Italia
Rapporto Istat: crolla potere d’acquisto delle famiglie
Secondo l’Istituto di statistica, la caduta del potere d’acquisto delle famiglie è di «intensità eccezionale» e «giunge dopo un quadriennio caratterizzato da un continuo declino». A questo andamento «hanno contribuito soprattutto la forte riduzione del reddito da attività imprenditoriale e l’inasprimento del prelievo fiscale». Per far fronte al calo del reddito disponibile, le famiglie hanno ridotto dell’1,6% la spesa corrente per consumi: una flessione del 4,3% dei volumi acquistati, «la più forte dall’inizio degli anni Novanta». Parallelamente, prosegue il Rapporto, «è diminuita la propensione al risparmio, che si attesta ormai su livelli sensibilmente inferiori rispetto a quella delle famiglie tedesche e francesi, più vicina alla propensione al risparmio del Regno unito, tradizionalmente la più bassa d’Europa». L’inflazione si è attestata al 3%, due decimi di punto in più rispetto al 2011.
Il 14,3% soffre di «grave deprivazione materiale». Secondo l’Istat, nell’ultimo trimestre 2012 gli indicatori di deprivazione materiale e disagio economico delle famiglie segnano un ulteriore peggioramento, dopo quello registrato nel 2011. Nove i «segnali di deprivazione»: non poter sostenere spese impreviste; non potersi permettere una settimana di ferie all’anno; avere arretrati per il mutuo, l’affitto, le bollette o per altri debiti come per esempio gli acquisti a rate; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni; non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere una lavatrice, un televisore a colori, un telefono, un’automobile. Le famiglie «gravemente deprivate», cioè con quattro o più di questi segnali raddoppiano in due anni passando dal 6,9% del 2010 al 14,3% del 2012. Quelle che ne presentano tre sono il 24,8% del totale. Continua a crescere il divario fra Mezzogiorno – dove la deprivazione materiale interessa il 40,1% della popolazione, mentre la grave deprivazione riguarda ormai una persona su quattro (25,1%) – e resto del Paese. In generale, osserva l’Istat, questa povertà «comincia a interessare non solo gli individui con i redditi familiari più bassi ma anche coloro che disponevano di redditi mediamente più elevati». Nel 2012 il 62,3% delle famiglie ha ridotto l’acquisto di prodotti alimentari.
Disoccupazione giovanile al 35,3%. L’andamento del mercato del lavoro nel 2012 è stato influenzato dalla persistente flessione dell’attività economica, rileva ancora l’Istat. Il tasso di disoccupazione, al 9,6% a gennaio 2012, ha toccato l’11,5% a marzo 2013. Il tasso di disoccupazione giovanile sale al 35,3% dal 29,3% del 2011, mentre il tasso di disoccupazione di lunga durata (ovvero la quota di persone in cerca di lavoro da più di un anno) raggiunge il 5,6% (+1,3 punti percentuali rispetto al 2011). Al calo degli occupati è corrisposta una riduzione decisa delle ore di lavoro e un consistente ricorso alla Cassa integrazione. Particolarmente consistente la riduzione dell’occupazione nel settore delle costruzioni (-5%); meno accentuata nel settore agricolo (-0,2%). La quota di donne occupate in Italia rimane, comunque, di gran lunga inferiore a quella dell’Ue (47,1% contro il 58,6%). Opportunità ridotte per i giovani: tra il 2008 e il 2012 gli occupati 15-29enni sono diminuiti di 727 mila unità (di cui 132 mila unità in meno nell’ultimo anno) e il tasso di occupazione è sceso di circa 7 punti percentuali (-1,2 punti nell’ultimo anno) raggiungendo il 32,5%. Il nostro Paese detiene inoltre la quota più alta d’Europa di 15-29enni che non lavorano né frequentano corsi di istruzione o formazione (i cosiddetti Neet, Not in Education, Employment or Training): due milioni 250 mila.
Imprese a conduzione familiare e con problemi di accesso al credito. In base al Rapporto Istat, oltre il 70% delle imprese italiane è a conduzione familiare. La gestione manageriale è poco frequente nelle piccole imprese ma caratterizza il 40% di quelle con almeno 250 addetti, mentre «le strategie adottate» negli ultimi anni sono prevalentemente «di tipo difensivo»: nel 2011 circa il 64% delle piccole aziende e il 69,4 delle grandi ha cercato di mantenere le proprie quote di mercato. Oltre la metà delle medie e grandi imprese si è spinta verso nuovi mercati e circa il 50% ha puntato sull’aumento della gamma dei prodotti. Solo il 14% delle microimprese mostra un elevato dinamismo strategico e un’alta performance. Per un terzo delle imprese sono «fattori limitativi» la mancanza di risorse finanziarie legata alla difficoltà di accesso al credito (problema che tocca il 40% delle imprese con meno di 50 addetti), gli oneri amministrativi e burocratici, la mancanza/scarsità della domanda e il contesto socio-ambientale. Negli ultimi anni, si legge ancora nel Rapporto, «la domanda estera ha svolto un ruolo fondamentale per sostenere l’attività produttiva». Il contributo delle esportazioni nette alla crescita del Pil è stato elevato nel 2011 (per 1,4 punti percentuali) e nel 2012 (per tre punti percentuali). Tuttavia, «nel 2012 la crescita delle esportazioni ha registrato un forte rallentamento rispetto all’anno precedente»
Il 45% dei giovani ha fiducia nel futuro. Nonostante la recessione, si legge ancora nel Rapporto Istat, nel 2012 i cittadini continuano a tracciare «un bilancio prevalentemente positivo» della propria qualità di vita: in una scala da 0 e 10, è 6,8 il punteggio medio espresso. Rispetto al 2011 aumenta la soddisfazione per le relazioni familiari ed amicali: dal 34,7% al 36% delle persone di 14 anni e più. Molto diffusa la soddisfazione per la salute (80,8%), nonostante l’elevata età media della popolazione. Guardando al futuro, il 24,6% degli italiani pensa che la propria situazione personale migliorerà nei prossimi cinque anni. Il 23,5% ipotizza un peggioramento, il 23,3% dichiara uno stato di dubbio e incertezza, mentre il 28,5% ritiene che la situazione resterà uguale. E sono proprio i giovani fino a 34 anni, malgrado siano particolarmente colpiti dalla crisi, a mostrarsi più ottimisti degli altri: il 45% ritiene che la propria situazione migliorerà. Fiducia nei vigili del fuoco e nelle forze dell’ordine; sfiducia diffusa, invece, verso politica e istituzioni pubbliche. Per quanto riguarda gli immigrati, il 61,4% dei cittadini italiani si dichiara d’accordo con l’affermazione che essi «sono necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono fare». Una quota simile (62,9%) è poco o per niente d’accordo con l’idea che «gli immigrati tolgono lavoro agli italiani».