Italia
Sì, la guerra c’è. Ma la pace è sempre da costruire
Memoria del passato e speranza fattiva sono le radici del futuro. Ciò è vero soprattutto quando c’è di mezzo l’orribile dramma della guerra e, insieme, il faticoso dovere della speranza, che si fa impegno attivo per la pace.
Quest’anno ricorre il centenario dall’inizio della I guerra mondiale, tragicamente iniziata nel luglio del 1914 (l’Italia fu coinvolta nel 1915) e terminata nel novembre 1918. Quattro anni di devastazione su scala mondiale che causarono oltre 15 milioni di morti e più di 20 milioni tra feriti e menomati. Una delle più grandi tragedie operate dagli uomini che la storia ricordi.
Una tale ricorrenza non è sfuggita a Papa Francesco, che il 13 settembre si recherà come «pellegrino» al più grande Sacrario militare d’Italia (custodisce le salme di 100mila caduti della Grande Guerra), quello di Redipuglia, in provincia di Gorizia, per pregare per i caduti di tutte le guerre. La congiuntura dei due eventi ha spinto monsignor Santo Marcianò, ordinario militare, a pubblicare in questi giorni una lettera dal titolo «Il Dio che stronca le guerre» (Lev). Indirizzata ai cappellani, ai militari e a tutti i fedeli, essa vuole offrire loro una breve ma articolata riflessione sul tema della pace, in particolare circa gli aspetti più legati al mondo militare.
«La guerra non ha futuro: il futuro della guerra è la pace!». Con queste parole dall’accento profetico mons. Marcianò apre il suo ragionamento, riconoscendo al tempo stesso con realismo il permanere del fenomeno ‘guerra’ lungo tutta la storia dell’umanità, fino ai nostri giorni. Questo stridente dissidio giustifica il titolo della lettera «Il Dio che stronca le guerre», a sottolineare come, per sconfiggere alla radice ogni conflitto, l’azione umana deve sempre essere sostenuta da quella divina. «Il futuro della guerra è la pace», ma dopo ogni guerra, la pace dei trattati e della vittoria non basta. Non basta la pace dei confini riconquistati, non basta la pace di un ‘controllo’ esercitato con la forza e illuso di tenere a bada le ingiustizie e le rivendicazioni dei popoli. «Perché la guerra è molto di più». «La guerra è distruzione e morte, per questo è sempre sproporzionata, quale che sia la posta in gioco. La guerra è molto di più. Dunque, la pace è molto di più!».
Proprio per chiarire meglio questo concetto, mons. Marcianò presenta alcuni brevi spunti di riflessione, prendendo come riferimento schematico alcune dimensioni essenziali della pace: la dimensione politica, sociale, antropologica, pedagogica, evangelica ed ecclesiale. Per ognuno di questi ambiti, vengono messi in rilievo alcuni punti cruciali. Circa la dimensione politica, ad esempio, il principio morale secondo cui «è lecito fermare l’aggressore ingiusto» viene tradotto con l’impegno a «fermare» la guerra, non a «fare» la guerra; si tratta quindi di «lavorare per fermare le violenze, le guerre, ma anche per fermare l’indifferenza rispetto a guerre e violenze dimenticate, che coinvolgono popoli lontani, poveri, spesso massacrati proprio da coloro che dovrebbero essere i primi responsabili della loro sicurezza». A proposito della dimensione sociale, poi, l’Ordinario ricorda che «perché un popolo sia in pace è necessario, anzitutto, recuperare il senso di ‘popolo’, costruire il popolo, diventare popolo: e questo è molto più che essere parte di una realtà geografica o politica». Al cuore della dimensione antropologica, invece, è la categoria biblica di ‘prossimo’ a fare da riferimento. «La vera cultura della pace – afferma mons. Marcianò – nasce da qui, dal considerare l’altro come un ‘prossimo’ verso il quale andare incontro: davvero, la cultura della pace è una ‘cultura dell’incontro’, attenta ad assicurare lo sviluppo integrale di tutti. Pace e sviluppo sono legati ma, così come la pace, anche lo sviluppo è un concetto che è da considerarsi ‘integrale’, non in senso meramente sociale ma antropologico». Circa la dimensione pedagogica, si rileva l’urgenza di promuovere adeguate iniziative di formazione alla cultura della compassione, che è vera cultura di pace. «È importante indirizzare verso la compassione quella passione che, in genere, anima coloro i quali si avvicinano al mondo militare. È una sfida per le nostre Scuole di allievi, per le Accademie, per i diversi Corsi di addestramento e di specializzazione».
Passando quindi a considerare la dimensione evangelica della pace, l’Ordinario evidenzia come sia la logica dell’offerta, del dono di sé, l’unica in grado di superare veramente l’egoismo, l’autoreferenzialità e il soggettivismo, la smania di potere ed avere. Essa infatti «è la logica del Vangelo, per questo è la logica della pace». Questa stessa logica, però, per alcuni richiede, accanto al rifiuto della guerra, anche una scelta di ‘obiezione di coscienza’. Per altri, al contrario, è un dovere di coscienza quello di contribuire alla difesa degli innocenti e della libertà, alla quale sono chiamati, nella nostra Nazione Italiana, coloro che hanno compiti militari. Di fronte a questa diversità «la Chiesa riconosce il valore di entrambe le scelte, purché fatte con purezza di intenzione».
In ultimo, viene considerata la dimensione ecclesiale della pace. «Il cammino verso il dono di sé si interseca con il cammino di fede, con la vita sacramentale e spirituale, per questo esige la presenza del sacerdote. Ed è bello che la Chiesa riconosca questo ministero peculiare del sacerdote nella figura del cappellano militare». Un ministero dunque che si spiega, prima di tutto, con la condivisione della vita militare, con le sue fatiche e specificità, «nell’impegno a far crescere la coscienza di Chiesa e rendere comunità le nostre caserme, gli uffici, le missioni in Italia e all’estero».