Toscana

FILIPPINE, MISSIONARIO RAPITO: NUOVO APPELLO DEI CONFRATELLI, «DOV’È GIANCARLO?»

“Allora il Signore disse a Caino: ‘Dov’è Abele, tuo fratello?’. Egli rispose: ‘Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?’ (Genesi 4:9). Noi, missionari del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere, ndr) nelle Filippine, adesso chiediamo la stessa cosa: ‘dove’è nostro fratello Giancarlo Bossi?’”: inizia così il nuovo appello, il secondo finora, diffuso oggi dai confratelli di Padre Giancarlo Bossi, il missionario italiano del Pime rapito il 10 giugno scorso nella zona di Payao, nell’isola meridionale delle Filippine di Mindanao. Dal giorno del suo rapimento, scrivono ancora i suoi confratelli, “ci è stato detto che sarebbe stato rilasciato in poche ore, in pochi giorni…. C’è stato detto che sia le forze governative sia i contatti del Milf (Fronte di liberazione moro, movimento indipendentista della minoranza musulmana, ndr) stavano monitorando tutte le aree, tutti i possibili gruppi armati e tutti i possibili testimoni, anche nei posti più nascosti, utilizzato la tecnologia più avanzata. C’è stato detto che emissari erano stati inviati con telefoni cellulari per verificare che (padre Bossi) fosse vivo, ci è stato detto che medicine utili per la sua ipertensione erano state consegnate, c’è stato detto che è vivo e si muove a cavallo. C’è stato detto che i rapitori chiedono 15 milioni di pesos…. Ma quando abbiamo provato a verificare tutte queste informazioni siamo arrivati alla conclusione che si trattava di informazioni false. Le autorità civili, militari e religiose hanno chiesto una ‘prova di vita’, ma finora non c’è ancora alcuna ‘prova di vita’, nessuno chiara identificazione dei rapitori, nessun avvistamento confermato, nessuna richiesta di riscatto, nessuna dichiarazione di intenti relativa al suo improvviso rapimento” scrivono i confratelli di padre Bossi nel loro appello, facendo riferimento alla miriade di informazioni circolate in questi giorni sulla stampa locale, ma sulle quali non si è mari riusciti a trovare conferme. “Siamo preoccupati – proseguono nella loro nota – Sappiamo di certo che i suoi rapitori sono un gruppo armato di ampie dimensioni e certamente sono dotati di telefoni cellulari e rapporti con molti personaggi e organizzazioni influenti. Perché non possono essere identificati? Perché non possono dichiarare i loro scopi? Per il momento, viviamo tutto questo come un circolo vizioso, le false notizie sono parte di questo dramma e chi le mette in giro sa che sta solo ingannando l’opinione pubblica. Perché? È forse il tentativo di coprire qualche altro loro fine? Abbiamo ricevuto molti attestati di preoccupazione e di solidarietà e molte persone sincere di ogni credo religioso si sono uniti a noi nella preghiera. Siamo grati a ognuno di loro. Siamo rimasti molto toccati dalla nota della Società civile di Bangsamoro (Cbcs) che poneva una domanda: ‘ Chi ci guadagna dal sequestro di un prete?’”. “Siamo convinti – scrivono i missionari del Pime a conclusione della loro nota – che molte persone e organizzazioni sappiano la verità. Perché rispondono come fece Caino ‘Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?’. O sono loro stessi ad essere i responsabili di quello che è successo a Giancarlo, come Caino fu responsabile di quello che accadde ad Abele? Crediamo ancora, speriamo e preghiamo, che Giancarlo sia vivo. Preghiamo anche perché tra coloro che sanno cosa davvero è accaduto, qualcuno possa dire la verità. Come disse Gesù ‘la verità vi renderà liberi’. Nello stesso modo Allah, il misericordioso e caritatevole, non può restare a fianco degli ingannatori, Egli è un amante della verità”.Misna