Toscana

ARSIA, CON VERO ALBERO NATALE FACCIAMO UN REGALO ALL’AMBIENTE

Portando a casa un abete coltivato in Casentino o nella montagna pistoiese (al posto ovviamente dell’ alberello di plastica) “facciamo un bel regalo natalizio al nostro ambiente, rilanciando l’economia di aree rurali spesso svantaggiate”. E’ quanto è emerso dalla giornata di studi che si è svolta oggi a Poppi (Arezzo), organizzata dall’Agenzia regionale per lo sviluppo l’innovazione del settore agricolo e forestale (Arsia), durante la quale sono stati presentati i risultati e le attività del progetto di ricerca sulla produzione biologica di piante ornamentali ‘Pro.bi.orn’, durato 2 anni. Sono circa mille, con 10mila addetti, le aziende vivaistiche specializzate che producono alberi di Natale in Italia di cui la quasi totalità in Toscana (Pistoia e Arezzo) e Veneto. In Toscana la produzione è in circa 800 ettari fra il Casentino e l’Appennino pistoiese. Per produrre, ad esempio, 500mila alberi di Natale in plastica si consumano 10mila tonnellate di petrolio e si consumano 88 milioni e mezzo di kg di acqua immettendo nell’ambiente 11,5mila tonnellate di anidride carbonica. Con l’abete vero, invece, tutto questo si riduce a 45,2 grammi di petrolio ad albero e 103g di anidride carbonica. Emissioni che si ridurrebbero a zero con la coltivazione biologica. “E’ fondamentale far capire i vantaggi dell’albero di Natale coltivato – ha detto Maria Grazia Mammuccini, amministratore Arsia -: ne guadagna il nostro ambiente e con la coltivazione biologica dell’abete natalizio possiamo eliminare anche quel minimo impatto ambientale che è comunque di gran lunga minore rispetto all’albero di plastica. Inoltre incentivare il vivaismo come produzione dell’albero permette di riqualificare l’economia di aree montane della Toscana, ritenute marginali per l’agricoltura convenzionale, ma che possono trovare in questa produzione uno sbocco commerciale alternativo e che offre reddito a molti agricoltori. E con questa coltivazione si contribuisce al mantenimento della stabilità delle aree montane occupando terreni che correrebbero il rischio di abbandono”. (ANSA).