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Afghanistan, la pace nasce a Pisa

DI ANDREA BERNARDINISono in trentadue, selezionati tra gli oltre 250 candidati. Molti di loro hanno già fatto esperienza in missioni internazionali. Pochi – appena cinque – sono italiani. E poi europei, africani, indiani, pakistani, alcuni uomini ed alcune donne dell’Afghanistan. Sono i partecipanti al corso per peace-keaper, destinati ad avere compiti di responsabilità medio-alta nel processo di ricostruzione in Afghanistan.

Da lunedì scorso fino a sabato 9 marzo i peace–keaper conosceranno storia, cultura, etnie, religione professata in Afghanistan, si cimenteranno in stage sulla sicurezza personale e sulla risoluzione non violenta dei conflitti, accoglieranno testimonianze di chi ha già lavorato – con ruoli di alta responsabilità – in altre missioni: per credere di più in strategie che si sono rivelate vincenti e per evitare invece errori passati.

A Frances Vendrell, consigliere speciale sull’Afghanistan per la presidenza spagnola dell’Unione europea, il compito di aggiornare i peace–keaper sull’attuale situazione in quel Paese: i «passaggi interni» nelle amministrazioni che lo stanno governando, il problema aperto della sicurezza, la speranza che la Comunità internazionale rispetti gli impegni economici assunti per l’Afghanistan dilaniato da molti anni di guerre.

Vendrell, come ha lasciato in questi giorni il Paese?

«In Afghanistan la situazione è rimasta sostanzialmente la stessa dopo gli accordi internazionali sulla gestione post-bellica del territorio… una situazione estremamente fragile e delicata».

Giudica positiva l’iniziativa di questo corso per peace-keaping?

«Quello che sta facendo la Scuola Sant’Anna è molto prezioso. C’è un fortissimo bisogno di personale adeguatamente preparato che sia capace di andare a lavorare in Afghanistan per partecipare alle complesse attività di ricostruzione».

Parliamo di sicurezza. Quali i maggiori problemi per il governo afgano e la forza multinazionale?

«Ne individuo sostanzialmente due. Il primo: l’amministrazione centrale non controlla la maggior parte del territorio. Secondo: le singole fazioni sono ancora armate. Per questo è necessaria la presenza della forza internazionale di pace: per dare sicurezza a tutta la popolazione. È però indispensabile che il mandato di questa forza militare sia allargato, adesso è limitato alla sola Kabul».

Come si stanno comportando i militari italiani?

«Stanno facendo benissimo il loro lavoro, come del resto va riconosciuto anche ai militari degli altri Paesi. Mi auguro che il mandato dei soldati italiani possa essere prolungato nel tempo, perché di questo c’è veramente bisogno in questo momento».

Infine, le mine…

«Rappresentano un problema di gravità enorme: per i civili afgani, per i civili stranieri impegnati in Afghanistan per aiutare la popolazione locale. E, ovviamente, anche per i militari. Siamo comunque fiduciosi. Il nostro obiettivo resta “alto”: la ricostruzione dell’Afghanistan e arrivare alle condizioni perché l’Afghanistan possa decidere del proprio futuro».