Toscana
MARTINI IN INDIA PER INAUGURARE FABBRICA CAMICIE COSTRUITA DA COOP E CENTRI MISSIONARI TOSCANA
Ghirlande di fiori e danze rituali indiane hanno accolto il presidente della Regione Toscana Claudio Martini al suo arrivo, oggi, alla missione delle suore francescane di Santa Elisabetta al villaggio di Madaplathuruth, nell’India del sud, prima tappa del suo viaggio. Martini inaugurerà domani mattina la fabbrica di camicie che consentirà a tante ragazze del posto di poter accumulare la dote per potersi sposare.
Intanto oggi pomeriggio ha visitato la «House of fraternity», il quartier generale della congregazione. Martini ha anche visto alcune delle 89 case in mattoncini rossi costruite in questi mesi, col finanziamento di 50 mila euro di Unicoop Firenze, al posto delle capanne in foglie di cocco e fango intrecciate, che si stanno progressivamente sbriciolando tanto che il tetto viene ora coperto con teli in plastica. «Ogni abitazione – ha spiegato la madre superiora, suor Teresa – misura 47 metri quadrati ed è stata costruita accanto alla capanna così da far sentire ancora più personale questo intervento alla famiglia che vi abita. Tra gli evidenti vantaggi delle nuove costruzioni soprattutto il piano terra rialzato rispetto al terreno, che consente all’ambiente di rimanere asciutto anche nei mesi delle piogge monsoniche quando l’acqua raggiunge nelle capanne il livello costante di 10-15 centimetri facendo marcire tutto e provocando pestilenze e malattie croniche nelle persone».
«Svilupperemo il filone di iniziative per favorire il lavoro femminile in India». È l’impegno preso dal presidente della Regione Toscana dopo aver incontrato gli amministratori del villaggio di Madaplathuruth, nella missione delle suore francescane di Santa Elisabetta. «Ho visto con soddisfazione – ha detto – la forte utilità dei progetti promossi, in questa direzione, dalle religiose, dalla Coop e dalla Chiesa italiana e toscana. Sono una risposta oggettiva ad un bisogno, una strada per contribuire a migliorare la condizione di vita della donna. Su richiesta degli stessi amministratori penso che proprio il lavoro femminile debba essere favorito ed incoraggiato in tutte le forme possibili. Da parte nostra ci attiveremo per mettere a punto nuovi progetti in tal senso».
Il presidente si è detto stupito per «la grande dignità con cui la popolazione del luogo vive la propria condizione, un comportamento che ritengo assi diverso da quello provocato dalla selvaggia emarginazione che caratterizza le periferie delle grandi città del Paese». Ha quindi espresso «grande soddisfazione per le 400 adozioni a distanza, soprattutto da parte di cittadini toscani, che sostengono, anche nello studio, quasi tutti i ragazzi del villaggio in cui vivono circa 32 mila persone». L’adozione a distanza costa circa 180 euro l’anno, hanno spiegato le suore di Santa Elisabetta, corrispondenti a circa 50 centesimi al giorno; una cifra assi modesta per un occidentale ma che in questa parte dell’India corrisponde al 70-80% dello stipendio medio mensile di un capo famiglia.
«Innamorate» dei poveri: è la missione delle suore terziarie francescane di Santa Elisabetta che hanno promosso, nel villaggio di Madaplathurut, in India, la costruzione della fabbrica di camicie. La congregazione, che ha 115 anni di vita, privilegia l’assistenza ai più poveri sia nelle 12 diocesi italiane in cui è presente che nelle missioni in India, in Bolivia e nelle Filippine. La casa madre è a Pratovecchio (Arezzo), in diocesi di Fiesole, e quella generalizia è a Firenze.
«Ovunque operiamo – spiega la superiora generale madre Daniela Capaccioli – non cambiamo il sogno dei nostri fondatori, farsi carico dei poveri ovunque essi sianò, ma lo adeguiamo alle esigenze dei luoghi e dei tempi. Un compito tutt’altro che facile visti gli scenari internazionali in cui operano queste sorelle, una task-force di 93 persone assai preparate: sono in maggioranza laureate e laureande; il 60% ha un età variabile dai 20 ai 30 anni e più della metà sono boliviane, indiane, filippine. «La selezione – spiega suor Daniela – è severa e la formazione delle giovani dura 10 anni; devono parlare sei lingue (oltre ad italiano, inglese e spagnolo anche malayalam, tagalog, chavacano) e studiare un ampio ventaglio di materie: teologia, scienza dell’educazione, servizio sociale, scienze sanitarie e infermieristiche, lingue straniere, informatica. Dedicarsi ai poveri, oggi – sottolinea la religiosa – esige non solo amore e passione, ma anche competenza secondo l’intuizione dei fondatori. Nel 1888 Elisabetta Casci, un’umile ragazza del Casentino, all’età di 18 anni ebbe l’intuizione, assieme a don Giuseppe Marchi, parroco di Casalino, una frazione di Pratovecchio, sul limitare della foresta di Camaldoli, di creare l’Istituto Santa Elisabetta per il servizio dei poveri, degli orfani e dei malati, specialmente dell’Appenino Toscano, all’ epoca senza strutture pubbliche di assistenza e lontano dai centri».