Italia

Un anno di pandemia, dai centomila morti italiani un appello a lavorare insieme per uscire dall’emergenza

È passato un anno da quando, chiusi nelle nostre case, abbiamo scoperto che il virus faceva davvero paura, le persone stavano male, morivano. Le immagini degli ultimi 365 giorni sono passate in questi giorni nei nostri occhi, nei nostri cuori, sulle pagine dei giornali, nelle televisioni. Persino il Festival di Sanremo, che pure è stata sicuramente un’occasione persa per restituire un po’ di speranza, è stato un esempio di cosa ci manca. Tutti abbiamo perso qualcosa e, molti, qualcuno. Anche Toscana Oggi ha pagato un prezzo carissimo, e qui voglio ricordare Francesco Mininni, collaboratore storico del settimanale, morto nel dicembre scorso dopo oltre un mese di rianimazione. Un volto, un nome e un cognome per tutti. La vignetta di Atrei di questa settimana, in seconda pagina, è terribilmente significativa. Da qualche giorno abbiamo superato il numero di 100mila morti in Italia e la Toscana è ormai vicina a 5.000. E in molti altri Paesi, anche europei, non è che la situazione sia migliore.La speranza di un vaccino, che un anno fa sembrava lontana anni luce, in realtà si è concretizzata prima del previsto ma con i limiti che la legge del mercato ha stampato negli statuti delle multinazionali e delle società: il profitto. Era inutile illudersi che le grandi aziende potessero rinunciarvi: i governi non possono che trattare prezzo e quantità.È passato un anno. Ma poco è cambiato se oggi apriamo il nostro settimanale con una foto come quella che è sopra queste poche righe. Poco è cambiato perché noi siamo cambiati: dallo slogan «Andrà tutto bene» siamo al punto di non riuscire più a rispettare le regole che fin dall’inizio della pandemia ci erano state indicate. Poco è cambiato perché i controlli nelle città, annunciati dai nostri politici, stentano. Poco è cambiato per i nostri ragazzi, tornati in molti casi davanti a uno schermo per seguire le lezioni dei loro insegnanti. Poco è cambiato perché troppe famiglie pagano il prezzo di una crisi economica che oggi impedisce al governo perfino di prendere la decisione di chiudere tutto come un anno fa, come forse sarebbe giusto. Eppure noi vogliamo continuare a sperare. Nel marzo 2020 fu l’immagine di Papa Francesco solo in piazza San Pietro deserta a indicare la luce da seguire nella notte della pandemia. Ora è sempre lui, questa volta dall’Iraq, che ci dice con forza di provarci. E dobbiamo farlo per i nostri figli, per le future generazioni. Evitando polemiche sterili e lavorando insieme: al personale sanitario, a chi è a fianco dei nuovi poveri, a chi ha perso la sua attività ma ha voglia di ripartire. Noi ci siamo.