(Port-au-Prince) – Un cartellone bianco con la scritta Haiti giace immerso a metà tra le macerie. Come la popolazione, ancora più misera e disperata di prima, un formicaio caotico e brulicante di attività che prova a sopravvivere di giorno tra calcinacci, puzzo insopportabile e immondizia. Ed è costretta a dormire sotto le stelle di notte, in una devastazione senza precedenti, la stessa dei primi giorni, veramente indescrivibile a parole. Sotto le stelle ancora per poco, perché a breve inizierà la stagione delle piogge e degli uragani, e la nottata sarà molto più dura da passare. E a circa due mesi e mezzo dal sisma del 12 gennaio che ha sconvolto Port-au-Prince, provocando almeno 223.000 morti e oltre 1 milione e mezzo di senzatetto, qui siamo ancora in piena emergenza. Nel centro città, una delle zone più colpite dal sisma, la gente improvvisa la vita accanto alle macerie della cattedrale, dei palazzi del potere sconquassati, delle chiese smembrate, degli ospedali e degli edifici accartocciati su sé stessi, perfino il cimitero, e chissà quanti – si dice – sono ancora sepolti là sotto. Le cifre ufficiali parlano di oltre 800 dispersi, ma tanti vivevano nelle bidonvilles senza nemmeno essere registrati come residenti, per cui potrebbero essere molti di più.E’ un incubo, una situazione terribile mai accaduta in nessun’altra parte del mondo – afferma deciso Mauro Ansaldi, coordinatore del team di dieci esperti di Caritas internationalis, tutti alloggiati tra tende e camere affollate nella sede nazionale di Caritas Haiti -. Sarà molto difficile venirne fuori perché non si sa come fare, da dove iniziare. La gente vive in alloggi di fortuna sopra le macerie, a migliaia non hanno tende, non si sa dove costruire gli alloggi temporanei. La risposta agli innumerevoli bisogni di una popolazione già povera, con un governo annientato dal disastro, è molto complessa da realizzare. Temo che la fase dell’emergenza durerà molto più del previsto. La confederazione Caritas aveva lanciato un primo appello per 19 milioni di euro e le raccolte fondi in ambito cattolico hanno avuto un buon riscontro: solo al Catholic relief service (la Caritas americana) sono arrivati 100 milioni di dollari di offerte. Alla Caritas italiana circa 10 milioni di euro, più i 2 milioni messi a disposizione dalla Cei e 1 milione dalla stessa Caritas. Nella prima fase di aiuti a oltre 40.000 famiglie la Caritas si sta concentrando sulla distribuzione di alimenti, kit per costruire alloggi d’emergenza, acqua e igiene, ma anche sul cash for work, retribuire cioè le persone con 5 dollari al giorno per piccoli lavori come rimuovere le macerie o aprire canali. Speravamo di iniziare la seconda fase a maggio – precisa Ansaldi – ma temo saremo costretti a distribuire ancora altre tende, perché è ancora impossibile costruire case prefabbricate temporanee. Secondo Ansaldi la Conferenza dei 28 Paesi donatori che si aprirà a New York il 31 marzo sarà una sfida enorme per la comunità internazionale, perché ancora non è chiaro cosa e come fare per la ricostruzione. Per gli operatori umanitari presenti ad Haiti – si parla di circa 5000 tra piccole e grandi realtà, molto poco visibili in verità – si pone inoltre la questione sicurezza. E’ di pochi giorni fa la notizia del rapimento e rilascio, dopo una settimana, di due operatrici europee di Medici senza frontiere. Anche camion e pulmini vengono spesso assaltati e al tramonto il coprifuoco è per tutti assolutamente scontato. Del resto, come suggerisce Claudette La Joie, di Caritas Haiti, che con marito e tre figli dorme in strada come tutti gli altri perché non ha ancora una tenda, il faut s’arranger. Bisogna arrangiarsi. Anche stanotte che ha iniziato a piovere forte.Sir