Italia

15 più 10, l’operazione che fa crescere l’Europa

di Gianni BorsaL’allargamento che il 1° maggio porterà l’Unione da quindici a venticinque Stati membri, spostando i confini verso Est e verso il Mediterraneo, non è certo il primo e quasi certamente non sarà l’ultimo della storia dell’Europa comunitaria.

In realtà la Comunità economica europea, sorta con i Trattati di Roma del 1957 e comprendente sei paesi fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi), aveva già nel proprio Dna la vocazione ad estendersi ad altre nazioni del continente. La «vocazione» eminentemente economica della Cee non nascondeva la speranza di creare, un giorno, una comunità ben più grande e popolosa, fondata sulla democrazia, i diritti, l’economia di mercato, la giustizia sociale e la pace.

Non senza difficoltà si giunse a far lievitare la Cee prima a 9 membri (1973: ingresso di Danimarca, Irlanda, Regno Unito), poi a 10 (1981: Grecia), quindi a 12 (1986: Portogallo e Spagna). Dal canto suo l’Unione europea, «figlia» della Cee e battezzata con il Trattato di Maastricht del 1992, passò ben presto a 15, con l’apertura ad Austria, Finlandia e Svezia (1995). Del 1987 è la richiesta di adesione della Turchia, seguita, dopo la caduta del muro di Berlino (1989), da quelle avanzate dagli Stati sorti dalla disgregazione dell’«impero» sovietico. Per molti popoli la prospettiva di un avvicinamento all’Ue ha rappresentato uno stimolo per accelerare la transizione e attuare le riforme necessarie per rispondere ai «criteri di Copenhagen», passaggio obbligato al fine di diventare a pieno titolo «soci» dell’Unione.

Negli anni ’90 l’Ue si è quindi impegnata a definire una strategia di pre-adesione, ha stanziato fondi per avvicinare le economie dei «candidati» agli standard dei Quindici, ha cercato di adeguare le istituzioni (Trattato di Nizza, 2001) e ha varato a Berlino l’Agenda 2000 che fissa strategie e parametri per abbattere l’ex «cortina di ferro».

Naturalmente questa particolare fase di riunificazione (come qualcuno ama dire) si distingue dalle precedenti per diversi elementi: per il numero di Stati che in un sol colpo entrano a far parte della «casa comune»; per la distanza che separa le economie e i sistemi giuridici dei nuovi aderenti alla «media Ue»; per le profonde differenze tra i Dieci e i Quindici riguardo la storia recente, la cultura, le tradizioni… Senza trascurare la precarietà del quadro mondiale, fra terrorismo, guerre mai domate e recessione economica. Questo allargamento sarà, quindi, più complesso, profondo e pervasivo rispetto a tutti i precedenti. A maggior ragione sono richieste maggiori risorse, disponibilità all’accoglienza e quella duttilità che, nella storia dell’integrazione europea, è stata spesso decisiva nei passaggi cruciali.

Il commento di mons. Merisi (Comece):Un passo atteso da anniL’Unione allarga i confini e la Chiesa… la precede. I vescovi europei si sono dati appuntamento dal 17 al 24 aprile in Spagna, per un pellegrinaggio a Santiago di Compostela, un congresso teologico e l’assemblea della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), in cui sono stati ufficialmente accolti i confratelli dei paesi di nuova adesione all’Ue. Per la Cei era presente monsignor Giuseppe Merisi, vescovo ausiliare di Milano e rappresentante della Conferenza episcopale italiana nella Comece.

Monsignore, qual è il significato della recente iniziativa della Comece?

«Con l’allargamento, i popoli e gli Stati d’Europa saranno più vicini, potranno camminare assieme verso traguardi più ambiziosi e affrontare le grandi sfide poste dalla globalizzazione. La Chiesa cattolica, così come le altre Chiese e comunità religiose, intende essere accanto alla gente. In questo senso la Comece ha proposto alcuni mesi or sono il documento “Apriamo i nostri cuori”, in cui si invitano i credenti a porsi al servizio del processo di unificazione, avendo per obiettivi la pace, lo sviluppo economico e sociale, la difesa della democrazia, dei diritti e della dignità umana. Senza dimenticare la necessaria presenza sugli scenari internazionali».

Molti osservatori fanno presente che con l’allargamento sorgeranno nuovi problemi sul piano dell’integrazione continentale…

«Certamente non si devono sottovalutare le difficoltà. Sono convinto però che i cittadini dei 25 Stati aderenti abbiano voglia di condividere speranze e sogni, di rimboccarsi le maniche per appianare le divergenze. Ecco perché il principio di solidarietà deve presiedere al processo di integrazione. Sempre per le medesime ragioni è essenziale approvare al più presto il Trattato costituzionale, con le riforme ritenute necessarie per il buon funzionamento delle istituzioni comunitarie, ma anche per una più precisa definizione dei principi-cardine e delle grandi mete che l’Unione prefigura. E poi speriamo ancora che nel preambolo trovi posto il riconoscimento storico al cristianesimo».

Quale può essere il contributo dei cattolici in questa direzione?

«La Chiesa segue e sostiene la riunificazione dell’Europa, convinta che essa sia un passo atteso da anni verso la pace e la fraternità tra i popoli. Al contempo, si intravede la possibilità di annunciare il Vangelo a tutte le genti, in spirito di libertà e di reciproco rispetto. E, complessivamente, sono convinto che l’ecumenismo farà bene all’Europa, così come l’unità del continente porterà giovamento al cammino ecumenico».

La schedaCon il 1° maggio 2004 l’Unione europea allargherà i propri confini verso est, aprendo le porte a dieci nuovi Stati membri (Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Cipro, Slovenia, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria), passando così da 15 a 25 aderenti. La popolazione crescerà da 380 milioni a 450 milioni di cittadini. Altri due paesi candidati, Bulgaria e Romania, potrebbero entrare a far parte dell’Ue nel 2007, mentre per la Turchia, altro “candidato”, non sono sinora previste date certe. Per far parte dell’Unione, ciascun paese deve assicurare al suo interno il rispetto dello Stato di diritto, la tutela delle libertà fondamentali e dei diritti umani, deve avere un’economia di mercato funzionante e un’amministrazione in grado di recepire e applicare le normative comunitarie. Alle urne sabato 12 e domenica 13 giugnoIl voto per le europee e per le amministrative si terrà sabato 12 giugno (dalle 15 alle 22) e domenica 13 giugno (dalle 8 alle 22). Con 337,9 milioni di elettori sarà la più grande consultazione nella storia dell’Europa e si terrà in tutti i paesi tra il 10 e il 13 giugno. L’Italia ha scelto di accorpare il voto con quello amministrativo. Da qui la novità dei seggi aperti già dal sabato pomeriggio, visto che non era possibile «sforare» sul lunedì 14. L’Italia è divisa in cinque circoscrizioni ed elegge complessivamente 78 deputati, mentre nel 1999 ne aveva 87. La Toscana fa parte della circoscrizione «Centro», insieme a Lazio, Umbria e Marche e potrà eleggere 15 deputati (nel ’99 erano 22). Cinque anni fa i toscani eletti a Strasburgo furono solo due, il diessino Guido Sacconi e il forzista Enrico Ferri, ai quali si è aggiunto, strada facendo, il forzista Paolo Bartolozzi, subentrato allo stesso Berlusconi nel 2001. Per favorire l’elezione di donne, questa volta nessuna lista potrà avere più dei 2/3 dei candidati di un solo sesso. Sulla scheda si potranno esprimere fino a tre preferenze.