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La sfida dei democratici: è John Kerry l’anti–Bush

Sarà John Kerry lo sfidante democratico per la Casa Bianca. È questo il verdetto delle primarie del 2 marzo, il «super martedì»: nove stati su dieci hanno dato la vittoria al senatore di Boston, pupillo del clan dei Kennedy. Kerry, con il suo slogan dagli echi rooseveltiani, «The real deal», che parafrasa «The new deal», è apparsa ai democratici la carta migliore per innescare «il cambiamento».

L’unica sconfitta è arrivata dal Vermont dove ha vinto l’ex governatore Howard Dean, di fatto già ritirato dalla corsa. L’ultimo sfidante di peso rimasto, John Edwards, ha dato battaglia fino alla fine in Georgia ma poi ha dovuto capitolare. Parlando ai suoi sostenitori, Edwards ha avuto parole d’elogio per il suo rivale, il senatore John Kerry, e ha fatto riferimento alla sua campagna al passato, ripetendo il suo impegno per un’unica America. Ted Kennedy raggiante ed entusiasta ha detto riferendosi a Kerry: «È una supernotte per il partito democratico: abbiamo un super-candidato e sarà un super-presidente».

Kerry ha reso omaggio all’avversario Edwards, di cui ha lodato l’eloquenza e l’impegno. «Siamo amici, condividiamo i valori per cui ci battiamo. Uniti, vinceremo», per un’America «di libertà e d’uguaglianza», dove «rimpiazzare i dubbi con la speranza, rimpiazzare la paura con la sicurezza». Parole che rilanciano l’ipotesi del «dream ticket»: Kerry come presidente ed Edwards come suo vice. Prima del «super martedì», ci sono stati, dal 19 gennaio a oggi in sei settimane, 30 competizioni elettorali: Kerry ne ha vinte 27, Edwards, Dean e l’ex generale Wesley Clark una ciascuno (rispettivamente, Sud Carolina, Vermont e Oklahoma). Per quanto riguarda i delegati, Kerry si avvicina a quota 1.500, superando i due terzi di quelli matematicamente necessari (2.162) per garantirsi la nomination alla convention del partito, che sarà a Boston, a casa sua, a fine luglio. Martedì prossimo, 9 marzo, si voterà in quattro Stati del sud: Texas (195 delegati), Florida (177) e Louisiana (60) con il sistema delle primarie chiuse, e in Mississippi (33) con le primarie aperte. Un giorno prima saranno scelti i delegati nelle isole Samoa americane (sei delegati). Ma, di fatto, il «super martedì» ha chiuso la prima fase politica di quest’anno elettorale negli Stati Uniti. La seconda fase andrà da qui alla stagione delle convention: la democratica a fine luglio, la repubblicana a fine agosto. La terza fase sarà la campagna elettorale vera e propria, da settembre al 2 novembre, quando verrà eletto il presidente.S.P.La schedaIl meccanismo delle primarieNegli Stati Uniti, il voto non è automatico, né obbligatorio. Per votare occorre che il cittadino che ha 18 anni si registri volontariamente nelle liste elettorali come membro di uno dei due maggiori partiti – democratico o repubblicano – o come indipendente. Non facendolo, dimostra di non volere esercitare un diritto che comunque gli appartiene. Per l’elezione del presidente degli Stati Uniti ogni quattro anni si segue una procedura complessa che si svolge per sette mesi, dal febbraio al novembre dell’anno presidenziale, almeno per i due partiti maggiori, ed è suddivisa in tre fasi. Ogni cittadino può essere eletto presidente purché nato negli Stati Uniti. Alle presidenziali partecipano decine di candidati in rappresentanza di altrettanti partiti, alcuni di scarsissima importanza. I due partiti maggiori hanno come simbolo due animali. Il Partito Democratico ha come simbolo l’asino, da quando il candidato Andrew Jackson fu definito un asino dagli avversari. Un elefante è il simbolo del Partito Repubblicano, definito anche il «Gran vecchio partito» – Gop e cioè Great Old Party – e fu creato dal disegnatore Thomas Nast nel 1874. Nella prima fase i candidati gareggiano all’interno dei singoli Stati e del proprio partito, attraverso le elezioni primarie o i caucus, veri e propri congressi di partito seppure con qualche variante, per affermarsi come candidati presidenziali del proprio partito. Le varie consultazioni prevedono cinque tipi di votazione: caucus aperto o chiuso, primarie aperte, semichiuse o chiuse. Le primarie chiuse sono riservate agli affiliati al partito. Invece, alle primarie aperte, possono partecipare tutti gli iscritti negli elenchi statali dei votanti, anche se affiliati ad altri partiti. Alle primarie semichiuse partecipano gli affiliati al partito, gli indipendenti e gli indecisi ma non gli affiliati ad altri partiti. Il caucus, il nome deriva da un termine indiano-americano delle tribù degli Algonchini, significa assemblea con voto. Si vota per alzata di mano. Nel caucus chiuso partecipano gli affiliati a quel determinato partito, in alcuni casi si può cambiare e affiliarsi con un altro prima dell’inizio dell’assemblea. Nel caucus aperto non è richiesta l’affiliazione ad alcun partito. Il primo caucus chiuso di queste presidenziali si è svolto il 19 gennaio nello Stato dello Jowa, le ultime primarie si terranno l’8 giugno nel Montana e nel New Yersey. Martedì scorso, 2 marzo, si è svolto l’election day con le primarie in alcuni degli Stati più importanti. Le convenzioni nazionali rappresentano la seconda fase che si tiene nei mesi di luglio e agosto, almeno per i due partiti principali. I candidati gareggiano all’interno del partito su scala nazionale per ottenere la nomina a candidato presidenziale. Alle convenzioni nazionali partecipano tutti i delegati scelti secondo le regole che ciascuno Stato autonomamente si dà (primarie, caucus o convention di Stato). I delegati sono generalmente alcune migliaia, essi giungono alla convenzione già impegnati a sostenere un determinato candidato oppure liberi di scegliere. La convenzione di partito nomina a maggioranza il candidato presidente che, a sua volta, indica il candidato vicepresidente: insieme costituiscono il ticket (democratico o repubblicano). La terza fase e cioè l’elezione del presidente si terrà martedì 2 novembre.Ennio Cicali