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25° strage Via D’Amelio: Mattarella, «Borsellino ha vissuto il suo servizio allo Stato, con coraggio, dedizione, tenacia e mitezza d’animo»

Nel suo intervento, Mattarella ha ripercorso l’attività professionale di Borsellino di cui «colpisce non soltanto l’altissimo livello di professionalità, ma anche il suo spirito di abnegazione, che si rinviene nel suo modo di ‘vivere’ il ruolo di magistrato». Il presidente ha ricordato come negli anni del «maxi-processo», «insieme a Falcone e ad altri valorosi colleghi vengono sperimentati, con successo, metodi investigativi nuovi e più efficaci, attraverso la condivisione delle informazioni tra i magistrati e con maggiore attenzione verso il potere economico delle cosche, il settore degli appalti e quello dei movimenti bancari». Grazie a «questo nuovo metodo, fondato sulla condivisione delle informazioni, sul lavoro di gruppo, sulla specializzazione dei ruoli, l’ufficio istruzione di Palermo raggiunge risultati processuali di rilievo inedito».

Per Mattarella, «il percorso professionale di Borsellino è lo specchio del suo modo di essere»: «la naturale disposizione ad ascoltare, fondata su un reale rispetto dell’interlocutore, l’innata inclinazione a motivare i suoi collaboratori, l’indiscussa capacità di consigliare, il rigore morale». Il presidente ha anche ricordato di Borsellino l’impegno «nel dialogo con i giovani, convinto che la testimonianza di valori positivi promuove una società sana e virtuosa, in grado di emarginare la criminalità». Su ciò che è successo il 19 luglio 1992, «deve ancora avere una definitiva parola di giustizia. Troppe – ha riconosciuto Mattarella – sono state le incertezze e gli errori che hanno accompagnato il cammino nella ricerca della verità sulla strage di via D’Amelio».

«Paolo Borsellino – ha detto ancora il Capo dello Stato – ha combattuto la mafia con la determinazione di chi sa che la mafia non è un male ineluttabile ma un fenomeno criminale che può essere sconfitto. Sapeva bene che, per il raggiungimento di questo obiettivo, non è sufficiente la repressione penale ma è indispensabile diffondere, particolarmente tra i giovani, la cultura della legalità». «Come ho già detto in occasione della seduta dedicata a Giovanni Falcone – ha sottolineato – la rievocazione delle loro figure non può, e non deve, trasformarsi in un rituale fine a se stesso, originato dalle spinte emotive suscitate dall’occasione». «Questo – ha aggiunto – ci viene ricordato, ancora una volta, dall’ignobile oltraggio recato al busto di Giovanni Falcone nella scuola di Palermo a lui dedicata. E, ancora ieri, da quello contro la stele che ricorda Rosario Livatino».

Per Mattarella, «ricordare Borsellino vuol dire far memoria di come egli visse, interpretò e svolse il suo ruolo di magistrato, costantemente impegnato nella sua terra d’origine per l’affermazione della legalità, con rigore e con determinazione, sempre con noncuranza riguardo alla visibilità per l’attività svolta». «Borsellino – ha proseguito – non si è mai arreso, non ha mai rinunciato a sviluppare il suo progetto di legalità, anche quando era diventato ormai consapevole di essere vittima predestinata della mafia. Come disse ad un giornalista, sapeva di camminare ‘con la morte attaccata alla suola delle scarpe’». «A lui – ha concluso – il Paese è riconoscente per la testimonianza che ha reso, per il sacrificio a cui è stato sottoposto e, con lui, la sua famiglia, per il grande senso di umanità, giustizia, speranza che ha permeato tutta la sua esistenza, dedicata, con efficacia straordinaria, all’obiettivo che la Sicilia e l’Italia fossero liberate dalla mafia».