Toscana

Il risiko delle Province. E la Toscana litiga

di Simone Pitossi

Il Risiko delle Province sembra complicarsi sempre più. E i tempi cominciano a stringere. Il decreto del Governo – poi convertito in legge – e la successiva delibera del Consiglio dei ministri stabiliscono alcuni paletti. Almeno 350 mila abitanti e un’estensione non inferiore ai 2500 chilometri quadrati. Questi i parametri previsti per la sopravvivenza. In Toscana chi si salva e chi scompare? Sulla base dei criteri di riordino, sulle 10 Province attuali, si salverebbe solo Firenze (via Grosseto, Siena, Arezzo, Lucca, Massa Carrara, Pistoia, Prato, Pisa e Livorno). Le altre sarebbero costrette ad accorparsi. Ma nessuna con Firenze. Perché per alcuni capoluoghi di Regione – tra questi proprio Firenze – è prevista la soppressione della Provincia e la contestuale istituzione della «Città metropolitana» senza possibilità di unirsi con una o più province esistenti.

Sulla base di questi «paletti» una prima ipotesi di revisione prevede quattro nuove province. Firenze, una macroarea che comprende Massa, Lucca, Pistoia e Prato, un’altra con Pisa e Livorno, l’ultima con Arezzo, Siena e Grosseto. A parte alcuni accostamenti azzardati dal punto di vista campanilistico (Pisa e Livorno…) c’è poi il problema del capoluogo. La delibera stabilisce che sia quello con la maggior popolazione residente: quindi Prato per la Toscana del Nord, Livorno per la costa, Arezzo per la Toscana del Sud.

A questa prima ipotesi si è aggiunta la proposta del presidente della Toscana Enrico Rossi. «La mia proposta di riorganizzazione istituzionale per la Toscana – spiega – prevede la costituzione di tre aree vaste: quella del Sud, con Grosseto, Arezzo e Siena capoluogo; quella della Costa, con Massa, Lucca, Livorno e Pisa capoluogo e, infine, quella metropolitana, con Prato, Pistoia e Firenze capoluogo. Le aree vaste non sono una novità per la nostra regione e possono consentire una riorganizzazione di servizi e strutture andando oltre la semplice somma di più province. La Regione ha bisogno di interlocutori forti con cui discutere e agire e Siena, con la sua storia e le sue potenzialità, è un capoluogo storico che non possiamo perdere. Questo è quanto ho proposto anche al ministro per la pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi».

La questione dei capoluoghi non poteva essere indolore. Su questo, ma anche su altro, infiammano le polemiche. Il presidente della provincia di Arezzo, Roberto Vasai, è stato tra i primi a reagire. Perché, tra l’altro, il territorio aretino potrebbe mantenere l’autonomia se venissero presi in considerazione i dati dell’ultimo censimento che assegnano alla provincia oltre 351 mila abitanti (per quanto riguarda il territorio è già oltre la soglia). «In base all’attuale censimento e non a quello di undici anni fa – attacca – Arezzo ha tutti i requisiti per essere il capoluogo di tale area vasta. Sento parlare poi di strani accorpamenti, ascolto intenzioni di annessioni a Firenze o a Perugia da parte di alcuni comuni del Valdarno o dalla Valtiberina. Sinceramente non mi fanno né caldo né freddo dal momento che esiste un decreto preciso con limiti chiari. Se poi lo si vuole modificare per Prato o Pistoia lo si può fare anche per Arezzo. Una cosa è certa: questa provincia ha una sua integrità e cercheremo di difenderla fino all’ultimo».

Nel frattempo il Consiglio regionale ha istituito una Commissione paritetica per avanzare la proposta di riordino delle Province. La commissione è composta da sedici componenti: otto di designazione del Consiglio regionale (ossia il presidente dell’Assemblea o suo delegato ed i presidenti dei gruppi o loro delegati) e otto del Consiglio delle Autonomie locali. Critico il presidente della Provincia di Grosseto, Leonardo Marras: «È priva di ogni potere riconosciuto dalla legge e non può in alcun modo sovrapporsi al ruolo di discussione e proposta di cui è titolare il Consiglio delle autonomie locali». In una lettera indirizzata al presidente Rossi e al presidente Monaci scrive: «Vi ricordo che l’articolo 17 del decreto prevede esplicitamente e incontestabilmente che il Consiglio delle autonomie locali (Cal) sia l’unica istanza legittimata ad avanzare alla Regione Toscana la proposta di riordino tenendo conto dei criteri di massima fissati dal Governo». Scetticismo anche nel Pd livornese, sia «nel merito che nella forma», per le posizioni espresse dal presidente Rossi sulla individuazione dei futuri capoluoghi. La direzione territoriale del partito di Livorno in un documento giudica le posizioni di Rossi come «lesive di procedure già individuate a livello normativo, svilendo il lavoro del Cal e del Consiglio regionale oltre che ad alimentare tensioni ed ulteriori difficoltà in una fase già delicata».

La scheda

I parametri. Due quelli principali: 350 mila abitanti e 2500 chilometri quadrati di superficie. In caso di unione, il capoluogo spetta alla cittàpiù popolosa. Firenze da subito città metropolitana senza accorpamenti

I tempi. Il riordino è stato approvato nel decreto sulla spending review, poi diventato legge. La legge concede al Consiglio delle autonomie locali (Cal) tempo fino a ottobre. Poi la Regione avrà 20 giorni di tempo

Una beffa. Quella di Pisa viene fatta fuori per un soffio, fermandosi a 56 chilometri quadrati dal requisito di superficie (è 2444 chilometri quadrati), mentre Arezzo non centra per un’incollatura il requisito minimo di popolazione richiesta, attestandosi a 349.690 abitanti. Un dato quest’ultimo, riferito, al più recente censimento di cui sono disponibili i dati (2001): se fossero resi ufficiali i dati del censimento 2011, allora la provincia aretina sarà in grado di superare la soglia dei 350 mila abitanti.

Comuni che ballano. La delibera del Consiglio dei ministri tiene conto anche di «eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti». Ovvero comuni che si spostano da una provincia all’altra o da una regione all’altra. Ipotesi, più o meno realistiche, sono state avanzate. In questo quadro c’è il Valdarno fiorentino e quello aretino che potrebbero unirsi (da Rignano a Terranuova) e finire nell’area metropolitana fiorentina. Oppure il Comune di Zeri in Lunigiana che, tramite referendum, vorrebbe lasciare Massa e andare con La Spezia in Liguria. Si è parlato anche di un’ipotesi Valtiberina con Perugia.

Le funzioni. «La riforma delle province porta con sé il rischio di creare un ente che non funziona. Il nodo vero è cosa fare del decentramento amministrativo inteso nella sua complessità, quindi Camere di commercio, questure, provveditorati e quant’altro». Con queste parole Oreste Giurlani, presidente di Uncem Toscana, ha commentato la riforma delle province.