Italia
Terremoto, la sfida della ricostruzione post-sisma
Qualche segnale positivo c’è, ma la corruzione resta una patologia gravissima del nostro sistema politico, amministrativo ed economico. Lo confermano indagini autorevoli che dall’inizio del 2016 fino a pochi giorni fa hanno cercato di monitorare questa realtà confrontandola a livello internazionale. E vengono i brividi – considerati i precedenti – a mettere questi dati in relazione con l’impegno che il nostro Paese dovrà assumere per la ricostruzione nelle aree devastate dal terremoto.
Sarà una prova nella prova gestire questi processi tenendoli al riparo dall’illegalità, ma non è lecito rassegnarsi e tollerare ambiguità e tantomeno reati.
Non sono in gioco principi astratti, sappiamo bene che ne va dell’efficacia degli interventi e talvolta, come dimostrano le nefandezze edilizie che emergono in occasione di terremoti e alluvioni, della vita di persone umane.
A gennaio era stato il rapporto di Transparency International (un’organizzazione che da vent’anni studia il fenomeno) a segnalare che su 168 Stati, analizzati attraverso il nuovo Indice di percezione della corruzione, l’Italia si collocava al 61° posto. Per farsi un’idea, tra i Paesi dell’Unione europea soltanto la Bulgaria riportava un risultato peggiore. Tuttavia il fatto che avessimo recuperato otto posizioni rispetto all’anno precedente rappresentava comunque un segnale apprezzabile.
A metà luglio la relazione presentata al Parlamento dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) confermava una realtà difficile ma in movimento: le segnalazioni di anomalie su appalti di lavori, servizi e forniture erano passate dalle circa 1.200 del 2014 alle quasi 3.000 del 2015, con un aumento superiore al doppio. La strada però è ancora tutta in salita, perché è impresa ardua invertire una tendenza pluriennale. Il rapporto della Fondazione Hume pubblicato il 21 agosto dal Sole24Ore ci ha fatto sapere che tra i 34 Stati aderenti all’Ocse soltanto Grecia e Turchia sono considerate più corrotte dell’Italia, se si considera un arco di cinque anni. Inoltre il 75% degli italiani ritiene che negli ultimi tre anni la corruzione nel nostro Paese sia aumentata e punta il dito (v. tabella) soprattutto sui partiti (68%), sui politici (63%), sui funzionari che decidono gli appalti pubblici (55%) e i permessi edilizi (54%).
Gli studiosi avvertono che si tratta di rilevazioni sulla corruzione percepita e che quindi la realtà potrebbe essere un po’ meno negativa, ma le coordinate generali appaiono inequivocabili. C’è da chiedersi come mai il nostro Paese si ritrovi in queste condizioni.
Qualche spunto di riflessione è venuto dalla Settimana teologica organizzata nei giorni scorsi a Camaldoli dal Meic (Movimento ecclesiale d’impegno culturale) che ha messo a tema proprio la corruzione. «Se leggiamo con attenzione le indagini internazionali – osserva don Rocco D’Ambrosio, filosofo della politica, uno dei relatori di Camaldoli – possiamo cogliere tre elementi: i Paesi in cui la corruzione è più forte sono quelli in cui risulta più carente l’educazione civica e più scarsa la partecipazione e quelli in cui la moltiplicazione delle norme ha raggiunto livelli abnormi». Su quest’ultimo punto il dato italiano è sconfortante: si calcola che leggi statali e regionali siano circa 40mila, a cui vanno aggiunti circa 60mila regolamenti governativi. E si tratta di stime prudenti.
Il paradosso – in parte collegato a questa situazione – è che anche quando si fanno leggi ad hoc contro la corruzione, non si riesce a ricavarne benefici in misura adeguata. Il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, lamenta che l’attuazione del Piano nazionale anticorruzione da parte delle amministrazioni pubbliche è insoddisfacente. Lo stesso nuovo codice degli appalti, un provvedimento epocale che potenzialmente avrebbe potuto dare al sistema la sterzata necessaria, per il momento ha prodotto una paralisi che rischia di aver serie ripercussioni sull’economia: con 220 articoli e 25 allegati da interpretare e molti decreti attuativi ancora mancanti, nessuno si azzarda a pubblicare nuovi bandi. Intanto è ferma al palo da mesi, dopo il primo sì della Camera a inizio anno, la legge sul cosiddetto «whistleblowing», in pratica un sistema di protezione per chi dall’interno di una struttura denuncia imbrogli e illegalità.
Sullo sfondo c’è un grande problema educativo e culturale. Don Rocco e gli altri relatori di Camaldoli invitano a cogliere la straordinaria opportunità offerta dal magistero di papa Francesco che contro la corruzione – intesa ovviamente in tutta la sua complessità spirituale e sociale – ha usato parole di condanna particolarmente penetranti e definitive. Il vicepresidente del Meic, Vito d’Ambrosio, che ha alle spalle l’esperienza in magistratura e alla guida della Regione Marche, sostiene che «il primo impegno dei cristiani per combattere la corruzione è riconoscerne i nuovi ‘travestimenti’: non solo bustarelle ma anche un posto di lavoro per un parente, agevolazioni personali e tanto altro». Più in generale, «bisogna smetterla di pensare che la corruzione sia un fatto di scarsa gravità, mentre è un peccato contro la fraternità. È a partire da questo che troveremo il coraggio della denuncia e soprattutto della testimonianza, che spetta a noi come laici ma anche alla Chiesa intera».