E’ stato eseguito martedì scorso, come preannunciato da tempo, lo sfratto della casa di cura Villa Cherubini, gestita dall’Istituto Prosperius, che aveva sede in un’immobile di proprietà della Casa generalizia dell’Istituto piccola compagnia di Maria. Il provvedimento arriva al termine di un lungo iter giudiziario e dopo una serie di rinvii. «Adesso – ha spiegato l’avvocato Mario Ruggeri, che assiste Prosperius – ci sarà un’interruzione dell’attività, in attesa che sia disponibile la nuova sede, in costruzione in zona San Domenico ma al momento sotto sequestro da parte della procura».I circa 70 dipendenti si trovano in cassa integrazione in deroga da alcuni mesi. Sabato avevano ricevuto la solidarietà dell’assessore alle politiche sociosanitarie Stefania Saccardi, che aveva portato loro anche quella del sindaco Matteo Renzi. «Questi lavoratori chiedono solo una cosa – spiegano i sindacati – il rispetto dell’accordo per il loro ricollocamento in altre attività sanitarie del territorio fiorentino siglato il 30 luglio da Regione, Comune e Provincia e Asl 10. Tra loro c’è grande preoccupazione, perchè la cassa integrazione finisce il 31 dicembre e al momento non si vedono soluzioni».Anche la Diocesi di Firenze segue da tempo questa complessa vicenda. «In questi anni – dichiara al nostro settimanale don Giovanni Momigli, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale sociale e lavoro – come diocesi abbiamo seguito con attenzione l’evolversi di tutta la situazione, sia attraverso contatti con la proprietà, sia attraverso contatti costanti con le autorità pubbliche. Di fronte all’impossibilità, che abbiamo dovuto registrare, di una composizione positiva fra la proprietà e il gruppo Prosperius, la Diocesi, anche il Vescovo in prima persona, ha moltiplicato i contatti con le istituzioni, a partire dalla Presidenza della Regione, affinché si possano individuare soluzioni che a conclusione della vicenda si dimostrino adeguate per la salvaguardia del posto di lavoro di coloro che oggi sono occupati a vario titolo a Villa Cherubini». «Queste cose – conclude don Momigli – abbiamo avuto modo, nel tempo, di esprimerle sia ai lavoratori che alle organizzazioni sindacali».