente finita, i papà che riconoscono il loro pupo solo dopo tre anni di vita. E oltre all’accesso c’è poi la retta, che nel caso dei «nidi» è sempre alta. Anche qui la forbice effettiva, dovuta alla dichiarazione Isee del nucleo familiare, è molto ampia. Altro fenomeno esaminato è quello della «scissione familiare» pensato dal legislatore per casi come quello del figlio che mette su casa per conto proprio. Poi, anche qui, sono arrivate le applicazioni distorsive, determinate essenzialmente dalla possibilità di fruire di agevolazioni fiscali.