Italia

Europa, il cristianesimo una medicina per il futuro

di Mauro BanchiniSe vuoi tracciare un solco dritto, attacca il tuo aratro a una stella. Non manca di suggestione e di efficacia, questo proverbio arabo citato da mons. Aldo Giordano a Vallombrosa in occasione della «Giornata Benedettina ed Europea» organizzata da «Supplemento d’anima» con un titolo («Europa unita, cristiani divisi?») già capace di evocare il contenuto di un appuntamento ormai tradizionale per i cattolici toscani: la quattordicesima edizione, come ha ricordato in apertura la presidente Annamaria Cuccuini. Insieme a mons. Giordano, segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali europee, è intervenuto mons. Basilio Petrà, docente al Pontificio Istituto Orientale di Roma. Sullo sfondo, come ovvio, il Trattato sulla Costituzione Europea.

Giordano e Petrà, entrambi profondi conoscitori di ciò di cui parlavano (e la cosa non guasta…), non hanno tradito le attese. Il primo, in particolare, ha sviluppato tre punti riguardanti il ruolo delle Chiese cristiane in un processo di unificazione europea che sposta sempre più verso Est i confini, compreso il possibile ingresso di Paesi dove i cristiani sono una piccola minoranza: la questione dei «valori», la libertà religiosa, il richiamo alle «radici cristiane».

Se il Trattato, all’art. 2, riporta un elenco di valori sui quali pare proprio impossibile dissentire, Giordano ha sottolineato il rischio che tutto si esaurisca in un «elenco retorico». Non tanto sui valori in sé, quanto sui contenuti dei singoli «valori» si rischia infatti di «restare a mani vuote»: nel nome della dignità umana, tanto per dirne una, oggi si lotta sia contro l’aborto che in favore dell’aborto (o dell’eutanasia o di altro). E sotto il comune cappello della libertà esiste, oggi, un pluralismo di significati così ampio che diventa difficile trovare un accordo comune capace di reggere.

C’è poi la questione della libertà religiosa, compreso il ruolo delle Chiese nel contesto civile. Qui Giordano – che ha avuto un ruolo anche personale nelle complesse trattative che hanno preceduto il trattato – ha fatto parlare il linguaggio dell’ottimismo. Nel testo, infatti, c’è un articolo (il 51) che rappresenta la base per un impegno futuro importante: sono molte, nell’Est, le Chiese che ricordano sulla loro pelle storie recentissime di carcerazioni e di violenze contro la libertà religiosa; è dunque di grande significato che l’Europa dei 25 abbia recepito la proposta delle Chiese sulla libertà religiosa e sul necessario coinvolgimento delle stesse nella formazione delle decisioni future. Si parla poco di questo – ha proseguito Giordano – perché si è finito per parlare troppo del mancato riconoscimento, nel preambolo del Trattato, circa le «radici cristiane». Il trattato, come noto, si apre con un pure esplicito richiamo alle «eredità religiose, culturali, umanistiche». La questione è nota, compreso il dolore del Pontefice per il mancato accordo su quello che avrebbe potuto essere un riconoscimento ancora più esplicito.Giordano – che non ha neppure eluso una domanda sul ruolo dei «poteri occulti» in questo tipo di decisioni («Spesso me lo domando anch’io, a Bruxelles, chi ha il vero potere. In effetti si sente questo tipo di forza, ma è difficile parlarne») – ha invitato a non perdersi d’animo. «Come cristiani non possiamo accettare la logica delle fortezze chiuse: cerchiamo di uscire dal tema delle radici per guardare con fiducia al futuro. Sappiamo infatti che siamo portatori di una formidabile buona notizia davanti alle tante domande di senso che agitano questa Europa post ideologica: un’Europa spesso disperata che ha bisogno estremo di medicine valide. Noi sappiamo bene che il cristianesimo è una medicina unica: rifondiamo, cioè diamo un contenuto nuovo, alle grandi parole che compongono l’elenco dei valori».

Tutto incentrato sull’ortodossia, nel suo rapporto con il cattolicesimo e con il processo di unione europea, il contributo di mons. Basilio Petrà. In particolare è stata analizzata la situazione delle due Chiese ortodosse più numerose: la greca e la russa. Come si legge, a Est, il tema dei diritti umani, quello della laicità, quello della separazione fra Stato e Chiesa? Come ci si confronta con il secolarismo, con il fenomeno, così bene conosciuto da noi e soprattutto fra i protestanti, delle chiese deserte? Non sono da escludere – ha aggiunto Petrà – nuove divisioni fra i cristiani: divisioni trasversali, all’interno delle stesse Chiese; divisioni sul rapporto fra secolarismo e identità religiosa; divisioni anche su battaglie contro questo o quel provvedimento di carattere politico.

Dunque, in conclusione, un’Europa sempre più unita ma con cristiani sempre più divisi? Sembrerebbe proprio questa la direzione e non sarebbe male se anche nelle nostre comunità locali, troppo spesso estranee e provinciali, ci si confrontasse anche su questo tipo di frontiere: il rapporto fra le religioni e la capacità di elaborare nuovi contenuti di vero ecumenismo. Tenendo presente la storia dell’aratro, del solco dritto e della stella in cielo.

I punti fermi dei cattolici in politicaNel pomeriggio, il confronto di Vallombrosa si è spostato su un ambito decisamente più nazionale: cosa sta accadendo e cosa può accadere nel rapporto tra fede e politica in un contesto italiano che sta proseguendo la faticosa e complicata ricerca di un assetto più stabile. Assente per cause di forza maggiore mons. Gastore Simoni, alcuni cattolici toscani impegnati su vari fronti della politica e della società civile hanno ascoltato una relazione di Alberto Migone, direttore di «Toscanaoggi» e hanno aggiunto altri mattoni alla costruzione di quel Collegamento che in prospettive anche rapide potrebbe rivelarsi metodo di notevole interesse anche pratico. Migone ha ricordato i «punti fermi» dell’impegno dei cattolici nella politica del bipolarismo alla luce dell’insegnamento della dottrina sociale. Compreso l’obbligo del reciproco rispetto fra cattolici impegnati nei due fronti. E compresa l’importanza di pensare anche a «vie alternative».