Mondo
Francesco: «La cultura dello scarto mina il desiderio di pace dei popoli»
Rispetto al fondamentalismo, Francesco ha chiesto «una risposta unanime che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze, ristabilisca la concordia e risani le profonde ferite». Ha rivolto un appello ai «leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani», affinché «condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione».
Per «far risuonare con forza» la parola «pace», in un mondo in cui le guerre insanguinano il pianeta «come una vera e propria guerra mondiale combattuta a pezzi», bisogna contrastare la «cultura dello scarto che non risparmia niente e nessuno». Ne è convinto il Papa, che nel tradizionale discorso di inizio d’anno al Corpo diplomatico – uno dei più lunghi e articolati di questi quasi due anni di pontificato – ha stigmatizzato quella «cultura che rigetta l’altro» che è alla base anche della strage di Parigi. «Il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq», per Francesco, «è conseguenza della cultura dello scarto applicata a Dio». Di fronte a questa «ingiusta aggressione», occorre «una risposta unanime che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze, ristabilisca la concordia e risani le profonde ferite»: è l’appello alla comunità internazionale e ai «singoli governi», «perché assumano iniziative concrete per la pace e in difesa di quanti soffrono le conseguenze della guerra e della persecuzione».
Altrettanto forte l’appello rivolto ai «leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani», affinché «condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza». Dopo aver passato in rassegna i vari focolai di guerra nel mondo – a partire da Ucraina, Nigeria e Libia – nella seconda parte del suo discorso il Papa ha descritto le «forme più sottili e subdole di rifiuto» che alimentano la «cultura dello scarto»: verso i malati di Ebola «i lebbrosi del nostro tempo»; i profughi e i rifugiati; i migranti, di fronte ai quali ci vuole un «cambio di atteggiamento», gli «esiliati nascosti» come gli anziani, i diversamente abili e i giovani e la stessa famiglia. Senza dimenticare il dramma della mancanza di lavoro e quello di molte persone che «hanno perso il senso del vivere», anche a causa della crisi. Per l’Italia, un invito a non cedere «al disimpegno e alla tentazione dello scontro». Tra i segnali positivi, il disgelo tra Stati Uniti e Cuba. Sono 180 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede, a cui vanno aggiunti l’Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta e una Missione a carattere speciale, quella dello Stato di Palestina.
No alla «indole del rifiuto». La strage di Parigi nasce da «una cultura che rigetta l’altro, recide i legami più intimi e veri, finendo per sciogliere e disgregare tutta quanta la società e per generare violenza e morte». Il Papa ha iniziato il suo discorso con una parola: «Pace!», come «prezioso dono di Dio» e nello tesso tempo come «responsabilità personale e sociale». Partendo dal presepe, Francesco ha parlato di «cuore indurito dell’umanità, che fatica ad accogliere il Bambino». Segno che «c’è un’indole del rifiuto che ci accomuna, che induce a non guardare al prossimo come ad un fratello da accogliere, ma a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita, a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare». Ad una «dimensione personale del rifiuto», ha spiegato il Papa, «si associa inevitabilmente una dimensione sociale», una «cultura che rigetta l’altro»: come nella strage di Parigi, in cui gli altri vengono visti come «oggetti» e l’essere umano «diventa schiavo» anche di «forme fuorviate di religione». Alla radice c’è «un cuore corrotto, incapace di vedere e operare il bene, di perseguire la pace».
Gli «altri conflitti» in Medio Oriente. Il Medio Oriente, ha ricordato il Papa, oltre al conflitto tra israeliani e palestinesi, «è purtroppo attraversato anche da altri conflitti, che si protraggono ormai da troppo tempo e i cui risvolti sono agghiaccianti anche per il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq». Alla fine del suo discorso, citando il viaggio in Albania come uno dei frutti positivi della «cultura dell’incontro», il Papa ha sottolineato che «una fede in Dio sincera apre all’altro, genera dialogo e opera per il bene, mentre la violenza nasce sempre da una mistificazione della religione stessa, assunta a pretesto di progetti ideologici che hanno come unico scopo il dominio dell’uomo sull’uomo». Quanto al conflitto israelo-palestinese, il Papa ha auspicato che «possa riprendere il negoziato fra le due parti», in modo che «la soluzione dei due Stati divenga effettiva». «Un Medio Oriente senza cristiani sarebbe un Medio Oriente sfigurato e mutilato!», ha ripetuto.
«Non più la guerra!». Il Papa ha passato in rassegna le zone calde del pianeta a partire dalla «vicina Ucraina» auspicando che «attraverso il dialogo, si consolidino gli sforzi in atto per fare cessare le ostilità, in un rinnovato spirito di rispetto della legalità internazionale» e dalla Nigeria, «dove non cessano le violenze che colpiscono indiscriminatamente la popolazione ed è in continua crescita il tragico fenomeno dei sequestri di persone, sovente di giovani ragazze rapite per essere fatte oggetto di mercimonio». «È un esecrabile commercio che non può continuare!», ha esclamato il Papa, «una piaga che occorre sradicare». Poi la Libia, «lacerata da una lunga guerra intestina che causa indicibili sofferenze tra la popolazione e ha gravi ripercussioni sui delicati equilibri della regione». L’auspicio, per tutti i conflitti, è che «si ponga fine ad ogni sorta di lotta, di odio e di violenza e ci si impegni in favore della riconciliazione, della pace e della difesa della dignità trascendente della persona». «Non più la guerra!»: il grido di Paolo VI nel discorso all’Onu del 1965 è risuonato alla fine del discorso, in cui il Papa ha citato l’»immane tragedia» della seconda guerra mondiale e ha ricordato che la pace, «prima ancora che dalla fine di ogni guerra, sgorga dalla conversione del cuore».