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Centrafrica: la Presidente, c’è stato «un tentativo di colpo di stato»

«Un tentativo di colpo di Stato» da parte degli Anti-Balaka (milizia anti-musulmana in lotta contro gli Ex-Seleka). È ciò che è avvenuto in questi giorni a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana.

È quanto dichiara Catherine Samba-Panza, presidente della Repubblica Centrafricana, capo dello Stato di transizione, facendo il punto sulla situazione nel Paese. «È vero, è stato un tentativo di colpo di Stato – ci spiegano fonti religiose nel Paese – perché non potrebbe altrimenti essere chiamato il fatto che il leader della milizia Anti-Balaka ha intimato pubblicamente al capo dello Stato di dimettersi avvertendo – come in effetti poi è avvenuto – che le sue milizie avrebbero bloccato le strade della capitale con barricate, imponendo la cosiddetta ‘ville morte’ fino ad ottenere quanto chiesto». Inoltre, prosegue la nostra fonte, «i miliziani Anti-Balaka hanno distribuito armi e denaro ai giovani dei quartieri e hanno controllato l’identità dei passanti per verificare che non fossero musulmani. Le forze internazionali (Minusca – Onu) sono intervenute in modo molto più deciso che in passato (Misca – Unione Africana), liberando le strade dalle barricate e pattugliandole ma, dopo il loro passaggio, le barricate sono state ricostituite. Le milizie Anti-Balaka hanno anche, talvolta, teso imboscate a queste forze, che in questi giorni di disordini hanno avuto un soldato ucciso e una decina di feriti».

L’instabilità iniziata nel dicembre 2012 e sfociata in guerra civile a partire dal dicembre scorso, obbligando in tre mesi quasi un milione di centrafricani ad abbandonare le proprie case, non sembra avere fine. Purtroppo, rimarca la nostra fonte, «non si vedono ancora i presupposti neppure per un ‘cessate-il-fuoco’, dal momento che sia le milizie che gran parte dei politici s’illudono ancora di poter vincere ai danni degli avversari e sono lontani dal ‘rassegnarsi’ a cercare un compromesso accettabile per tutti». «Pericolosamente ingeneroso», poi è l’atteggiamento verso le forze internazionali – avverte la nostra fonte -: «qui le si accusa di passività perché si vorrebbe che si comportassero come un esercito che fa guerra con tutti i mezzi ai nemici, per batterli e disarmarli o, se necessario, eliminarli. Si dimentica che queste sono forze inviate per ‘mantenere la pace’, non per imporla; cercare una via, almeno, per la cessazione delle ostilità, è invece compito delle Autorità e della classe politica locale. Poi, queste milizie, come succede nelle guerre civili, spesso si mimetizzano tra la popolazione: e le forze internazionali non possono sparare alla popolazione!». In questo quadro, così complesso, si aggiunge ora l’apprensione per don Mateusz Dziedzic, sacerdote «fidei donum» polacco, della diocesi di Tarnow, rapito domenica 12 ottobre a Baboua, dove presta la sua opera missionaria. Il capo della milizia che l’ha rapito si trova in prigione nel vicino Camerun e i suoi compagni sperano in questo modo di sollecitarne la liberazione.