Italia
Doping, torna l’allarme in Toscana
«Oil for drug». Questo il nome dell’operazione dei Nas sul doping (nella foto di Cge) che ha investito ancora una volta il mondo del ciclismo. Ancora una volta proprio mentre si svolgeva il Giro d’Italia. E l’inchiesta ha coinvolto anche personaggi conosciuti negli ambienti sportivi professionistici ed amatoriali come Simone Giustarini, un medico della provincia di Pisa denunciato, nell’ambito dell’inchiesta. Coinvolti anche due ospedali toscani: il Santa Chiara di Pisa e l’Ospedale Unico della Versilia. Da lì, secondo i carabinieri, usciva la maggior parte dei farmaci che poi erano usati come sostanze dopanti dagli atleti.
Diversi gli infermieri indagati: quattro a Pisa, due uomini e due donne che lavorano nei reparti di ortopedia e oncologia del Santa Chiara e due dipendenti dell’Ospedale Unico della Versilia. In totale sono state indagate 138 persone, 140 sono state le perquisizioni in 28 province italiane, un farmacista arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti, un fermo, decine di confezioni di sostanze dopanti sottratte a strutture pubbliche sequestrate. I reati contestati sono associazione per delinquere, commercio e assunzione illegale di sostanze dopanti, esercizio abusivo della professione, ricettazione, distribuzione illegale di sangue umano.
Tra i 138 indagati ci sono 15 ciclisti professionisti, 77 dilettanti, sette atleti (di cui tre professionisti impegnati nell’atletica leggera), nove infermieri che lavorano presso ospedali e strutture pubbliche (in particolare fisioterapisti e massaggiatori), due medici, 9 direttori sportivi di altrettante squadre di ciclismo amatoriale.
Tra i molteplici temi trattati, da sottolineare quello sull’ «Evoluzione del calcio in Europa: incidenza sugli aspetti tecnici, atletici e medici» con un’appendice sulle «Nuove strategie antidoping: osservazioni a distanza». Ed è proprio nel contesto di questo tema che il professor Enrico Castellacci, direttore dell’Istituto di medicina e traumatologia dello sport di Lucca e presidente della «Lamica» (riconfermato nel suo mandato proprio in chiusura di congresso), ci ha dichiarato che, «purtroppo, il doping tende a condizionare lo sport in generale, soprattutto per l’esasperazione con cui molto spesso viene praticato. Fortunatamente ha poi continuato il suo condizionamento è sempre meno influente nel calcio che si pratica nel nostro Paese, e questo in conseguenza dei controlli incrociati fra sangue e urina da noi proposti e accettati della Federazione italiana. Devo rilevare purtroppo ha ancora detto Castellacci, medico sociale dell’Empoli che esiste una sensibile sperequazione fra ciò che avviene da noi e nel resto dell’Europa, dove i controlli sono molto meno frequenti e meno sistematici». Tanto per esemplificare ed uscire dal generico il noto traumatologo ha affermato che «di fronte a 5 mila controlli che vengono effettuati in Italia, altrove non si va oltre i 600. E ciò comporta un certo inquinamento dei risultati. Per questo invito tutti i paesi del continente a parificare i controlli, in maniera che nelle competizioni internazionali, come la Champions League, tutti i club partecipanti possano, sotto questo profilo, considerarsi alla stessa stregua. Infatti, è ormai indispensabile erigere una specie di Linea Maginot per contrastare in via definitiva un male tanto fisico quanto e soprattutto morale». «Per questo, ma non solo per questo ha infine concluso il presidente della Lamica il doppio congresso non solo si è dimostrato un momento di valido aggiornamento scientifico, ma anche e soprattutto uno scambio culturale tra diverse professionalità. Infatti, il nostro obiettivo prioritario è e rimane quello di contribuire a costruire un calcio sempre migliore attraverso un confronto culturale, tecnico e scientifico che ha come obiettivo primario la salute dell’atleta e la regolarità delle competizioni. Su questo fronte, pertanto, l’Associazione da me presieduta si batterà sempre in prima linea».
«Un atleta che vince una gara o che gareggia con metodi scorretti non rispetta se stesso e gli altri». Secondo il presidente del Senato Marcello Pera «il doping non è un problema che può riguardare solo i medici o i dirigenti del calcio. È un problema di cultura. Dobbiamo far comprendere ai giovani che lo sport è agonismo leale, è rispetto degli altri e autostima, ma chi gareggia con metodi scorretti non può avere né autostima, né rispetto degli altri».
Ma che cosa ne pensano del doping gli eroi della domenica? Un sondaggio in proposito è stato realizzato in queste settimane dall’Associazione Calciatori e i risultati sono pubblicati sul numero di giugno del «Calciatore», il mensile ufficiale dell’Associazione. Ne ha dato notizia Piero Volpi, consulente sanitario dell’Associazione, intervenuto al congresso di Viareggio. «Abbiamo inviato un questionario agli oltre 2000 associati, dalla C2 alla serie A e abbiamo ottenuto 1050 risposte da circa il 50% del campione», ha detto Volpi. «Per quanto anonime, nel senso che non sono riconoscibili, le risposte testimoniano complessivamente una crescita e una presa di coscienza decisamente positive. Siamo dunque molto soddisfatti nel rilevare questa sensibilità dei giocatori, segno che il lavoro fatto in questi anni ha dato i frutti sperati».
I vertici della Federazione medico sportiva, il presidente Giorgio Santilli e il responsabile della commissione medico scientifica Luigi De Luigi, hanno invece annunciato la prossima pubblicazione di una ricerca su ben 32 mila praticanti, soprattutto giovani e giovanissimi. «L’Italia hanno spiegato è il solo Paese in cui si prevede l’obbligo della visita medica per praticare uno sport. Grazie a questa ricerca, che sarà pubblicata in ottobre sul mensile «Medicina dello Sport», abbiamo scoperto che il 10-20 per cento dei soggetti dichiarati idonei soffre in realtà di un vasto numero di patologie, dall’ipertensione alla scoliosi, dalle allergie all’asma. Patologie che possono degenerare senza interventi opportuni. Da qui l’importanza della prevenzione».
Anche la Regione Toscana sta pensando ad iniziative concrete per coinvolgere il mondo dello sport in un percorso di autocertificazione che lo aiuti a liberarsi dello spettro del doping: è questa l’idea che l’assessore regionale per il diritto alla salute Enrico Rossi lancia alle società sportive toscane, una sorta di sistema di «accreditamento delle società sportive». A queste verrebbe richiesto di sottoscrivere un decalogo antidoping, la cui violazione comporterebbe sanzioni sportive.
Dal luglio del 2003 inoltre è in vigore la legge regionale n. 35 che non solo disciplina la tutela sanitaria delle attività agonistiche, motorie e ricreative, ma mette l’accento sulla informazione e sulla prevenzione per mettere al riparo soprattutto i giovani da rischi irreparabili. È poi partita l’attività del primo laboratorio toscano antidoping, inserito nel sistema sanitario pubblico e in grado di individuare tutte le maggiori classi di sostanze dopanti.
Dottor Gemignani, quali sono attualmente le sostanze più usate nel doping?
«Le sostanze che negli ultimi quindici anni hanno fatto la differenza sono l’eritropoietina, l’ormone della crescita e gli anabolizzanti. Fanno fare un salto molto grosso all’atleta dal punto di vista delle prestazioni. Nonostante che le indicazioni mediche dell’eritropoietina siano ridottissime, la produzione mondiale è altissima come pure il fatturato delle ditte che la producono. Per certi prodotti, se uno li prende in farmacia, serve la ricetta medica, ma solo in teoria perché purtroppo si è sviluppato un mercato parallelo alternativo. In questo modo le farmacie ormai vengono saltate a piè pari».
Quale sono gli sport più «segnati» dal doping?
«Statisticamente il culturismo, sia amatoriale che professionistico. La quasi totalità dei praticanti è spinta per una mentalità ormai pluridecennale a utilizzare queste sostanze indispensabili per arrivare a certi risultati. Non dimentichiamo, comunque, neppure lo sci di fondo».
E per il calcio come la mettiamo?
«Il calcio è interessato dal fenomeno doping ma solo in parte, sia perché è uno sport dove conta molto la tecnica oltre che il fisico, sia perché fino a qualche anno fa non c’era la cultura del doping. La Federazione italiana gioco calcio è molto efficace dal punto di vista del controllo: tutte le settimane le squadre sono testate sia a sorpresa che durante ogni competizione. Diverso è il discorso per l’estero dove i controlli antidoping si effettuano solo due o tre volte l’anno».
Cosa si può fare per combattere la cultura del doping?
«Le cose da fare sono due: prevenzione e repressione. La prevenzione, che mi interessa più specificatamente anche come medico, è la parte più difficile. Purtroppo in questi anni lo sport ha perso le sue finalità educative e formative nei confronti dei giovani. L’obiettivo sarebbe quello di farli crescere nel rispetto delle regole e degli avversari. E poi lo sport, o meglio, l’educazione fisica, nella scuola italiana praticamente non esiste perché relegata a due ore settimanali. E anche questo non aiuta i ragazzi a crescere con una corretta mentalità sportiva educandoli a una sana competizione».
Mens sana in corpore sano, insomma…
«Sicuramente, e in questo senso gli esempi della tv e dei giornali che insistono solo su polemiche, entità dei contratti, soldi e così via, non aiutano sicuramente i ragazzi e i genitori ad avere valori morali ed etici che permettano di evitare il problema del doping. Del resto, il successo sportivo è visto anche come obiettivo da raggiungere in quanto sistemazione di lusso e in questo senso viene molto propagandato. La nostra è una società molto competitiva, ci sono interessi economici grossissimi. Per un motivo sempre economico, ad esempio, i calendari agonistici, non solo professionistici ma anche amatoriali, si sono dilatati tantissimo e gli atleti, sottoposti ad un numero maggiore di gare e di problemi di forma fisica, volontariamente o involontariamente sono costretti anche a cercare un aiuto. Meglio una scorciatoia. Come è il doping».