Italia

Terremoto Centro Italia: mons. Pompili, «tre anni dopo, ritardi della ricostruzione, spopolamento e burocrazia»

«A dire il vero, più che una visione in questi tre anni sono prevalsi ‘punti di vista’ diversi, anche a motivo dell’alternarsi di Governi, di responsabilità personali, di varia umanità – ha osservato il presule -. E la tendenza ogni volta è stata quella di ricominciare daccapo, nel modo esattamente contrario a chi è venuto prima». L’«effetto» indicato dal vescovo è quello dello «stallo». «Senza un progetto, cioè senza un respiro lungo non si va da nessuna parte. E come si vede, proprio in questi giorni, l’Italia stessa boccheggia».

«Più che una visione in questi tre anni si è fatta strada una certa confusione. Se manca uno sguardo condiviso si spegne anche l’entusiasmo, passata l’adrenalina dell’emergenza», ha detto ancora il vescovo di Rieti. «Più che una visione in questi tre anni si è affermata una limitazione che coincide con il proprio ‘particulare’ – ha aggiunto il presule -. L’ingenuità di cavarsela da soli, peraltro, è figlia di una mentalità diffusa: quella del ‘prima io’, che porta a non prendersi cura dell’insieme». Il vescovo ha poi indicato nel «rarefarsi della socialità» l’«esito triste del restringimento mentale degli individui». «E quando vien meno il campo largo sulla realtà la capacità di resistere scompare».

Di qui l’invito a «ritrovare una ‘visione’«: «è l’unica strada per sottrarsi alla paralisi di un’analisi senza speranza». Il vescovo ha presentato un esempio concreto: «Sapere cosa fare delle cosiddette ‘Aree interne’ del Paese è un modo concreto per fare chiarezza rispetto ad un contesto che va rigenerato non per ostinazione, ma per necessità. Perché l’Italia senza i borghi dell’Appennino non è più la stessa – è la convinzione di mons. Pompili -. Occorre però che su questa priorità si converga quando si decide di infrastrutture, servizi sociali, opportunità culturali».