Italia

Iraq, scacco alla paralisi in tre mosse

Pubblichiamo il testo integrale della proposta messa a punto dalla «Cittadella della pace» per risolvere il conflitto in Iraq e alla quale hanno aderito numerose realtà della nostra regione a partire dai francescani della Verna e dai monaci di Camaldoli. Il documento è stato consegnato a Giovanni Paolo II nel corso dell’Udienza generale del 12 maggio. Nella stessa circostanza il Papa ha salutato i rappresentanti dell’associazione «Rondine-Cittadella della pace», guidati dal presidente Franco Vaccari e accompagnati da alcuni vescovi della Toscana: «A loro e a tutti i presenti – ha detto Giovanni Paolo II – rinnovo l’invito di pregare per la pace nel mondo, specialmente in Iraq e nel Medio Oriente. Col sostegno della Comunità internazionale, possano quelle care popolazioni incamminarsi decisamente sulla strada della riconciliazione, del dialogo e della cooperazione».

Non è possibile continuare così (anche perché il domani sarà peggiore dell’oggi)!

Non è sensato lasciare tutti insieme e all’improvviso l’Iraq (non tutti gli iracheni lo vogliono, specialmente quelli che, usciti allo scoperto, hanno creduto nella possibilità di un nuovo corso)!

Non è ipotizzabile che le Nazioni Unite, tra una cinquantina di giorni, prendano saldamente in mano le redini di un efficace ma non sanguinoso passaggio di consegne!(le Nazioni Unite, infatti, non hanno una forza militare propria, necessaria, come non mai, ad un Iraq che deve interamente ricostruire il proprio esercito. Inoltre intervengono con i Caschi Blu solo su base negoziale, non avendo forza coercitiva sugli Stati).

Tutti siamo oppressi da un senso di frustrazione e di impotenza. Ogni parola sembra inutile o velleitaria.Eppure, quasi tutti vogliamo la pace. Alcuni ritengono che si debba invocarla, gridarla, astenendosi da ogni uso della forza che possa apparire complice della guerra. Tanti la vogliono e credono che, per raggiungerla, si debba osare. In altre parole: al di là della grande e legittima posizione dell’obiezione di coscienza e senza contraddire il “no” totale alla guerra, chi ama la pace a questo modo e intende costruirla concretamente ha, oggi, il compito di squarciare un orizzonte che appare senza via d’uscita. Chi è su questa posizione ha le carte in regola per rischiare e trovarsi insieme ad altri su una posizione che permetta di dissipare da una parte l’insidioso e ingiusto addebito di codardia, dall’altra l’acquiescenza verso posizioni che hanno trascinato o trascinano fatalmente verso la guerra.

Andarsene, per sentire sulla coscienza di tutto l’occidente – poiché non vi sarebbe più distinzione tra chi ha voluto la guerra e chi no – ogni goccia di sangue versato dalla data dell’abbandono frettoloso del campo, è improponibile quanto restare e contare quotidianamente i morti – civili e militari – nella velleitaria attesa di chi – chi? Diciamolo! – non potrà apparire all’orizzonte risolvendo una situazione che invece deve essere risolta col concorso di tutti, perché tutti riguarda e coinvolge. Chi ha la cultura dell’“intera famiglia umana” ha forse il compito di muovere il primo passo.

Dunque un’azione inedita con una caratteristica semplice che pone il tutto sul piano del negoziato e sguscia via da qualsiasi forma di violenza: un’azione che viene proposta e, semmai, viene accettata. Se rifiutata, la responsabilità degli eventi non sarà più distribuita come prima e le scelte conseguenti si presenteranno agli occhi di tutti con più chiarezza.

Dunque una proposta. Quale?

Un piano in tre mosseLa prima. Una giornata nazionale in cui i cristiani, insieme a tutti i Capi musulmani presenti in Italia, pregano per la pace in Iraq e tutto il Medio Oriente e lanciano un appello ai sequestratori e a tutti i Capi religiosi iracheni per il rilascio immediato e senza condizioni degli ostaggi, di tutte le nazioni. Per la comune radice abramitica, i Capi religiosi delle comunità ebraiche italiane potrebbero unirsi alla preghiera e, insieme ai Capi musulmani e cristiani potrebbero incaricarsi di consegnare direttamente l’appello.

La seconda. L’Italia chiama l’Europa per l’immediata creazione, al suo interno, di una forza militare multinazionale euromediterranea cui partecipano – anche in modi diversificati – Paesi estranei alla guerra (Francia, Germania, Marocco? Egitto? Libia? …). L’Italia potrebbe parteciparvi con il compito specifico di rilanciare il rapporto atlantico con gli Stati Uniti sul piano degli alti valori condivisi. Tale forza multinazionale è proposta al legittimo Governo provvisorio e ai Capi religiosi iracheni (che potrebbero negoziare sulla base di diversi ed evidenti interessi) e alle forze armate che hanno abbattuto il regime di Saddam (Stati Uniti e Inghilterra, che avrebbero altrettanti – e non minori – interessi per realizzare con Stati amici un turn over che apra alla fase di pacificazione e di ricostruzione). L’operazione di veloce sostituzione di tutte le forze armate presenti – come passaggio intermedio dall’attuale situazione a un successivo e positivo intervento delle Nazioni Unite – dovrebbe essere avvallata, ovviamente, dalle Nazioni Unite.

La terza. La progettazione di un Cantiere per una Cooperazione Economica Internazionale Equa e Solidale, sotto la responsabilità degli Organismi Internazionali collegati alle Nazioni Unite, in collaborazione con tutti gli stati protagonisti della vicenda, specialmente quelli del Vicino Oriente, comprendendo quelli che hanno abbattuto con la guerra il regime di Saddam Hussein. Il nuovo Iraq dovrebbe diventare un intero Paese che attua ciò che in microesperienze si realizza da tempo in varie parti del mondo. Si tratterebbe della trasformazione di una situazione tragica in occasione per creare relazioni utili per la crescita umana, economica e culturale di tutti. Buone pratiche di cooperazione internazionale potrebbero aprire la via ad una riconciliazione sul campo tra Occidente (intero) e Vicino Oriente (intero: Gerusalemme non può mai essere dimenticata!). Pace per ciascuno in cambio di vantaggi economici per tutti.

Tre mosse per dare scacco alla paralisi e aprire possibilità inedite, frutto di larghi consensi.

A chi questo appello?A tutti coloro che possono udirne l’eco senza alcun discrimine, poiché la pace non ha colori o, meglio, li ha tutti. Ma certamente ai Vescovi per la prima mossa, alle Istituzioni locali e nazionali, ai politici di tutte le parti, agli uomini della cultura e dell’economia per la seconda e la terza mossa, al vasto e articolato mondo di chi in queste ore pensa, agisce, si impegna, rischia, prega .Dalla terra di Toscana non sarebbe la prima volta che vengono una parola, un gesto, un’intuizione capaci di rovesciare l’impossibile, di aprire “un sentiero asciutto in mezzo a due muraglie di acqua”. E’ sempre quel piccolo sentiero su cui possiamo continuare a camminare: il sentiero di Isaia, caro a Giorgio La Pira, caro a Francesco d’Assisi. Convocateci alla Verna, “trampolino di lancio per le imprese di pace” – come lo definiva La Pira – e tentiamo! Gettiamo un ponte con Ur dei Caldei, nel cuore dell’Iraq, patria nel nostro comune Padre Abramo.Franco VaccariPresidente di Rondine Cittadella della Pace

Le torture in Iraq: il cerchio cinico