L’avvenire dei cristiani iracheni deve essere studiato prima di tutto dai cristiani che vivono in Iraq: caldei, assiri, siri e armeni, attraverso la mediazione di competenti e disinteressati leaders politici, che devono prendere una posizione chiara sul futuro dei cristiani. Così il vescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, risponde attraverso il Sir, ad alcuni politici, intellettuali e anche religiosi che, dal di fuori dell’Iraq, chiedono l’istituzione di una zona autonoma, un safe haven, per i cristiani nella piana di Ninive. Una interferenza che creerà problemi gravi. Queste persone – dice il vescovo – che vivono in sicurezza mentre noi cristiani dell’Iraq siamo spesso esposti ad attentati terroristici e alla morte, forse con il nobile intento di aiutarci, di fatto non solo senza consultarci quanto al nostro destino e al nostro futuro pretendono di decidere a nostro nome senza averne ricevuto il mandato. Per Sako chiedere un’enclave per i cristiani è un gioco politico molto pericoloso: un ghetto porterebbe scontri settari, religiosi e politici; la nostra stessa libertà ne verrà diminuita. Reclamare la creazione di un ghetto è contro il messaggio cristiano, che ci vuole sale e lievito in mezzo alla pasta dell’umanità. Noi cristiani siamo una presenza significativa nella vita sociale e religiosa del Paese e siamo iracheni a tutti gli effetti.Sir