Mondo

Maternità surrogata: uno stop dalla Corte europea dei diritti dell’uomo

(Strasburgo) «La Corte giudica che la relazione tra i ricorrenti e il bambino non rientra nell’ambito della vita familiare»: è quanto afferma la sentenza di Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, emessa oggi in relazione al caso «Paradiso-Campanelli contro Italia».

Il caso riguarda una coppia italiana residente nella provincia di Campobasso, recatasi in Russia nel 2011: attraverso una società privata, la coppia sposata aveva ottenuto da una «madre surrogata» un bambino, che non ha alcun legame biologico con la coppia stessa. Secondo la legge russa, la coppia ha potuto registrare il bambino come proprio figlio, ma al rientro in Italia, il tribunale si è rifiutato di registrare il bambino come figlio della coppia e, dopo avere appurato che non esisteva alcun legame biologico, aveva disposto che il bambino venisse sottratto alla cura dei ricorrenti (in quel momento il bambino aveva circa otto mesi), affidandolo poi in adozione a un’altra famiglia.

La sentenza odierna ribalta una sentenza precedente della Corte, del gennaio 2015: essa affermava che la sottrazione del bambino alla prima coppia aveva violato l’art. 8 della Convenzione sui diritti dell’uomo (diritto alla vita privata e familiare), non tenendo conto dell’interesse superiore del bambino. Il nuovo pronunciamento afferma invece che la magistratura italiana aveva agito proprio nel superiore interesse del bambino, ponendo inoltre di fatto un freno alla pratica della maternità surrogata.

«Una sentenza importante, che non ci dice tutto sui limiti di liceità della maternità surrogata, ma che almeno pone dei paletti»: Laura Palazzani, docente di Filosofia del diritto all’Università Lumsa di Roma e vice presidente del Comitato nazionale per la bioetica commenta così al Sir la sentenza. «Si tratta – aggiunge – di un pronunciamento di notevole rilievo, anche perché è una sentenza definitiva che fa giurisprudenza a livello internazionale». Secondo la professoressa Palazzani «si stabilisce anzitutto un limite al turismo procreativo, secondo il quale una coppia che ha avuto un bambino all’estero mediante la maternità surrogata (proibita nel proprio Paese) tornava in patria con la quasi automatica certezza del riconoscimento del bambino nato come proprio figlio». Altrettanto interessante il fatto, secondo l’esperta di bioetica, che «la Grande Chambre abbia stabilito che non c’è, in questo caso, violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, che tratta del diritto al rispetto della vita privata e familiare». Secondo Palazzani il pronunciamento va nella direzione della protezione dell’interesse superiore del bambino, riconoscendo che vi sono «condizioni minime per stabilire quando sussista un legame familiare, identificate nella presenza di un legame biologico e nella conformità alla legislazione internazionale dell’adozione». «Questi sono ritenuti requisiti minimi per evitare l’incertezza e precarietà giuridica dei legami genitori/figli». «Non basta provare affetto e vivere per qualche tempo con un bambino per essere riconosciuti genitori».

Gregor Puppinck, di European Centre for Law and Justice fa notare che «al contrario della prima decisione» della Corte, risalente al 2015, la Grande Chambre ricorda che «la Convenzione non consacra alcun diritto a diventare genitori». Inoltre, il fatto di non lasciare il bambino ai ricorrenti e di affidarlo a un’altra coppia significa che la Corte non accetta di legalizzare una situazione di fatto «avvenuta in violazione di regole importanti del diritto italiano». Puppinck spiega che la coppia si era rivolta a una società privata in Russia che aveva fatto da tramite per l’«utero in affitto» e il «donatore» maschio di gameti, versando il corrispettivo di 49mila euro. Il bambino era poi stato con la coppia, rientrata in Italia, per soli sei mesi. Per la Corte non si è sviluppato così un vero legame familiare e ha dato ragione al tribunale italiano che aveva invece affidato il neonato a un’altra famiglia.

Puppinck parla di «decisione importante», assunta con 11 voti contro 6. «In questo modo la Corte» inoltre «rende agli Stati europei una certa facoltà di lottare contro la maternità surrogata internazionale». Occorre però sottolineare, spiega l’esperto, come «questo caso si distingua dalle precedenti sentenze pronunciate contro la Francia» (casi Mennesson, Labassée) proprio perché nel caso odierno, a differenza dei precedenti «il bambino non ha alcun legame biologico» con la coppia che ha proceduto con la maternità surrogata in Russia.