Italia
La grazia a Sofri continua a dividere
La famiglia del commissario Calabresi ha fatto sapere ufficialmente di non essere contraria. Lo stesso Presidente della Repubblica, che in passato si era mostrato prudente, ha fatto sapere con una nota ufficiale di essere in attesa della proposta del guardasigilli. Sì, perché per il nostro ordinamento non è indispensabile che il condannato chieda la grazia e Sofri ha spiegato più volte, ritenendosi innocente, che lui non la chiederà mai , ma è indispensabile che il ministro della giustizia prepari l’incartamento e soprattutto che lo controfirmi. Quest’ultimo atto, a dire il vero, è sempre stato inteso come «dovuto» e non sindacabile.
Ma il ministro Castelli, che ha già detto di no a Bompressi, ritiene invece che tra le sue funzioni ci sia anche quella di «stoppare» il capo dello stato. «In Italia ci sono 8137 detenuti per omicidio o tentato omicidio. Perché tutti devono essere ignorati tranne Sofri? Perché solo a lui è importante concedere la grazia?», ha chiesto provocatoriamente Castelli. Dimenticandosi che la grazia è appunto un «atto di clemenza individuale» e che in 50 anni (dal 1951 al 2000) ne sono state concesse più di 47 mila, con una media di 80 al mese.
Il 26 luglio 1988 viene arrestato Leonardo Marino, ex militante di «Lotta Continua»
Il 28 luglio 1988 Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani vengono arrestati per omicidio volontario premeditato, sulla scorta delle «confessioni» di Marino che si autoaccusa come «autista» dell’agguato. Sofri e Pietrostefani vengono indicati come i mandanti, Bompressi come l’esecutore materiale. Altri ex dirigenti di LC sono accusati di concorso in omicidio.
Il 6 settembre 1988 il tribunale della libertà dispone gli arresti domiciliari per Sofri, Bompressi e Pietrostefani, che saranno rimessi in libertà un mese e mezzo più tardi. Marino rimarrà agli arresti domiciliari, con permesso di recarsi al lavoro, per circa sei anni, che gli varranno come pena scontata.
Il 28 giugno 1989 Sofri, Bompressi, Pietrostefani e Marino sono rinviati a giudizio assieme ad altri 13 ex militanti di Lotta Continua, accusati da Marino di aver partecipato con lui a diverse rapine. Per altre 22 persone, tra cui i maggiori dirigenti di LC, si dichiara il non luogo a procedere.
Il processo di primo grado inizia il 27 novembre 1989 a Milano e si conclude il 2 maggio 1990 con la condanna di Sofri, Bompressi e Pietrostefani a 22 anni di reclusione. Marino è condannato a 11 anni, per i benefici della legge sui pentiti.
Il 15 maggio 1991 inizia il processo d’appello. Malgrado non abbia fatto ricorso, Sofri vi è giudicato in quanto si ritiene che la sua posizione sia legata a quella degli altri imputati. Il 12 luglio 1991 la sentenza conferma tutte le condanne del primo grado.
Il 18 giugno 1992 Sofri inizia uno sciopero della fame contro la decisione di spostare la discussione del ricorso dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione alla sesta. Un mese dopo il presidente della Corte di Cassazione dispone che venga affidato alle Sezioni Unite.
Il 23 ottobre 1992 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione annullano la sentenza d’appello, perché la chiamata di correo di Marino non è confortata da sufficienti riscontri.
Il nuovo processo d’appello si celebra ancora a Milano. Il dibattimento è condotto in maniera più accurata e la sentenza viene pronunciata il 21 dicembre 1993. Tutti gli imputati vengono assolti, compreso Marino che non viene creduto nemmeno su se stesso.
Il 27 ottobre 1994 la Corte di Cassazione, chiamata a decidere per la seconda volta, annulla la sentenza di assoluzione richiamandosi alle incongruenze delle motivazioni.
Il terzo processo d’appello dura appena un mese e si conclude l’11 novembre 1995 con la riconferma delle condanne a 22 anni di carcere. Per Marino, in nome della legge sui pentiti, il reato è considerato estinto.
Il 22 gennaio 1997 la Quinta Sezione della Corte di Cassazione conferma la sentenza di condanna a 22 anni di carcere per Sofri, Bompressi e Pietrostefani e la prescrizione del reato per Marino.
Il 24 gennaio 1997 Adriano Sofri viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Pisa. Sempre a Pisa, qualche ora prima, si costituisce Ovidio Bompressi. Giorgio Pietrostefani fa sapere da Parigi, dove vive, che entro pochi giorni tornerà in Italia per costituirsi. Lo farà il 29 gennaio 1997 e verrà rinchiuso anche lui a Pisa.
15 dicembre 1997. Viene presentata alla corte d’Appello di Milano l’istanza di revisione del processo.
19 marzo 1998. La corte d’Appello di Milano dichiara l’istanza «inammissibile».
20 aprile 1998. Ovidio Bompressi viene liberato per motivi di salute. Si tratta di una sospensione della pena, che il 18 agosto viene trasformata in arresti domiciliari.
6 ottobre 1998. La prima sezione penale della Corte di Cassazione annulla la decisione della corte d’Appello di Milano e rinvia alla Corte d’appello di Brescia.
1 marzo 1999: anche la corte d’appello di Brescia respinge la revisione.
27 maggio 1999: la Cassazione annulla l’ordinanza di Brescia, rinviando la decisione alla Corte d’appello di Venezia.
24 gennaio 2000: Venezia rigetta la richiesta di revisione e conferma la condanna. Sofri torna in carcere, Bompressi si costituisce il 7 marzo e il 29 marzo ottiene il differimento per motivi di salute. Pietrostefani resta latitante.
5 ottobre 2000: la prima sezione penale della Corte di Cassazione rigetta il ricorso e la condanna diventa definitiva.
8 novembre 2002. Con una lettera al quotidiano il «Foglio», il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi afferma che è ormai «matura» l’ipotesi di grazia a Sofri sia per il comportamento tenuto in questi anni che per i «suoi scritti». «La società scrive Berlusconi non può attendersi dalla sua detenzione un qualunque beneficio in termini di rieducazione» e «la pena rischia di risultare soltanto afflittiva».
11 giugno 2003. La Corte dei diritti umani di Strasburgo boccia la richiesta di Sofri, Bompressi e Pietrostefani di aprire un procedimento contro l’Italia per aver violato la Convenzione europea sull’equo processo e il diritto alla difesa.
13 luglio 2003: il direttore del «Corriere della Sera», Stefano Folli, rilancia in un editoriale la richiesta di un atto di grazia per Sofri.
15 luglio 2003: con una lettera dell’avvocato Luigi Li Gotti la famiglia Calabresi fa sapere di non essere contraria alla clemenza perché «con la sentenza giustizia è stata fatta».
18 luglio 2003. Dopo un incontro tra Ciampi e il ministro della Giustizia Castelli, il presidente della Repubblica in una nota ufficiale, ricorda il commissario Calabresi, «trucidato barbaramente in un attentato terroristico» e dichiara di essere in attesa della proposta del ministro della Giustizia per la concessione della grazia ad Adriano Sofri. La sera il ministro Castelli anticipa un articolo de «La Padania», nel quale si dice contrario alla grazia a Sofri e favorevole invece ad un’amnistia.
A regolamentarla è l’articolo 681 del codice di procedura penale che stabilisce: «La domanda di grazia, diretta al presidente della Repubblica, è sottoscritta dal condannato o da un suo prossimo congiunto (…) ovvero da un avvocato o procuratore legale ed è presentata al ministro di grazia e giustizia». E al paragrafo 4 si precisa (novità introdotta dal nuovo codice) che «La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta».
Uno dei quattro condannati per l’omicidio Calabresi, Ovidio Bompressi aveva chiesto la grazia il 12 luglio, invocando l’atto di clemenza anche per Sofri e Pietrostefani. L’8 agosto 2001 il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha bloccato la richiesta ritenendola «inopportuna» e perché aveva «il parere contrario del magistrato di sorveglianza di Massa e della Procura generale di Milano». Il 18 febbraio 2002, dopo che Bompressi è stato colpito da un attacco di ischemia cardiaca, i suoi familiari hanno presentato una nuova domanda di grazia.