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Sgombero rifugiati a Roma. Mons. Lojudice «Non si risolvono i problemi così»

Il risveglio all’alba nel cuore di Roma, a piazza Indipendenza, ha portato una giornata campale, di vera e propria guerriglia urbana. Ieri la polizia è intervenuta per sgombrare alcune decine di migranti, la maggior parte rifugiati o richiedenti asilo – che dal 19 agosto erano accampati nelle aiuole centrali dopo essere stati sgomberati dagli stabili di via Curtatone. 

Secondo la questura, le forze dell’ordine sarebbero state aggredite con lancio di sassi, bottiglie, bombole di gas aperte e peperoncino. La posizione di 4 persone è al vaglio della questura. Gli agenti hanno usato l’idrante contro una donna inerme e 13 persone sono rimaste ferite, secondo quanto riferisce Medici senza frontiere. La Caritas di Roma, il Centro Astalli, gli Scalabriniani, l’Unicef, l’Arci, Intersos e tante altre organizzazioni umanitarie presenti sul posto hanno criticato l’uso eccessivo della forza, specialmente contro famiglie, donne e bambini, chiedendo invece il rispetto dei diritti dei rifugiati, un tavolo di concertazione e una programmazione seria riguardo al problema alloggiativo nella capitale.

Dall’inizio dello sgombero e ieri mattina era a piazza Indipendenza anche monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma e delegato Migrantes della Conferenza episcopale del Lazio: «Mi sono sempre occupato di situazioni di marginalità. Credo sia importante essere in quei luoghi dove c’è un disagio e una sofferenza in atto».

A Piazza Indipendenza è stata usata la forza per disperdere i rifugiati sgomberati. Si doveva arrivare a questo punto?

«Ovviamente no. Anch’io sono sgomento. Il problema è che manca un meccanismo di mediazione e di dialogo. La polizia diceva di avere il compito di togliere di mezzo tutto. Le donne si piazzavano davanti e sono partiti gli idranti.  Non si capisce chi decide, cosa c’è dietro, non si sa con chi parlare, chi fa intermediazione. È un caos totale. Fa impressione – e una certa paura – vedere gestire le situazioni in questo modo. Altre volte mi sono trovato in mezzo a sgomberi. Non è un problema che riguarda solo gli stranieri, è un problema di occupazione e di legalità».

In un video si vede una bombola lanciata da un balcone…

«Sì, c’erano queste due bombole che incombevano dai balconi. Ieri quando siamo entrati nello stabile abbiamo fatto di tutto per invitarli a toglierle. Non possiamo negare che possa essere accaduto, visto il caos più totale. Certo è strano vedere uno spiegamento di forze da guerriglia: quando sono entrati in azione gli idranti, con gli agenti in tenuta antisommossa, erano rimaste solo una quindicina di persone. Io sono stato lì fino a che sono andati via quasi tutti e hanno portato alcuni in ambulanza».

Il Comune aveva proposto di accogliere temporaneamente 60 rifugiati in una struttura a Torre Maura e in 4 villette private nel reatino. Una soluzione sufficiente?

«Sì, una funzionaria del Comune mi ha detto ieri che la struttura di Torre Maura era disponibile. Ma alcuni l’hanno vista e non l’hanno ritenuta adatta. Inoltre la proprietà dell’immobile avrebbe messo a disposizione quattro villette in provincia di Rieti per ospitare temporaneamente alcuni nuclei familiari: tenere unite le famiglie era già un buon segno. Il problema fondamentale è che queste storie vanno accompagnate, altrimenti si sposta il problema e non si trova una soluzione. Questo vale per gli immigrati ma anche per gli italiani che vivono in queste condizioni. Accampate a piazza S.S. Apostoli ci sono anche famiglie italiane».

Il problema delle occupazioni e degli sgomberi è sempre stato di difficile gestione da parte delle amministrazioni romane: non è cambiato nulla?

«No, obiettivamente mi sembra di no. Questa amministrazione ha parecchi problemi che non riesce a sbloccare. E il sistema degli sgomberi non è il modo migliore. Ma dove maturano queste decisioni? Al ministero dell’Interno o all’interno del Comune? I poliziotti fanno il loro lavoro e hanno il compito di riportare l’ordine. Però il Comune dovrebbe mediare e trovare prima una soluzione. Non ho visto quasi mai passaggi razionali. E’ però anche vero che in queste situazioni ci sono persone che si mettono in mezzo e fomentano. La colpa non è degli uni o degli altri ma della nostra incapacità cronica a metterci seriamente intorno ad un tavolo per stabilire cosa può fare ciascuno.Questo è un problema strutturale che abbiamo in Italia, non solo in questa situazione tristissima degli sgomberi».

Qual è oggi l’appello della Chiesa di Roma, in questa situazione specifica?

«Noi possiamo e dobbiamo cercare di aprire ponti di dialogo. Non si possono risolvere i problemi in questo modo: diventiamo ridicoli. Chi ci vede dall’estero può pensare che in piazza ci fossero 100 mila persone. Invece no, c’erano una ventina di persone ma sembrava di stare in un assetto di guerra. Uno spiegamento di forze con 100 poliziotti, blindati, idranti, per un gruppetto di donne accampate per protesta. Diventiamo ridicoli agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Spero che come Chiesa di Roma riusciamo afarci promotori di un dialogo, di una vera confluenza di forze soprattutto sul piano della progettualità, prima ancora di arrivare all’azione materiale, fisica dello sgombero. Tranne alcuni casi in cui può essere necessario, se la polizia sa della presenza di soggetti pericolosi».