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Gerusalemme, p. Faltas: «Con Abu Mazen non ci sarà la Terza Intifada»
Padre Ibrahim Faltas, economo della Custodia di Terra Santa: «Il presidente Abu Mazen non accetterà mai una terza rivolta popolare. C'è da dire poi che in Cisgiordania la situazione appare calma. La scelta di Abu Mazen è quella del dialogo e non della violenza. Gli scontri sono limitati a Gerusalemme dove Abu Mazen non ha nessun genere di controllo». Severa condanna dell'attentato alla singagoga.
«Ma quale Terza Intifada. Finché al timone dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) ci sarà Abu Mazen non ci sarà nessuna intifada». Parola di padre Ibrahim Faltas, economo della Custodia di Terra Santa, il padre francescano che tanto si spese per una mediazione durante i trentanove lunghi giorni dell’assedio della Basilica della Natività a Betlemme. Era il 2 aprile del 2002 quando 240 militanti palestinesi la occuparono, mentre all’esterno stazionava l’Esercito israeliano. Circa trenta frati, tra cui padre Ibrahim, provenienti da 17 Paesi diversi rimasero dentro la basilica, la più antica della Terra Santa, convivendo con gli occupanti. La serie di attentati palestinesi, sei in un mese, ai danni di ebrei, accoltellamenti in strada, investimenti con automobili, ha trovato adesso il suo culmine nell’attacco alla sinagoga di Har Nof dove si sono contati cinque ebrei morti oltre ai due attentatori palestinesi, a loro volta rimasti vittime del fuoco della polizia subito intervenuta. Sullo sfondo vanno considerati i violenti scontri del 5 novembre sulla Spianata delle Moschee fra palestinesi e militanti dell’estrema destra israeliana, con la polizia entrata nella moschea di Al Aqsa, terzo luogo santo dell’Islam sunnita, come anche una progressiva ebraicizzazione di Gerusalemme Est.
Padre Faltas, dunque, tutta questa violenza non è il segnale, il sintomo di una Terza Intifada, dopo quelle del 1987 e del 2000?
«Assolutamente no. Il presidente Abu Mazen non accetterà mai una terza rivolta popolare. C’è da dire poi che in Cisgiordania la situazione appare calma. La scelta di Abu Mazen è quella del dialogo e non della violenza. Gli scontri sono limitati a Gerusalemme dove Abu Mazen non ha nessun genere di controllo».
Se non sono avvisaglie di una Terza Intifada allora come spiegare così tanta violenza?
«Una ragione risiede nella rabbia montata soprattutto dopo gli scontri sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme Est, prima chiusa e poi riaperta da Israele».
Dunque la religione è parte del problema?
«Certamente. Questa mattina una delegazione di capi religiosi di Gerusalemme si è recata in sinagoga per testimoniare solidarietà alle vittime, ai feriti e alle loro famiglie. Un attentato contro un luogo sacro, contro persone che pregano è inaccettabile. Una simile violenza non si era mai vista. Hanno fatto peggio di quelli dell’Is, lo Stato islamico».
La progressiva ‘ebraicizzazione’ di Gerusalemme Est non ha un suo peso in questi fatti?
«Nella città vecchia è facile vedere arabi e coloni ebrei, sebbene il rischio di ebraicizzazione sia reale e preoccupi non poco. Così come preoccuperebbe una decisione israeliana volta a cambiare lo Status quo sulla Spianata delle Moschee (attualmente lo Status quo impedisce, fra le altre cose, agli ebrei di pregare sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, come invece vorrebbe la destra religiosa, ndr.). Se accadesse la situazione sarebbe davvero esplosiva e difficile da controllare».
Israele ha annunciato una serie di restrizioni a partire da una stretta sulla città e intanto ha fatto demolire le abitazioni dei due attentatori. Si profila un aumento dei check point e dei controlli…
«Non possono mica riempire la città di check point. Come faranno? Non credo sia questa la strada giusta. La soluzione è un’altra».
E quale?
«Il dialogo. Abu Mazen è l’unico leader tra i palestinesi che ci crede fermamente. Israele deve tenerne conto se vuole negoziare un accordo. Il presidente palestinese non cerca e non istiga alla violenza. A ricordarlo al premier Netanyahu, che aveva addossato la colpa dell’attacco alla sinagoga proprio a Abu Mazen, è stato il capo dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele. Un parere del quale si farebbe bene a tenere conto».