Italia
Il Meeting dei toscani
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Ma tantissimi sono stati anche, come sempre, i toscani che il Meeting l’hanno vissuto dalla parte della platea, se così si può dire, sentendosi comunque ugualmente protagonisti del più coinvolgente evento culturale di fine estate e non solo.
Stefano Capretti , vicepresidente toscano della Compagnia delle Opere, racconta il «suo» Meeting a partire dall’incontro che anche alcuni mezzi di comunicazione laici hanno sorprendentemente riconosciuto come centrale, quello con il successore di Giussani, don Julián Carrón. «Certo afferma anche da parte dei mass-media c’era un’evidente curiosità per questo, ma mi hanno colpito anche altri aspetti apparentemente secondari.
L’incontro era stato programmato al lunedì, giornata tradizionalmente non ancora calda, quasi a voler mettere subito in chiaro il senso del tema. E poi l’unica volta che Giussani era venuto al Meeting, verso la metà degli anni ’80, fu proprio per un incontro su Libertà di Dio libertà dell’uomo, concluso con una frase divenuta per noi famosa, Vi auguro di non essere mai tranquilli. Un discorso che lo stesso Carrón ha citato a più riprese, a dimostrazione di come questo sia un tema centrale, una delle parole chiave della nostra esperienza».
Come Compagnia delle Opere, dice Capretti, «a noi interessa la libertà di costruire in qualunque condizione l’uomo viva, politica, sociale, familiare eccetera, e cardine di questa libertà di costruire è la sussidiarietà. Ciò premesso, i temi che la CdO ha sottolineato di più in questo Meeting sono stati due, l’innovazione come scommessa per uscire dal possibile declino della società italiana e la formazione e l’educazione intesa come cura del capitale umano».
Ma la politica che risposte può dare a queste attese? «Devo dire premette il vicepresidente della CdO toscana che la presenza politica al meeting di quest’anno è stata molto qualificata e segnata da un clima di effettiva amicizia e volontà di costruire insieme. Oltre all’incontro con Formigoni e Rutelli c’è stato anche quello, ugualmente significativo, dell’intergruppo sulla sussidiarietà: si è vista sicuramente una disponibilità a prendere certe questioni come cruciali dello sviluppo dell’Italia. Questioni che il Meeting afferma da sempre e su cui da poco, in qualche caso da ora, si registra finalmente un accordo, una disponibilità, una condivisione. Questa è la cosa importante, non tanto il discorso sulle prove di centro. Certo, il bipolarismo che c’è oggi in Italia va stretto se, come hanno detto anche gli stessi Formigoni e Rutelli, ci si scandalizza del fatto stesso che si discuta di certe cose tra esponenti di poli diversi in un incontro pubblico. Il fatto è che, come dice la CdO da qualche anno, dai problemi che abbiamo se ne esce solo se studiamo e promuoviamo in maniera comune delle soluzioni, non perdendosi in estenuanti battaglie di parte».
Natale Bazzanti , presidente del Banco Alimentare della Toscana, si sofferma anzitutto sulla bellezza delle mostre. «Ce n’erano una quindicina, una più bella dell’altra, da quella su Duccio, con un’ottima introduzione sulla Siena del suo tempo, ad altre che ci hanno fatto conoscere ad esempio una figura gigante della storia della Chiesa come San Carlo Borromeo o un’esperienza sconosciuta ma estremamente significativa di resistenza al nazismo come quella dei cattolici tedeschi della Rosa Bianca. Ma un’altra cosa che mi ha molto colpito è stato l’enorme numero di stand su iniziative sociali e caritative: un’infinità, sia nell’enorme padiglione della Compagnia delle Opere, sia al di fuori. Una realtà incredibile di un popolo che costruisce opere piccole e sterminate». Tra cui, naturalmente, c’era anche il Banco, citato da Formigoni, nell’incontro con Rutelli, come l’esperienza più eclatante e significativa di servizio pubblico non statale messa in piedi da Cl. Facendo emozionare, crediamo, non solo Natale ma tutti quelli che in qualche modo condividono ogni anno quest’ormai conosciutissima avventura di carità.
Tema del prossimo Meeting sarà una frase di don Giussani sulla ragione come «esigenza di infinito». Un’altra parola chiave nell’esperienza di Cl e un tema ugualmente capace di coinvolgere, come sempre, non solo i cattolici ma anche i credenti di altre fedi e gli stessi laici.
Carrón, in continuità di pensiero con il fondatore del movimento, don Luigi Giussani, ha aggiunto: «La libertà autentica è frutto dell’incontro personale con Dio» che dona «la forza di vivere la realtà che ci viene incontro come luogo di riconoscimento del mistero, senza restare incastrati dall’ingranaggio delle circostanze. Oggi è difficile trovare uomini che si avventurino in questo cammino: nonostante un desiderio enorme e diffuso di essere liberi, molti ne sono incapaci e si accontentano di una libertà solo formale». L’apertura del primo meeting senza «il Gius, l’uomo libero che ci ha insegnato con la sua vita e durante la sua malattia a vivere le circostanze come riconoscimento del Mistero, come figli», è stato un passaggio di gratitudine, speranza e impegno.
Poi Marcello Pera , presidente del Senato, ha inaugurato l’appuntamento riminese affermando che per superare l’attuale crisi morale dell’Occidente occorre una rinnovata presa di coscienza della propria appartenenza culturale: «La nostra storia è giudaico-cristiana e greco-romana. Scendiamo da tre colline: il Sinai, il Golgota e l’Acropoli. E abbiamo tre capitali: Gerusalemme, Atene e Roma. Chi rinnega queste origini perde la propria storia e la propria identità». Identità che, secondo Pera, è attaccata tanto dalla massiccia immigrazione, che «potrebbe farci diventare tutti meticci», quanto dal relativismo, «una cultura diffusa e rischiosa».
Per quanto riguarda il terrorismo occorre reagire «con la diplomazia, la politica, la cultura, i commerci, i negoziati, gli accordi. Offrendo rispetto e chiedendolo. Alla fine, se necessario, anche con la forza delle armi». Su alcuni punti dell’intervento di Pera è arrivata una garbata presa di distanza da parte di Cl e di altri relatori succedutisi alle tavole rotonde. Tra gli altri il cardinale Renato Raffaele Martino , presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, che ha precisato: «Ogni religione è strumento di pace. Giovanni Paolo II ha fatto di tutto per evitare la guerra contro l’Iraq e ciò dimostra che quella non era una guerra di religione».
Quanto agli immigrati, «dobbiamo considerarli non solo come forze produttive: dobbiamo rispettare la loro identità, cultura e religione. So che tutto questo implicherebbe un discorso di reciprocità, ma non possiamo metterci al livello di chi non fa esporre crocifissi o non vuole che si giri con una Bibbia». Ha aggiunto Giulio Andreotti : «Si commette un grave errore quando si equipara terrorismo e Islam. Molti terroristi non sono musulmani e molti musulmani non sono terroristi. Non capisco neanche cosa significhi che bisogna combattere questi fenomeni con le armi: con le armi si combatte uno Stato, non un popolo o una religione. E poi ci sono incoerenze: in molte zone la mattina si fanno manifestazioni contro gli immigrati e al pomeriggio se ne sfrutta la manodopera. Non è importante dirsi cristiani, sarebbe importante esserlo».