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Birmania, nel Paese delle pagode d’oro la democrazia avanza
Eletto il nuovo presidente della Birmania, il primo civile dopo 54 anni di dittatura militare: è Htin Kyaw, un economista di 69 anni, braccio destro della leader dell'Nld (Lega nazionale della democrazia) e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Le speranze di un popolo liberato dalla sopraffazione dei generali e un processo democratico complesso ma inarrestabile.
Dopo lo storico voto dell’8 novembre 2015 che ha restituito il Paese alla democrazia dopo 54 anni di dittatura, la Birmania (ribattezzata Myanmar dai generali) ha un nuovo presidente ed è sempre più in marcia verso un processo di cambiamento difficile ma inarrestabile. Si chiama Htin Kyaw, è un economista di 69 anni, braccio destro della leader dell’Nld (Lega nazionale della democrazia) e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, che non poteva essere eletta: una norma della Costituzione costruita ad hoc per lei durante gli anni degli arresti domiciliari le impedisce infatti di guidare il Paese perché i suoi figli hanno passaporto straniero.
Htin Kyaw è stato eletto con 360 voti sui 652 seggi in Parlamento e sarà affiancato da due vicepresidenti: il primo e più temuto è il candidato dei militari Myint Swe, uno dei responsabili della repressione durante la famosa «Rivoluzione zafferano» guidata dai monaci nel 2007; l’altro, Henry Van Tio, rappresenta invece un segnale positivo per il processo di pace e nei confronti delle minoranze etniche e religiose: è un cristiano di etnia Chin e compagno di partito del presidente.
La cerimonia di insediamento sarà il 1° aprile. In Birmania, il Paese delle pagode d’oro, dei sorrisi felici, delle migliaia di monaci buddisti che fanno la questua al mattino e delle atmosfere pure e incontaminate, si apre una nuova era, tra le aspettive fiduciose del popolo e la complessità di un processo democratico ed economico tutto da gestire.
Un economista con visione e strategia. «Il neo presidente è un economista con una solida visione e grandi capacità strategiche. Potrà dare molto al Paese in un momento così delicato», commenta Cecilia Brighi, segretario generale dell’associazione Italia-Birmania, grande esperta del Paese. In passato Brighi ha contribuito alla denuncia contro lo sfruttamento lavorativo, anche minorile, accompagnando il processo verso la democrazia negli anni più bui. È appena uscita una edizione aggiornata del suo libro «Il pavone e i generali» (Baldini&Castoldi) e ha conosciuto personalmente sia Htin Kyaw, sia la moglie (ora parlamentare), durante i suoi frequenti viaggi in Birmania: «Htin Kyaw ha sempre lavorato con Aung San Suu Kyi. Insieme imposteranno il lavoro per i prossimi anni, con priorità e sfide non facili», spiega. Il punto critico è la necessità di dover negoziare per forza con i militari: grazie alla «trappola» di una Costituzione costruita ad arte si sono garantiti il potere sui Ministeri più strategici: Difesa, Interni e Affari di confine (che gestisce i rapporti con gli Stati di confine), oltre al 25% dei seggi in Parlamento. La Birmania ha poi un grande problema di corruzione da risolvere a monte, con cui avranno a che fare anche gli investitori stranieri interessati ad entrare nel Paese, una vera miniera in termini di risorse: petrolio, oro, pietre preziose, minerali, legno, gas, acqua.
In gioco grandi interessi economici. «La maggior parte delle risorse sono in mano ai militari, che gestiscono la ‘Myanmar economic holding’ e hanno sempre utilizzato gli utili a fini personali – spiega Brighi -. Ma dallo scorso anno la Birmania è entrata in un sistema internazionale di monitoraggio del settore estrattivo. Devono rendere noti i nomi dei proprietari e delle concessionarie. È in atto un processo inarrestabile e i militari dovranno fare un passo indietro, anche se non è facile perché ci sono in gioco grandi interessi economici». I temi scottanti sono tanti, in un Paese ricchissimo ma impoverito in questi ultimi cinquant’anni, deprivato culturalmente (la qualità dell’istruzione è pessima) e annichilito dalle violazioni dei diritti umani. Tra le priorità del nuovo governo, oltre alla «creazione di uno Stato di diritto, alla governance del Paese e all’istituzione di un sistema fiscale equo» Brighi ricorda «la pacificazione e la ripresa dei negoziati per il cessate-il-fuoco» negli scontri con alcune delle 135 minoranze etniche che chiedono l’autonomia o quantomeno il federalismo. «Otto etnie hanno già firmato, mancano le altre».
Un popolo liberato che va accompagnato. La vittoria dell’Nld alle elezioni ha rappresentato, per il popolo birmano, «la liberazione dal controllo militare», dopo anni di repressione e sopraffazione. Attualmente sono una ottantina i prigionieri politici ancora in carcere, tra giornalisti e attivisti, compreso U Gambira, un ex monaco che aveva partecipato alla «Rivoluzione Zafferano», nuovamente incarcerato di recente: «Mi auguro che il presidente faccia una ulteriore amnestia», auspica Brighi. Gli occhi del mondo, soprattutto di Cina e India che hanno grossi interessi, ma anche di Europa e Usa, sono oggi sulla Birmania. «C’è un clima di grande attesa – conclude Brighi -. Tutti sanno che la situazione è complicata. I birmani hanno tanta buona volontà ma scarsa esperienza politica. Bisognerà aiutarli».