Italia
Pino Arpioni, un maestro di vita per generazioni di Toscani
L’ultima volta che l’ho visto, giovedì scorso in ospedale, a Careggi, dove era ricoverato dal 16 ottobre, parlava già a fatica, con un filo di voce; il respiro affannato nonostante l’ossigeno. Gli occhi gli si sono illuminati. Aveva voglia di parlarmi del pellegrinaggio di 80 giovani dell’Opera in Terra Santa. Aveva sofferto per quell’aggravarsi improvviso delle condizioni di salute che lo aveva costretto al ricovero in ospedale. Avrebbe voluto esserci anche lui a pregare nella Basilica del Santo Sepolcro il 5 novembre, anniversario della morte di La Pira. Un pellegrinaggio che aveva fortemente voluto e per il quale aveva sicuramente offerto in preghiera le sue sofferenze. Da un cassetto del comodino mi ha fatto tirar fuori due buste: in una c’erano alcune foto degli incontri più significativi in Terra Santa. Nell’altra, una serie di letterine scritte in bella calligrafia su fogli di quaderno dai bambini di prima e seconda elementare della scuola interna di Nomadelfia. Dicono quasi tutte la stessa cosa: «Caro Pino, ci dispiace che stai male, ma tu sei buono e andrai in Paradiso. Ci ricordiamo di quella volta che ci hai parlato del campo di concentramento…».
A Nomadelfia, dove ha voluto essere sepolto «per poter toccare La Vela con un dito», ha trascorso buona parte degli ultimi due anni, un po’ a causa di lavori di ristrutturazione alla sede dell’Opera, in via Gino Capponi, a Firenze, un po’ per le sue condizioni di salute che lo avevano costretto a rallentare l’attività, dopo due interventi al cuore. Ma anche in questi ultimi anni non ha mai smesso di seguire e indirizzare l’attività dell’Opera. Pur avendo una grande capacità di dialogo con i giovani, non amava tenere conferenze o parlare in pubblico, ma negli incontri ai campi o in quelli tradizionali del martedì a Casa Gioventù non mancava mai di commentare gli avvenimenti più importanti e di invitare all’impegno, alla preghiera, alla speranza.
«Avanti, ma fermi». Con La Pira sintetizzava così il suo modo di agire. «Fermi» nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa, ai valori del dialogo, della pace, dell’incontro tra i popoli. «Avanti» con il coraggio di rimettersi sempre in discussione, di verificare il lavoro fatto, di aprirsi anche ai «segni dei tempi». Come nell’86 quando decise di aprire l’attività dei campi estivi a «La Vela» e al «Cimone» anche alle ragazze, non per cedere ad una moda né per per rinnegare una metodologia, ma per rispondere ad un’esigenza nuova, essendo venute meno analoghe esperienze rivolte alle ragazze.
Non è facile dire quanto abbia influito sull’attività di Pino l’amicizia con La Pira. Non vi è dubbio, però, che questo legame, molto intenso, lo ha confortato nelle sue scelte più qualificanti. Come quella, ad esempio, di una laicità intransigente, che andava di pari passo con una fedeltà assoluta alla Chiesa. In La Pira aveva trovato conferma anche all’intuizione sulla necessità di tenere sempre insieme nella formazione dei giovani l’aspetto religioso e quello sociale, perché il cristiano come ripeteva La Pira «deve tenere in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale: qui c’è la sintesi della giusta formazione da dare all’uomo». E riflettendo sul messaggio del «professore» aveva impegnato l’Opera in una serie di esperienze ecumeniche alle quali teneva moltissimo: con la Chiesa anglicana dal 1979; con la Chiesa russo-ortodossa dal 1984; con la Chiesa greco-ortodossa dal 1986. E poi, ancora, i pellegrinaggi a Fatima, vissuti nell’ottica della conversione della Russia, così come promesso dalla Madonna, e nei luoghi della fede russa, fino al recente pellegrinaggio in Terra Santa, che apriva nuovi orizzonti di impegno per i suoi giovani.
Fu l’inventore dei campi scuola
Stretto collaboratore di Giorgio La Pira, del quale fu anche esecutore testamentale, Pino Arpioni era nato ad Empoli il 19 marzo del 1924 (da cui il nome di battesimo Giuseppe). Ultimo di quattro fratelli, era rimasto orfano ad un anno. Costretto a partire militare nel ’43, fu arrestato in Friuli dai tedeschi e deportato in diversi campi di concentramento. Fu quell’esperienza drammatica a far maturare in lui la vocazione di dedicarsi interamente all’educazione dei giovani. Tornato dalla prigionia quando i suoi avevano perso ormai ogni speranza di rivederlo, nel 1948 organizzò, per la parrocchia di Empoli, il suo primo campo scuola a Pian degli Ontani. Accanto a lui, come cuoca, la mamma, che lo seguirà sempre nelle sue attività. Nel ’51 è presidente diocesano della Gioventù di Azione cattolica. Per questo si trasferisce a Firenze dove ben presto lo raggiungeranno la mamma e la sorella Maria, che lo sosterranno anche economicamente.
In quegli anni con la Giac (la Gioventù italiana di Azione Cattolica), contestando l’usanza di chiudere l’anno sociale con la fine della scuola, organizzò i primi campi-scuola estivi a Montecocco, nel ’50, al Falzarego, nel ’51, e a Piandelagotti nel ’52. In quest’ultimo anno aprì la Giac fiorentina ad un’esperienza nuova: un campo al mare e precisamente all’isola d’Elba. Diventato delegato regionale della Giac, nel ’54 maturò l’idea di un villaggio fisso, dove ospitare più turni durante l’estate. La scelta cadde su Pian degli Ontani. La costruzione fu rapidissima. Inaugurato il 10 di luglio, già in quell’anno ospitò diversi gruppi. L’anno successivo costruì il Villaggio La Vela a Castiglion della Pescaia su un terreno concesso dall’Ente Maremma. Il primo campo fu per i figli degli assegnatari dell’Ente Maremma: ragazzi che per lo più non avevano mai visto il mare.
Nel ’59, dopo aver lasciato ogni incarico a livello nazionale nell’Ac, contemporaneamente all’Associazione «Opera Villaggi per la Giuventù», dette vita a Firenze alla Casa della Gioventù «Pier Giorgio Frassati», prima in un appartamento in via La Marmora e poi nella sede attuale di via Gino Capponi. È l’idea di una sede fissa per l’attività dove tenere alcuni incontri formativi al di là dei «campi» e far vita comune con alcuni studenti, anche stranieri. E in quell’appartamento scelse di vivere gli ultimi anni della sua vita Giorgio La Pira. Con La Pira aveva iniziato un sodalizio fin dal 1951, quando, eletto consigliere comunale, il sindaco gli affidò i cantieri di lavoro, nati per alleviare in qualche modo la grave disoccupazione.
Nel ’60 è assessore al personale nella prima giunta di centro-sinistra guidata da La Pira. Nel ’64, assieme a Fioretta Mazzei è di nuovo a fianco di La Pira alle amministrative, ma nonostante il grosso successo elettorale dell’ex-sindaco la Dc cede al socialista Lagorio la carica di primo cittadino. I «lapiriani» vengono messi in disparte e nel ’66, quando si torna a votare per il Comune, non si ripresenta. Il suo impegno politico attivo finisce qui, anche se nel 1974 viene chiamato dal Segretario della Dc Amintore Fanfani a rifondare il movimento giovanile, aprendolo alle nuove realtà del mondo ecclesiale italiano e nel ’76 gli viene chiesto di presentarsi alle elezioni politiche con Giorgio La Pira per capolista.
Dalla metà degli anni ’70, prima con il card. Florit e poi con il card. Benelli, ha avuto incarichi di rilievo nella Chiesa fiorentina, soprattutto nella Consulta diocesana per l’apostolato dei laici. Negli anni ’90 è stato anche presidente dell’Istituto Innocenti. È morto all’Ospedale di Careggi, alle 6,10 di mercoledì 3 dicembre. Sabato 6 dicembre, alle 9,30, nel Duomo di Firenze i funerali celebrati dal card. Antonelli.
In Terra Santa sulle orme di La Pira
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