Italia
I cattolici kosovari: «Stop alle violenze»
Nello stesso luogo che aveva ospitato le violenze delle settimane precedenti, sono stati seminati fiori. Un piccolo abete, invece, è stato piantato poco oltre. Simboli di qualcosa da far germogliare e crescere. Intorno quattro banchetti: hanno raccolto adesioni in calce ad un documento che porta la firma di tutte le associazioni locali e delle organizzazioni non governative internazionali aderenti al tavolo delle Ong di Pejë/Pec (la prima è la dizione albanese, la seconda quella serba). Condannano la violenza certo, ma vanno anche oltre: chiedono «un’analisi dettagliata di ciò che è accaduto» e si dicono convinte che, «l’esplosione di violenza», non ha solo una matrice etnica, «ma è anche una reazione causata dalla frustrazione delle comunità locali per l’inefficienza delle istituzioni e l’inefficacia delle politiche sviluppate negli ultimi cinque anni». Chiamati in causa anche i mass media locali, a cui hanno domandato «d’impegnarsi a riportare i fatti in modo indipendente, in modo da fare solo gl’interessi di un giornalismo responsabile».
Mancavano, invece, i rappresentanti delle minoranze, un’assenza tanto pesante quanto scontata: chi conosce un po’ il Kosovo sapeva benissimo che nessuno di loro si sarebbe mai presentato dopo le ferite ancora troppo fresche aperte nelle loro comunità dai drammatici fatti di metà marzo.
È una voce flebile quella che ha parlato a Pejë/Pec nella Domenica delle Palme, ma è quella di una società civile che, sia pure timidamente, prova ad esprimersi senza intermediari. È accaduto a Pejë/Pec, ma anche Prizren, dove il 18 marzo scorso quando ancora gli scontri infuriavano in tutta la regione è intervenuta anche la Chiesa cattolica che, tramite il vescovo Mark Sopi, ha invitato «alla calma e all’astensione da ogni forma di protesta», esprimendo «profonda amarezza per le notizie di vittime, feriti e gravi danni agli edifici di valore storico, culturale e religioso, patrimonio di tutto il Kosovo».
E a Pristina, dove, lo stesso giorno, 57 organizzazioni non governative hanno chiesto la fine immediata delle violenze e richiamato l’amministrazione internazionale e il governo locale alle loro responsabilità, invitandoli a dar prova di maturità e a cessare con lo scambio di reciproche accuse. Voci flebili e non prive di contraddizioni, ma a cui, forse, vale la pena di cominciare a prestare orecchio.