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Perugia-Assisi, Lotti: «Neanche a noi basta una marcia»

Sarà una Marcia della pace che camminerà chilometri e chilometri al passo di Papa Francesco, per rilanciare su tutto il territorio nazionale il suo grido di preoccupazione per una «terza guerra mondiale combattuta a pezzi con crimini, massacri e distruzioni». La storica marcia da Perugia ad Assisi ideata da Aldo Capitini nel 1961 si ripeterà domenica 19 ottobre, con decine di migliaia di partecipanti, 400 Comuni, 100 scuole, associazioni e movimenti. Flavio Lotti, coordinatore del comitato promotore della Marcia, ne ricorda lo scopo: «Vogliamo che la denuncia di Papa Francesco sia presa sul serio. Invece c’è stato un silenzio irresponsabile. Ciò che sta accadendo è terribile, incredibilmente violento e abbiamo bisogno di fronteggiarlo con senso di responsabilità». Tra le iniziative collaterali: progetti educativi nelle scuole, un nuovo viaggio a Betlemme e una campagna, portata avanti insieme al nunzio della Santa Sede a Ginevra, per ottenere il riconoscimento, presso l’Onu, della pace come diritto umano fondamentale. Oggi la presentazione a Roma.

Come si confronta il movimento per la pace con la gravità di una «terza guerra mondiale»?

«Questa terza guerra è molto diversa perché non è stata proclamata dai governi. Se sommiamo gli oltre 40 conflitti dichiarati, ai Paesi dove ogni giorno ci sono gravissime violazioni dei diritti umani, a quelli che vendono le armi, arriviamo alla quasi totalità del mondo. Credo siano solo 5 o 6 i Paesi non coinvolti direttamente o indirettamente in questa guerra. Da quando è caduto il muro di Berlino l’Italia è stata coinvolta, con i propri soldati, in ben otto guerre. E nelle scorse settimane ha deciso di partecipare anche a questa nuova guerra in Siria e in Iraq contro l’Isis. È un panorama davvero allarmante, e il fatto che non si spari nelle nostre città non ci deve trarre in inganno: la situazione è gravissima e richiede un cambiamento di atteggiamento politico. Non riusciamo più a renderci conto dell’ondata di tragedie che rischia di venirci addosso».

È una guerra senza confini con modalità nuove come l’uso del web per diffondere il terrore tramite le decapitazioni…

«In realtà i tagliagole ci sono sempre stati e ci sono ancora oggi ovunque. Basti pensare al genocidio in Rwanda nel ‘94, milioni di persone uccise con il machete, uno dei più grandi crimini dell’umanità a cui abbiamo acconsentito. La novità è che le frange più violente stanno usando il sistema di comunicazione inventato dall’Occidente. Hanno imparato da noi: sono un pezzo di questa realtà orribile in cui le armi sono a disposizione di tutti. Perfino la bomba atomica può finire nelle mani di un gruppo di pazzi».

C’è chi accusa i pacifisti di essere stati silenziosi e non compatti nell’azione…

«Il pacifismo è stato spesso identificato come una corrente ideologica della storia che ogni tanto riemerge e scompare. Io preferisco parlare di costruttori di pace nel quotidiano. Oggi le persone sono più preoccupate per ciò che li tocca da vicino, come la crisi economica. Ma è un errore perché non esiste più ‘il vicino’ e ‘il lontano’. Gli effetti della crisi ucraina, ad esempio, li stiamo già pagando con l’aumento del 15-20% della bolletta del gas. Se continuiamo a fingere di non vedere, pagheremo caro tutto il resto».

Secondo gli interventisti gli slogan e le marce non risolvono i conflitti nel mondo.

«Sono d’accordo, non basta una Marcia della pace. Dobbiamo sentirci impegnati tutti i giorni. Coloro che dicono di intervenire militarmente sono anche quelli che avevano il potere di intervenire prima e non l’hanno fatto. A loro dobbiamo imputare la responsabilità della tragedia accaduta. La nostra Marcia vuole soprattutto porre delle domande, perché i problemi sono grandissimi e le soluzioni facili non esistono».

Papa Francesco ha chiesto di intervenire tramite l’Onu, ma non è stato ascoltato.

«Crediamo tantissimo, da tempo, sulla via dell’Onu. Il problema è che oggi il bilancio per le operazioni di pace è minore di quello dei vigili del fuoco di New York. Come possiamo chiedere all’Onu di spegnere tutti gli incendi nel mondo con così poche risorse? È allucinante ma la gente non lo sa».

Quali richieste ai politici italiani?

«Ci aspettiamo che facciano delle scelte. Per ora dobbiamo registrare un silenzio e una lontananza molto grande. Abbiamo molte proposte concrete, tra cui la richiesta di spostare sul lavoro e sui giovani le risorse economiche oggi investite in missioni militari, nuove armi e mantenimento di un apparato militare enorme (180mila soldati che costano 23 miliardi l’anno). E chiediamo che l’Italia assuma per prima, presso l’Onu, l’iniziativa del riconoscimento della pace come diritto umano fondamentale».