Italia

Rapporto Istat, sulla famiglia niente di nuovo. Purtroppo

di Francesco Bellettidirettore del Centro internazionale studi famiglia L’uscita del Rapporto annuale Istat costituisce una preziosa occasione di riflessione sullo “stato di salute” della famiglia italiana; quest’anno, tuttavia, verrebbe quasi la tentazione di dire “niente di nuovo sotto il sole”, seguendo in questo anche i brevi commenti che corredano i dati, secondo i quali “prosegue il processo di semplificazione delle strutture familiari”, dal momento che diminuiscono le coppie con figli (dal 48,0% del 1993 al 41,9% del 2003), mentre aumentano le persone sole (oltre 5 milioni nel 2003), i nuclei con un solo genitore, le coppie non coniugate, le famiglie “ricostituite”. L’immagine che se ne ricava è quella di una progressiva erosione della famiglia, a favore di forme di convivenza di varia natura, sempre meno strutturate, sempre meno stabili, più “volatili”; ma forse è il caso di non soggiacere a questa tentazione, un po’ ipnotica, nel vedere una tendenza inarrestabile a sempre nuove modalità di fare famiglia, segnali di libertà e di modernità, con l’implicito giudizio che la famiglia “che tiene”, quella stabile, quella con un padre, una madre e qualche figlio (magari più di uno solo!), in fondo è solo un retaggio del passato, al punto che per definirla si usa spesso, anche in buona fede, l’espressione “famiglia tradizionale”; ma si sa, le tradizioni cambiano, e basta poco per diventare tradizionalisti, arretrati, retrogradi…Qualcosa di simile sta avvenendo anche nel dibattito sull’imminente referendum, dove alcuni interventi (non tutti, in verità) accusano chi si batte per la difesa della vita concepita (e, quindi, per la scelta di rifiutare il referendum abrogativo della legge 40/2004) di essere oscurantista, nemico della ricerca scientifica, tradizionalista, in contrapposizione alle “luminose prospettive future” di una ricerca scientifica che ci libererà da ogni male proprio perché libera da vincoli, da limiti di qualsiasi natura (e, quindi, anche da quelli etici).

Non sembri azzardato il paragone, rispetto allo specifico dei dati Istat sulla famiglia, perché è più facile fare un titolo su “Le nuove famiglie: crescono le convivenze!” (che in effetti passano da 227.000 nel 1993 a 555.000 nel 2003, quindi raddoppiano in 10 anni; ma sono – appunto – poco più di mezzo milione), mentre sembrerebbe meno interessante ricordare che oltre il 40% delle famiglie italiane (il che significa, oggi, oltre due terzi della popolazione complessiva, quindi oltre 30 milioni di adulti, giovani, adolescenti e bambini) continua a fare famiglia, continua a restare fedele alla promessa di cura e fedeltà reciproca scambiata dai coniugi, continua a farsi carico dei propri figli, dei propri genitori anziani, dei propri membri disabili. Insomma, se novità c’è, forse per una volta potremmo sottolineare che la famiglia italiana, pur tra crescenti difficoltà, crisi e fallimenti, comunque sia resiste, in un contesto culturale ostile ai legami e alle responsabilità, in un contesto economico che scarica sulle famiglie disoccupazione, precarietà, difficili combinazioni tra carichi lavorativi e impegni familiari, in un contesto sociale e politico che fa ben poco per favorire le giovani coppie e le nuove famiglie, sia in ambito lavorativo, sia per quel che riguarda l’emergenza casa, vero e proprio “incubo” per chi deve fare famiglia.

Un’altra preziosa informazione che l’Istat raccoglie riguarda le reti di aiuto informali all’interno e tra le famiglie; anche in questo caso il dato è ambivalente, perché si conferma la presenza di una insostituibile capacità di cura e accudimento, di aiuto informale e gratuito, che circola tra le famiglie e le generazioni (ad esempio il 35,7% dei bambini con meno di 13 anni viene affidato ai nonni non coabitanti), aumenta il numero di persone che prestano aiuto gratuito. D’altra parte, diminuisce il numero complessivo di ore di aiuto fornite, così come diminuisce significativamente (dal 23,3% nel 1983 al 16,7% nel 2003) il numero di famiglie che ricevono aiuti informali; anche l’età media dei care-givers (chi dà aiuto) cresce significativamente (da circa 43 anni nel 1983 a oltre 48 anni nel 2003), confermando l’impressione che la famiglia rimane una risorsa essenziale, ma segnali di fragilità emergono anche da questo punto di vista.

Insomma, dai dati Istat emergono luci e ombre della famiglia italiana, e forse lo spunto per richiamare a una doppia responsabilità: la società deve offrire un sostegno reale alle famiglie; le famiglie hanno a loro volta il compito di tenere fede al proprio progetto e di ri-generare le persone e la società.

RAPPORTO ISTAT 2004: LA FAMIGLIA, SI CONFERMA COME FONDAMENTO DEL MODELLO ITALIANO DI WELFARE