Italia

Crollo ponte a Genova. Il cappellano dell’ospedale San Martino: «Tanta rabbia e dolore, le parole non servono»

Dal giorno del crollo del ponte Morandi, il 14 agosto, non è più uscito dall’ospedale. Passa le sue giornate a dare conforto ai feriti e ai familiari, tra stanze di rianimazione e camere ardenti. «Ti guardi negli occhi e gli stai vicino, perché le parole non servono, sono stupide, non hanno significato». Così padre Mauro Brezzo, cappellano dell’ospedale San Martino di Genova, cappuccino della Provincia ligure, racconta queste ore drammatiche, tra immenso dolore e tanta rabbia.

Molti familiari delle vittime hanno deciso di non partecipare ai funerali di Stato che si terranno domani alle 11 alla Fiera di Genova, nel padiglione Jean Nouvel, presieduti dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, con la presenza dei rappresentanti delle istituzioni, tra cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Ieri erano solo 14 le bare schierate per la benedizione, su 39 vittime. Molti hanno preferito riportare i propri familiari a casa e celebrare le esequie in forma privata. All’ospedale San Martino sono rimaste 6 bare. Circa 1.800 i posti a sedere, con un maxi schermo.

Nella struttura ci sono ancora persone ricoverate in condizioni molto gravi in terapia intensiva ed è stata allestita una camera ardente. Un’altra camera ardente è nel Padiglione B della Fiera di Genova, dove stasera alle 18 il card. Bagnasco guiderà la recita del Rosario. Domani, in occasione dei funerali, è stata proclamata una giornata di lutto nazionale. Ci sarà anche una benedizione islamica chiesta dai parenti albanesi di una delle vittime, a cura del Centro islamico genovese. «Siamo un pochino schiacciati dal destino ma anche capaci di reagire, di tirare fuori la forza, l’entusiasmo – afferma il cappellano -. Genova si rimbocca le maniche e si dà da fare».

Padre Brezzo, quanti sono i feriti ancora ricoverati e come stanno?

«Una donna ucraina è in rianimazione al pronto soccorso, lei sta benino e parla italiano. Il marito è in chirurgia e sta abbastanza bene. Due sono ricoverati al terzo piano del monoblocco, un ferito è grave e anche una donna ustionata sta molto male. Molti non possono parlare, hanno avuto un trauma non indifferente. I due al terzo piano in rianimazione sono gravi, gli altri forse ce la faranno. Al quarto piano c’è il giovane genovese, è il figlio di un’infermiera in pensione: è stato salvato per miracolo dai Vigili del fuoco mentre era appeso alla sua macchina, diventerà papà tra un mese. È una persona squisita, non parla ma guarda con benevolenza».

E nella camera ardente?

«Sono rimaste sei bare che domattina verranno portate via. Le bare di quattro giovani sono partite stamattina verso la Campania e altre verso il Piemonte. Sono pochi quelli che aderiscono ai funerali di Stato. Tanti non vogliono fare la passerella, e li capisco. Se invece di spendere i soldi per venire qui li avessero dati a questa povera gente, sarebbe stato meglio».

In questo momento difficile come prestate conforto ai familiari?

«Li guardi negli occhi e gli stai vicino. Le parole non servono, sono stupide, non hanno significato. La gente vuole sentirti vicino e partecipe. Abbiamo messo a disposizione la chiesa dell’ospedale. Ieri sera abbiamo pregato il Rosario nella comunità delle suore e poi anche noi cappellani. L’ospedale sta facendo un’opera eccezionale, ha coinvolto la Protezione civile, gli psicologi, gli infermieri, i medici».

Quali emozioni prevalgono?

«In generale prevale la rabbia, dopo quello che hanno sentito in tv tutti si lamentano perché il ponte non era secondo le leggi. Invece i parenti delle vittime sono in lacrime e in silenzio, vivono solo il dramma, la sofferenza».

Come stanno reagendo i genovesi?

«Non lo so bene perché io non sono più uscito dall’ospedale. Vivo qui e basta, tra camere ardenti e corsie. Ma Genova ogni tanto cade: le alluvioni, gli incidenti con le navi, i 28 marò precipitati con un pullman dal viadotto della Genova-Livorno… Siamo un pochino schiacciati dal destino ma anche capaci di reagire, di tirare fuori la forza, l’entusiasmo. Genova si rimbocca le maniche e si dà da fare».