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Dall’ambasciatore israeliano un appello a sorpresa: «Riprendete i pellegrinaggi»

di Andrea FagioliLa parola burocrazia è per me quasi una bestemmia». Si presenta così l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede. Mostra il suo volto meno formale il diplomatico che nel giugno 2003 ha presentato le sue credenziali a Giovanni Paolo II. Si chiama Oded Ben-Hur, ha 52 anni, 3 figli, parla cinque lingue, l’italiano quasi alla perfezione. Lo incontriamo nella sede dell’Accademia dei Ponti, a Firenze. Ha discusso per più di un’ora con i giovani che frequentano l’istituzione culturale dell’Opus Dei. Nella «due giorni» fiorentina, martedì e mercoledì scorsi, l’ambasciatore ha fatto visita anche al cardinale Ennio Antonelli.

«Sto cercando di allargare la rete delle conoscenze – spiega il diplomatico –. Mi interessa decifrare questo mistero chiamato Chiesa cattolica, ma soprattutto sto incontrando vescovi e preti per promuovere la ripresa dei pellegrinaggi in Terra Santa».

La notizia suona nuova. Finora, infatti, erano soprattutto i cristiani che vivono in Palestina a chiedere la ripresa dei pellegrinaggi anche perché, spesso, sono proprio le autorità israeliane a creare difficoltà attraverso i controlli snervanti in entrata e in uscita da Israele, oppure «esportando» all’estero, tramite i mass media, la paura per gli atti terroristici dei kamikaze.

«In parte è vero – ammette Oded Ben-Hur –. Purtroppo siamo costretti a fare questi controlli. È un’esigenza di sicurezza che ci costa molto, che scoraggia chi vuole visitare Israele. Condivido che si debba fare qualcosa per agevolare la situazione. Io come ambasciatore, sentendo queste lamentele le riferisco spesso alle autorità israeliane e in particolare ai diretti responsbaili dell’aeroporto di Tel Aviv. Purtroppo, dopo le Olimpiadi di Monaco del 1972 quando sono stati uccisi i nostri atleti, viviamo blindati anche fuori da Israele: nelle ambasciate come nelle sinanoghe».

C’è un’altra questione che sta creando non pochi disagi e per la quale si è levata la protesta della Custodia francescana: 130 religiosi presenti in Terra Santo sono attualmente in attesa del visto da parte del governo israeliano, con la conseguenza che ogni tanto qualcuno finisce per essere fermato dai militari o dalla Polizia.«Sono episodi spiacevoli – ammette anche in questo caso l’ambasciatore –, ma non bisogna dimenticare che siamo un Paese in guerra con diversi Paesi arabi da cui provengono questi religiosi». Eppoi, una frecciata al patriarca Michel Sabbah, che a giudizio del diplomatico israeliano, sarebbe troppo di parte: «Ha un ruolo da patriarca palestinese. Lo fa con il cuore, ma quello non è il suo ruolo. Grazie a Dio il Papa ha nominato un ausiliare, un convertito israeliano».

È così che Oded Ben-Hur apre il capitolo palestinese ed in particolare quello del terrorismo e della sua influenza sulle comunità cattoliche di Terra Santa che sarebbero «terrorizzate dai loro fratelli musulmani». «I terroristi non sono più di 40 mila, ma questi – a giudizio dell’ambasciatore – tengono in ostaggio 5 milioni di palestinesi e di cristiani. Questo è quello che il mondo deve sapere. E per risolvere il problema dobbiamo seccare la palude di finanziamenti alle organizzazioni terroristiche. I miliardi di dollari che ricevono passano proprio dalle banche europee. Sappiamo con certezza da dove i soldi vengono e dove vanno».

I pellegrinaggi dei cattolici, secondo Oded Ben-Hur, avrebbero in questo senso un doppio valore: «Da una parte aiuterebbero l’economia palestinese e dall’altra favorirebbero la pacificazione. I cattolici – dice Ben-Hur – hanno questo ruolo e noi abbiamo bisogno di questa presenza».L’ambasciatore tesse poi l’elogio di Giovanni Paolo II («Veramente non so quanto di più si possa chiedere ad un Papa da parte di Israele»), ma s’irrigidisce sulla questione del muro: «Per voi è un discorso accademico, per noi significa salvare la vita. E che funzioni ne abbiamo le prove. Eppoi, solo per 19 chilometri e mezzo si tratta di muro, il resto degli oltre 600 chilometri è solo una barriera di filo spinato. In ogni caso, la durata del muro dipende dal popolo palestinese. Se loro riescono a mettere le mani su quei pochi terroristi, noi abbattiamo il muro».E le uccisioni mirate? «Le facciamo per esigenza – risponde l’ambasciatore –: siamo noi le vere vittime, siamo attaccati da sempre, non abbiamo ancora un Paese, non abbiamo confini riconosciuti e non abbiamo mai provato la pace, ma non per questo possiamo permetterci il lusso del pessimismo. Ben Gurion diceva che chi a Gerusalemme non chiede miracoli, non è realista».