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Ecco RoboCasa, nato a Tokio con «genitori» pisani
Quali funzioni è in grado di espletare questo robot?
«Il robot è progettato per poter interagire e cooperare con gli umani: RoboCasa può afferrare oggetti e mostrare emozioni con espressioni facciali e gesti del corpo e soprattutto delle mani. Il presupposto di questi esperimenti è che le persone accettino più facilmente i robot che mostrano reazioni e comportamenti naturali ».
Un robot capace di emozionarsi… è una novità
«Non è il primo esemplare che risponde a questi requisiti, anche se devo dire che solo tre o quattro laboratori nel mondo si occupano di robot capaci di emozionarsi ».
Perché?
«Perché i sistemi da progettare sono molto complessi. Il robot di RoboCasa ha un approccio originale alle emozioni, che esprime in più modi: in questo senso è originale».
Su quali elementi si fonda il vostro studio per dare emozioni ed espressività ai robot?
«Sul motto socratico conosci te stesso. È infatti necessario capire come noi esprimiamo le emozioni per poterle riprodurre successivamente nei robot. Un occhio particolare, però, va prestato alle profonde differenze culturali esistenti, per esempio fra un occidentale e un giapponese».
Ovvero?
«Beh, le emozioni fondamentali sono le stesse, ma la gestualità cambia. Convinti di questo, stiamo cercando di reclutare attori italiani e giapponesi per studiarne le differenze. Dal punto di vista tecnico progettuale infine la questione si traduce nell’aggiungere abilità motorie al robot, sia alle mani che al viso».
Il passo successivo, è dare anche un’etica al robot
«Questo è un punto cruciale. Un’etica del comportamento deve essere infatti definita durante la progettazione e non a posteriori. Bisogna dare al robot delle regole affinché faccia delle cose e non ne faccia altre».
Insomma, un codice di comportamento.
«In questo caso valgono le cosiddette tre leggi di Asimov. La prima: un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. La seconda: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla prima legge. Infine, la terza: un robot deve proteggere la propria esistenza, purchè questa autodifesa non contrasti con la prima e la seconda legge».
E se si dovesse presentare la scelta di una religione?
«Non credo si possa arrivare a questo: bisogna sempre tener presente che l’intelligenza di un robot è veramente qualcosa di molto elementare, niente di paragonabile a quella umana. Si può parlare, come dicevo prima, di regole di comportamento che siamo noi stessi a stabilire, anche in relazione alle varie differenze culturali. Per esempio in Giappone è considerato molto scortese guardare dritto negli occhi o scrutare qualcuno e quindi un robot che deve interagire con persone di quella cultura dovrà comportarsi di conseguenza».
Arriveremo un giorno ad un robot capace di discernere e di usar fantasia come l’uomo?
«La robotica umanoide avanzata prevede che le macchine possano apprendere. Un robot potrà quindi imparare a conoscere l’ambiente e interagire con esso. Ma bisogna precisare che l’apprendimento per un robot è un processo estremamente elementare e molto distante dalla nostra concezione del termine. Un robot capace di apprendere saprà, ad esempio, manipolare meglio un oggetto o non cadere su un terreno accidentato. Mi spiego: quando il robot vede per la prima volta un oggetto potrà registrarne le proprietà geometriche o la forza che serve per afferrarlo cosicché la volta successiva saprà già cosa fare».