Italia

Ddl Cirinnà, la ferma contrarietà del mondo cattolico

Ancora dieci giorni di attesa e poi il voto in Senato, per decidere sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Finora, il dipanarsi di questa vicenda è stato caratterizzato da un acceso confronto, per lo più vissuto tra tentativi di dialogo (pochi) e aspri scontri verbali (tanti), che ha visto differenti – e talvolta opposte – prospettive culturali fronteggiarsi su questa tematica. Da una parte, dunque, la presa d’atto di un fenomeno sociale che chiede di essere riconosciuto e regolamentato; dall’altra,  visioni antropologiche ed etiche molto diverse tra loro, che faticano a trovare punti comuni su una tematica tanto delicata, che mette in gioco concetti fondanti e strutturali della nostra società, quali quello di famiglia e di genitorialità. Il ddl «Cirinnà» è il testo attorno al quale, fin qui, si è tentato di coagulare questo movimento burrascoso di idee (o ideologie?), per arrivare ad una conclusione normativa il più possibile condivisa. Ma i fatti dicono che, al di là di ciò che deciderà l’iter parlamentare, si è ancora lontani dal raggiungimento reale di questa meta. Il Paese, infatti, appare comunque «spaccato» in più parti, almeno rispetto ad alcuni contenuti attuali della proposta di legge.

E i cattolici? Con onestà intellettuale, si deve riconoscere che, mai in questi anni di dibattito pubblico, essi hanno assunto una posizione contraria in linea di principio al riconoscimento dei diritti individuali per le persone omosessuali. «Non abbiano nulla contro il riconoscimento dei diritti individuali delle persone omosessuali, – spiegava qualche giorno fa al Sir don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei – come poter andare a visitare il partner in ospedale o in carcere o decidere quale parte di patrimonio lasciargli in eredità».

Serie perplessità, invece, nascono sulle modalità normative concrete. Le ha autorevolmente sintetizzate monsignor Nunzio Galantino, Segretario generale della Cei, in una recente intervista al Corriere della Sera. «Il testo in circolazione – ha dichiarato – mostra in maniera evidente di essere, come ha detto il professor Mirabelli, un ‘garbuglio giuridico prima che politico’. Sembra costruito per tenere insieme posizioni altrimenti non componibili; in esso si prospettano soluzioni rappresentative dei vari gruppi politici o meglio dei gruppi di pressione in campo. Sarebbe più serio seguire altre strade per non finire con un testo che è la somma di più egoismi piuttosto che essere una composizione democratica in vista del bene comune!». La sua preoccupazione, probabilmente, si riferiva alla sostanziale equiparazione nel testo tra unioni civili (pur se formalmente indicate come «formazioni sociali specifiche») e matrimonio, come dimostrano i continui rimandi al diritto matrimoniale contenuti nel ddl.

Ma poi c’è il vero nodo della questione: l’introduzione della «stepchild adoption», ovvero la possibilità di adottare il figlio biologico del partner, laddove ne ricorrano le condizioni di legge. Una scelta che, evidentemente, priva i figli (minori) del loro diritto fondamentale di poter crescere con una madre e un padre. «Perché non capire – si chiedeva Galantino – che la ‘stepchild adoption’ non è necessariamente legata al tema delle unioni civili e che essa va trattata in altra sede?». Oltretutto essa apre al rischio – almeno nel caso di una coppia omosessuale maschile – di ricorso all’avvilente pratica della «maternità surrogata». Anche se attualmente proibita in Italia, una volta attuata in un Paese estero che la consente, il ricorso a banali sotterfugi legali ne regolarizzerebbero facilmente gli effetti anche da noi. «Quello che mi impressiona negativamente – aggiungeva il Segretario della Cei – è, in alcune situazioni ipotizzate, l’assenza di attenzione nei confronti di quelli che poi subiscono le conseguenze di certe scelte: i bambini! Prendiamo, ad esempio, l’assurdità dell’utero in affitto, come possibilità non troppo remota seppur camuffata. Mi chiedo: perché non viene data pubblicità alle tante controversie – non solo giuridiche – che si accompagnano a questa pratica?». Vedremo cosa deciderà in merito il Parlamento.

Intanto, in queste ultime ore, il cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Cei, ha commentato così l’avvicinarsi dell’esame al Senato del ddl: «Ci sono diverse considerazioni da fare, ma la più importante è che mi sembra una grande distrazione da parte del Parlamento rispetto ai veri problemi dell’Italia: creare posti di lavoro, dare sicurezza sociale, ristabilire il welfare». «Di fronte a questa situazione – ha proseguito il cardinale – tanto accanimento su determinati punti che impegnano il governo e lo mettono in continua fibrillazione mi pare che sia una distrazione grave e irresponsabile». Ovvero, un serio richiamo al principio di realtà! Infine, a riguardo del Family Day, convocato a Roma da laici cattolici («con la loro responsabilità, come il Concilio Vaticano II ricorda») per il 30 gennaio a piazza San Giovanni, il cardinale Bagnasco ha avuto parole di incoraggiamento: «È condivisibile». E ancora: «Questa manifestazione è a difesa della famiglia, del sostegno pieno alla famiglia che non può essere uguagliata da nessun’altra istituzione o situazione. L’obiettivo è decisamente buono».

L’attesa ora si sposta al 25 gennaio. Lunedì prossimo, infatti si riunirà il Consiglio episcopale permanente della Cei e con ogni probabilità, nell’occasione il cardinale presidente tornerà ad esprimersi in relazione al dibattito pubblico sul tema delle Unioni civili.