Italia
A Foggia i braccianti agricoli protestano contro il caporalato e lo sfruttamento
Una intera giornata di sciopero, cortei e manifestazioni per ricordare le 16 vittime dei due incidenti stradali dei giorni scorsi, tutti lavoratori migranti. Ma soprattutto dire no al caporalato e allo sfruttamento dei braccianti agricoli nelle campagne del foggiano. La protesta è iniziata stamattina, con la «marcia dei berretti rossi» promossa dal sindacato Usb, partita alle 8.30 dall’ex ghetto di Rignano, nel comune di San Severo. L’altro corteo, organizzato dai sindacati confederali è in programma alle 18 a Foggia. Hanno aderito numerose associazioni tra cui Libera, e parteciperanno, tra gli altri, anche mons. Giovanni Checchinato, vescovo di San Severo e i direttori di diverse Caritas diocesane della zona. «Le condizioni di vita e lo sfruttamento nei campi di lavoro di questi nostri fratelli, che hanno il solo torto di voler guadagnarsi il pane, lavorando onestamente, non possono più essere ignorate – ha affermato oggi mons. Giovanni Checchinato -. Tanto sangue sparso nelle nostre strade chiede giustizia!». Alla «marcia dei berretti rossi», ossia il copricapo che usano i lavoratori migranti durante la raccolta dei pomodori, erano presenti centinaia di persone, reggendo cartelli con le scritte «Basta sfruttamento», «Siamo lavoratori, non carne da macello», e gridando slogan come «Schiavi mai».
La Procura di Foggia intanto ha aperto due indagini: una per capire le ragioni degli incidenti, l’altra per verificare se dietro ci sono situazioni di sfruttamento e crimine organizzato. Nelle campagne della Capitanata ogni anno, in questa stagione, si riversano migliaia e migliaia di lavoratori migranti subsahariani, la maggior parte con regolare permesso di soggiorno. Vivono in una ventina di «ghetti» malsani, in condizioni precarie e insalubri. Rignano e Borgo Mezzanone sono i più grandi. Lavorano sotto il solleone almeno 10 ore al giorno, vengono pagati circa 2,50 euro ogni cassone di 1 quintale di pomodori raccolti. A questa paga misera sono costretti a sottrarre le spese per il trasporto ai luoghi di lavoro (5 euro), 2 ore per un panino, 1 euro per l’acqua. Una situazione seguita da vicino anche dal direttore della Caritas di San Severo, don Andrea Pupilla, che staserà sarà presente al corteo: «Non ci saranno interventi istituzionali, parleranno solo i lavoratori. Noi ci metteremo al loro fianco e ascolteremo». Nel suo territorio c’è il famigerato «ghetto» di Rignano, sgomberato lo scorso anno ma risorto di nuovo in condizioni anche peggiori.
Qual è il significato della vostra presenza?
«Vogliamo stare accanto ai lavoratori migranti per denunciare quanto sta avvenendo. Non si tratta di semplici incidenti stradali, c’è dietro un sistema malato di sfruttamento. Vogliamo ribadire l’impegno nostro e di tante altre realtà a non piegare la testa, a non rassegnarci a questa vergogna. Il ghetto di Rignano era stato smantellato lo scorso anno, sembrava l’inizio di una nuova storia e invece è risorto in maniera più prepotente, peggiore di prima. Dove c’erano baracche ora sono spuntate all’improvviso delle roulotte. La criminalità è molto organizzata, nonostante il tanto bene che si fa nel nostro territorio».
Perché tutti questi incidenti?
«Non so se è una triste coincidenza ma la dinamica è uguale. Stare tante ore sotto il sole, dopo una giornata di duro lavoro, può far perdere lucidità e andare contro un Tir».
Quante persone vivono ora al «ghetto» di Rignano e in quali condizioni?
«Dopo il primo incidente siamo andati lunedì mattina al ghetto di Rignano con la direttrice della Caritas di Foggia, la nostra presenza è costante. Poi qualche ora dopo abbiamo appreso dell’altro incidente. È difficile quantificare le presenze perché stanno arrivando per la raccolta dei pomodori, però sicuramente c’erano già più di mille persone. Sono tutti africani da Gambia, Senegal, Nigeria… Anche donne perché c’è manodopera femminile, prostituzione, spaccio. È un insieme di tante illegalità».
Lo scorso anno il governo ha nominato un Commissario straordinario per fronteggiare il fenomeno del caporalato nel Comune di Manfredonia, il prefetto Iolanda Rolli. A che punto è il lavoro?
«Anche noi siamo stati presenti ai tavoli, c’erano delle buone progettualità e una buona collaborazione. Ma qualche settimana fa Iolanda Rolli è stata nominata prefetto a Macerata. Anche se manterrà l’incarico per la zona della Capitanata fino a scadenza, Macerata non è dietro l’angolo, per cui l’impegno rischia di diminuire. Questo per noi non è un buon segno. In un anno ci sono state buone proposte, forse bisognava iniziare molto prima per farsi trovare attrezzati durante il periodo della raccolta. Anche qui a San Severo c’era una buona progettualità per il ripristino di un immobile abbandonato con l’impiego di lavoratori migranti, per far fronte all’emergenza abitativa nel nostro territorio. È un bel progetto, speriamo non vada perduto. Si pensava di fare delle alternative al ghetto di Rignano con foresterie nelle campagne per dare un alloggio dignitoso ai lavoratori, e trasporti pubblici per non far gestire tutto ai caporali. Si volevano creare dei modelli alternativi per dare una risposta ai ghetti. Sono stati stanziati anche dei soldi ma credo ci siano rallentamenti a causa di problemi burocratici».
Nel foggiano su 27.000 aziende solo 80 si sono iscritte alla «rete del lavoro agricolo di qualità» prevista dalla legge 119/2016 contro il caporalato. Perché così poche?
«Ieri il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha fatto riferimento alla legge sul caporalato ma solo alla parte repressiva di sanzioni e controlli. C’è però la parte positiva che non ha avuto una risposta. Ai tavoli sono sempre mancate le associazioni datoriali quindi non c’è tanta collaborazione da questo punto di vista. Del resto gli imprenditori si lamentano perché il sistema è malato dall’alto e li costringe ad abbassare i prezzi dei prodotti, così tutto si ripercuote a cascata sui lavoratori. Però la legge c’è, andrebbe applicata non solo in termini repressivi ma di cambiamento di mentalità, di sostegno e promozione delle aziende, per venire incontro ai bisogni di tutti, anche degli imprenditori».
Quali progetti mette in campo la Caritas contro lo sfruttamento dei braccianti agricoli?
«Siamo presenti da 4 anni all’interno del progetto «Presidio» di Caritas italiana ma a maggio questa progettualità è stata chiusa. Ora vogliamo rilanciarla. Ci siamo riuniti qualche giorno fa con tutte le diocesi della Capitanata e altre diocesi pugliesi: Foggia, San Severo, Cerignola, Manfredonia, Nardò. Intendiamo unire le forze con un progetto interdiocesano e affrontare insieme questa problematica. Stiamo cercando di capire come essere presenti sul territorio con lo stile Caritas, con attività di orientamento, servizi, e un’azione di advocacy presso le istituzioni».
Ieri sono venuti a Foggia il ministro dell’Interno Salvini e il premier Conte. Qual è oggi il vostro appello alle istituzioni?
«Penso che la presenza tempestiva di queste alte cariche dello Stato in queste zone è stato un segnale importante. Però chiediamo continuità nell’affrontare con determinazione il problema e di non abbandonare questa provincia. Da parte nostra c’è la massima disponibilità a collaborare».