Italia
Summit sul clima, previsioni nere
Con quali premesse si apre il Summit?
“Si doveva iniziare a discutere su come proseguire il Protocollo di Kyoto dopo il 2012. Ma alcuni Paesi, tra cui gli Usa, vogliono affossarlo e chiedono di pensare ad uno strumento meno rigido. In questi giorni, la Gran Bretagna si è un po’ affiancata alla posizione americana: questo indebolisce la coalizione pro-Kyoto, ma soprattutto isola ulteriormente l’Unione europea, che è il soggetto politico più impegnato. All’inizio di quest’anno è entrata, infatti, in vigore una direttiva europea che dovrebbe portare, tra l’altro, alla fissazione del piano nazionale di ogni Paese sulle emissioni. Perciò il primo dato politico non è certo incoraggiante. Siccome le previsioni dicono che nel 2015 i Paesi in via di sviluppo raggiungeranno i Paesi industrializzati (in termini di emissione di gas serra), il Protocollo dovrà prevedere un loro coinvolgimento. Ma non mi pare che il clima politico internazionale sia particolarmente favorevole. Siamo in piena crisi economica, permane l’emergenza terrorismo – che offusca tutti gli altri problemi globali – e si evidenzia una scarsa coerenza del mondo della politica. Ma ricordiamo che non si può combattere la povertà senza combattere i cambiamenti climatici”.
La politica – e gli interessi economici di conseguenza – non si ferma nemmeno di fronte agli uragani e alle tante catastrofi naturali annunciate
“È vero che ci sono dei costi per attuare il Protocollo di Kyoto, ma i costi ci sono ugualmente per riparare i danni derivanti dagli eventi provocati dai cambiamenti climatici. Si stanno facendo poche azioni concrete. L’Unione europea, con la sua direttiva, è il contesto politico più avanzato, ma anche da noi si procede con una certa lentezza. Dobbiamo dare effettivamente gambe al Protocollo ed attuare l’obiettivo di ridurre le emissioni dell’8%”.
Ma non è una goccia nel mare il solo impegno dell’Europa?
“È chiaro che se si muove solo l’Europa il contributo alla riduzione dei gas serra non sarà significativo. Ma se non siamo noi i primi, difficilmente usciremo dal circolo vizioso in cui ci siamo inseriti. Dobbiamo cominciare a farci carico di questa riduzione, anche se può comportare dei costi economici. In realtà la prospettiva di nuove tecnologie può rappresentare un volano nel medio termine e, quindi, uno sviluppo a minore impatto ambientale. Anche promuovere nei Paesi del Sud del mondo dei processi di sviluppo fondati sulle nuove tecnologie può rafforzare la loro crescita economica, in un contesto di maggiore sostenibilità”.
Al Summit si dovrebbero decidere anche le sanzioni per chi viola le regole. C’è il rischio che non vengano prese in considerazione?
“Il grande limite del Protocollo è proprio quello di non aver previsto inizialmente nessun tipo di azioni di verifica. Ad oggi non abbiamo, nelle convenzioni internazionali, delle strutture chiamate alla verifica e al controllo. Questo dovrebbe essere il passo successivo e potrebbe essere un compito delle Nazioni Unite. Ma che si riesca a decidere le sanzioni mi sembra obiettivamente difficile”.
Tornando all’Europa, che vanta successi nel risanamento di acqua e aria, riciclaggio dei rifiuti, veicoli catalitici Sono dei reali passi in avanti?
“Sicuramente ci sono dei risultati positivi, ma se andiamo a guardare i singoli settori persistono i problemi. Le marmitte catalitiche, ad esempio. È vero che non ci sono più le vecchie marmitte, ma nel contempo sono aumentate le automobili. Perciò rimane una certa schizofrenia: si interviene con alcune politiche sull’aria, sui rifiuti e sulle acque ma non si riesce a dare un impianto organico generale alla politica di sviluppo dell’Unione europea, in modo che i temi ambientali entrino in maniera trasversale”.
L’Aea propone anche di introdurre tasse sull’inquinamento: servirebbero?
“Il meccanismo fiscale sarebbe importante per orientare i consumi, quindi potrebbe diventare uno strumento efficace per ridurre l’inquinamento. Il problema è che le tasse ambientali dovrebbero via via sostituire altri tipi di tassazioni, altrimenti, in un periodo di recessione economica, si rischia di scaricare solo sul consumatore e sui cittadini i costi dell’inquinamento e del degrado ambientale. Anche se la tassa riguardasse solo le imprese dovrebbe essere compensata da una riduzione del costo del lavoro per mantenere la competitività, altrimenti peggiorano dati economici. E in recessione le politiche ambientali sono le prime ad essere tagliate”.