Italia
Immigrati e tubercolosi, un allarme ingiustificato
È polemica in Italia dopo un post lanciato sul blog di Beppe Grillo e il relativo hashtag in rete «tbcnograzie» sul rischio Tbc tra i poliziotti che vengono in contatto con i migranti. Secondo il blog 40 agenti avrebbero contratto la Tbc perché non forniti «degli strumenti minimi di profilassi». Il Viminale smentisce dicendo che in realtà non sono ammalati ma semplicemente positivi al test che prova l’esposizione al batterio. E che comunque la polizia è obbligata a prendere tutte le precauzioni del caso. Il tema si presta a battaglie demagogiche sull’immigrazione, ma qual è la reale situazione in Italia? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Baglio, medico epidemiologo dell’Inmp (Istituto nazionale salute, migrazione e povertà) e coordinatore scientifico della Simm (Società italiana di medicina delle migrazioni).
È vero o falso che gli immigrati portano le malattie, in questo caso la Tbc?
«Questo degli immigrati che portano le malattie è un vecchio cliché che periodicamente viene riproposto. In realtà è un cliché che non trova conferma dalle statistiche. Il problema della Tbc è assai complesso, quindi è necessario evitare le banalizzazioni e non scatenare gli allarmismi. Bisogna tenere conto dello scenario complessivo: i migranti che riescono ad arrivare in Europa sono solo quelli più sani. Chi sta male non ce la fa né a partire né a proseguire il viaggio, figuriamoci se ammalati di Tbc. Il problema è che, una volta arrivati, e man mano che il tempo passa, molti migranti sono destinati ad una grave situazione di emarginazione sociale, faticano ad inserirsi e rischiano di ammalarsi delle patologie che affliggono i poveri, tra cui la Tbc. È quello che noi chiamiamo ‘l’effetto migrante esausto’».
Ci sono dati sul fenomeno?
«A livello nazionale monitoriamo il fenomeno con i dati sulla Tbc forniti dal Ministero della salute. Abbiamo notato, in effetti, un aumento del numero assoluto dei casi tra i migranti: erano 1600 nel 2003, sono saliti a 2000 nel 2009. Ma se poi questi dati si mettono in rapporto con l’aumento della popolazione straniera in Italia, il tasso di incidenza diminuisce drasticamente: era di 100 su 100mila abitanti nel 2003, si è addirittura dimezzato nel 2009, con 50 su 100mila. Questo vuol dire che non c’è assolutamente un’epidemia di Tbc. Piuttosto, va detto che è una tipica malattia che colpisce le classi più povere. È chiaro che, il rischio tra gli stranieri, che vivono in situazioni di più elevata marginalità e degrado, è 5/6 volte maggiore rispetto a quello degli italiani. Ricordiamo che le persone possono avere anche solo l’infezione senza la malattia. L’infezione si può curare tranquillamente, e anche la Tbc è curabilissima con un anno-quindici mesi di terapia. Non siamo di fronte a scenari di peste boccaccesca».
Non c’è una epidemia di Tbc ma un po’ di rischio esiste: come affrontare il problema?
«Con una risposta non allarmistica ma fondata sulle buone pratiche: prevenzione individuale, tutela dei lavoratori impegnati nelle attività più rischiose, per evitare il contagio e gestirlo al meglio, attraverso sorveglianza e screening periodici. Serve uno sforzo costante per la prevenzione e l’accesso ai servizi sanitari da parte della popolazione straniera. Noi abbiamo a disposizione tutti gli strumenti, sia di tipo normativo, sia pratico: nei casi in cui ci sono rischi per gli operatori sanitari o per le forze dell’ordine sono previste tutta una serie di tutele, a partire dall’obbligo di indossare mascherine facciali filtranti, ai cartelli nei luoghi a rischio. In alcuni tipi di lavoro il livello di attenzione è molto alto, con una serie di misure che vengono messe in atto. Anche gli operatori impiegati nell’operazione Mare Nostrum sono dotati delle adeguate misure di protezione. Oltre a questo, c’è la sorveglianza sanitaria, con screening periodici e visite straordinarie che vengono effettuati su chi svolge attività rischiose. Dobbiamo poi impegnarci per una maggiore accessibilità dei servizi sanitari da parte degli immigrati, per una semplice questione di buon senso e per il bene della collettività. Tenere alta la guardia e impegnarsi per rendere i servizi più fruibili, fino a portare i pazienti alla guarigione completa. Se ci si allontana dalle cure allora può nascere un rischio, ma se il sistema funziona non ci sono problemi. Abbiamo tutti gli strumenti a disposizione: usiamoli. L’allarmismo non aiuta. È giusto creare l’attenzione sui problemi ma non banalizziamo e cerchiamo di dedicare al tema la considerazione che merita, mettendo in atto una serie di risposte concrete».
Chiudere le frontiere, come chiede qualcuno, risolverebbe il problema?
«Che vuol dire chiudere le frontiere? La migrazione nasce con l’uomo e sempre continuerà. Non dobbiamo inseguire la polemica, ma constatare la situazione e approfittarne per risolvere i problemi».