(da Rawalpindi) Dopo l’attentato di ieri a Karachi altre bombe possono esplodere ovunque. Anche se noi cristiani siamo, per certi versi, discriminati e perseguitati, non penso che in Pakistan si arriverà alla situazione irachena. Ma se succederà siamo pronti. Non dobbiamo avere paura di niente: a parlare è mons. Anthony Lobo, vescovo di Islamabad e Rawalpindi, che nel suo esteso territorio diocesano è alla guida di una piccola comunità di 180.808 cattolici (su una popolazione di 36.522.000 di persone). I cristiani pakistani, inoltre, non fuggono dal Paese, perché spesso sono tra i più poveri tra i poveri e non hanno la possibilità di pagare un visto, che è molto costoso. Gli obiettivi dei terroristi spiega non sono tanto le chiese quanto piuttosto le moschee, la polizia, i militari, i santuari sufi. Le difficoltà dei cristiani sono dovute soprattutto all’abuso della legge sulla blasfemia: quando nei villaggi rurali le persone litigano, qualcuno può usare questo strumento per vendicarsi. In città è più difficile perché i cristiani sono più istruiti e sanno stare in silenzio e interloquire con i musulmani.Il vescovo racconta, a questo proposito, un recente episodio che lo ha visto protagonista, insieme ad un amico musulmano: Si è avvicinato un mullah che non sapeva nulla del cristianesimo e ha fatto domande per cercare di mettermi in difficoltà. Il mio amico ha prontamente risposto al posto mio. Questo è un bel segno, dimostra che il dialogo interreligioso è possibile, nonostante negli ultimi 50 anni la situazione si sia molto deteriorata.Sir