Italia

Progetto culturale: i cattolici e il futuro del Paese

“Il cattolicesimo italiano che, a partire dal Convegno ecclesiale di Palermo, si è ben esercitato nel discernere i segni dei tempi, è ora chiamato a scrivere a due mani una pagina nuova nel futuro del Paese, usando l’alfabeto di tutti”. Lo ha detto LUIGI ALICI, presidente dell’Azione Cattolica Italiana, intervenendo al VII Forum del progetto culturale, svoltosi nei giorni scorsi, a Roma, sul tema: “Cattolicesimo italiano e futuro del Paese”. Se da una parte, ha spiegato il filosofo, i cattolici devono “impegnarsi ad onorare coerentemente il primato di Dio, continuando ad offrire attestazioni plausibili della sua trascendenza e del suo amore che si è reso visibile”, dall’altra, hanno il compito di “elaborare una testimonianza altrettanto alta e credibile in difesa della persona umana, e persino addurre prove inequivocabili della sua esistenza fragile e preziosa, che paradossalmente oggi rischia di diventare invisibile”. Di seguito, alcuni “spunti” dalle relazioni e dal dibattito che hanno fatto seguito alla relazione del card. Camillo Ruini. TANTE “MINI-PROLUSIONI”. L’auspicio che nel dibattito culturale del Paese “non continui ad affiorare esclusivamente l’autorevole esercizio di discernimento condotto dal presidente dei vescovi italiani, che nelle sue prolusioni dà voce al formarsi di un giudizio collegiale. Servono invece tante e tante mini-prolusioni. Non importa se scr itte: importa che segnalino processi di pensiero”. Ad esprimere questo “sogno” è stato DINO BOFFO, direttore del quotidiano “Avvenire”, che ha invitato i cattolici ad un esame di coscienza. “Francamente – ha detto – ammetto di riscontrare, proprio in merito alla capacità di osservare il mondo, uno dei nostri deficit più desolanti”. Occorre, invece, “avere una curiosità indomabile sul mondo e sull’uomo” che spinge a guardare la realtà “senza lenti oscuranti o appiattenti”, senza “presunzione e saccenteria, ma anche senza accondiscendere ad alcun complesso o soggezione”. “POPOLO DI DIO”. Dinanzi alla “novità” e alla “drammaticità” della nuova questione antropologica è necessario che le democrazie occidentali ripensino il loro “modo di rapportarsi alle tradizioni religiose e all’etica pubblica”. Ripensamento che riguarda anche “le stesse tradizioni religiose e dunque anche il cattolicesimo italiano”. È l’idea sostenuta da mons. GIANNI AMBROSIO, consulente del Servizio nazionale per il progetto culturale, secondo il quale oggi “occorrerebbe dare maggior risalto alla Chiesa come popolo di Dio. Sulla strada indicata dal Magistero, è l’intero popolo di Dio che deve far emergere l’intima connessione tra l’annuncio di Cristo e le esigenze spirituali, morali e culturali che il Magistero va enunciando”. UNA “RISORSA” CONTRO IL “DECLINO”. Una comunità capace di “ costruire ponti”, cioè di “creare comunione” come “antidoto alla solitudine, che è la malattia più grave di cui soffre la società occidentale”. È l’identikit del cattolicesimo italiano del futuro, tracciato da mons. BENIGNO PAPA, arcivescovo di Taranto e vicepresidente della Cei. “Promuovere una cultura della trascendenza”, in una cultura “malata” quale quella attuale, vuol dire – per mons. Papa – anzitutto “creare ponti tra la cultura individualistica occidentale e la cultura della comunità tipica del mondo islamico”. “Noi cristiani – ha detto il vescovo – abbiamo la capacità di mediare tra due culture agli antipodi”, così come quella di “costruire ponti tra Est ed Ovest, tra Nord e Sud del mondo, perché la carità cristiana diventi un contenuto della politica”.

“Nell’attuale fase di declino del Paese, i cattolici – ha sottolineato GIANCARLO CESANA, presidente della Compagnia delle Opere – possono costituire una risorsa importantissima”. Secondo Cesana, è urgente “investire sull’educazione”, da parte di “uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo”, come auspica il Papa.

IN POLITICA “PLURALISMO ORDINATO”. La “diaspora” e la “riduzione del cattolicesimo a religione civile”: sono questi i due “pericoli opposti” da evitare per il futuro, nei rapporti tra Chiesa e società. Lo ha detto mons. MICHELE PENNISI, vescovo di Piazza Armerina. Prendendo spunto da una frase di don Sturzo sulla presenza dei cattolici nella vita politica, mons. Pennisi l’ha attualizzata augurandosi nello scenario attuale “un pluralismo ordinato”, che – in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa e al di là dell’alternativa tra la “militanza” classica in un partito tradizionale o in schieramenti di maggioranza o opposizione – trovi “anche all’interno della comunità ecclesiale luog hi e forme di incontro e confronto” tra cattolici impegnati in questo ambito. “Rifondare la laicità”, a partire dalle sue “radici religiose”: è la proposta dello storico AGOSTINO GIOVAGNOLI, che ha auspicato “una riflessione più ampia sulla laicità e il ruolo da essa svolto nella costruzione storica della modernità”. Una sostanziale convergenzaUna “sostanziale convergenza” su due grandi temi centrali: il rapporto tra la Chiesa e la società civile e quello degli “assetti interni” tra le diverse componenti della comunità ecclesiale. A mettere l’accento sul “salto di qualità” ottenuto grazie a questa edizione del Forum del progetto culturale sono GIUSEPPE SAVAGNONE, docente di filosofia a Palermo e responsabile della pastorale della cultura in Sicilia, e la teologa INA SIVIGLIA: li abbiamo intervistati. Prof. Savagnone, questo Forum è stato un momento “corale”? “Sicuramente si è avvertita la fortissima esigenza di creare un concerto di voci all’interno della comunità ecclesiale. Rispetto alle passate edizioni, si è registrata una convergenza reale, meno astratta e teorica, e una sintonia di fondo su alcune esigenze obiettive, sia nei rapporti tra Chiesa e società civile, sia nelle articolazioni interne alla comunità ecclesiale. In sintonia, del resto, con quello che è lo spirito più autentico del progetto culturale, nato come grande luogo di confronto, come terreno comune che costruisce, nonostante le varie differenze di idee, e consente ai cattolici anche di dissentire tra di loro”. Da dove ripartire per il “cattolicesimo del futuro”? “In primo luogo dal rilanciare la sinodalità, come capacità di camminare insieme riuscendo a trovare luoghi, spazi, momenti di confronto, all’interno della comunità ecclesiale, che scongiurino il rischio del verticismo. La grande battaglia da combattere resta quella del discernimento culturale: se oggi i laici rimangono purtroppo latitanti in alcuni ambiti, è anche perché mancano sedi opportune in cui il laicato stesso possa maturare. Fermi restando l’autorità dei vescovi e i riferimenti essenziali alle Scritture e alla dottrina sociale della Chiesa, i laici devono acquistare la consapevolezza che possiedono un loro timbro di voce: molto più problematico rispetto a quello dei loro pastori, più aperto alla riflessione, al travaglio del momento presente, alle difficoltà tipiche dello stato laicale”. E all’esterno? Non c’è il rischio che la Chiesa venga percepita dalla gente come “un partito”? “Sicuramente il rischio c’è, e oggi è spesso proprio questa l’immagine che la gente ha della Chiesa. Certamente la Chiesa è una parte della società, un soggetto istituzionale, storico, in conflitto con altri soggetti. Guai a cancellare questa dimensione della Chiesa, essenziale anche nella prospett iva del Regno di Dio. Per il Concilio, però, come recita la Lumen Gentium, la Chiesa è il sacramento dell’unità del genere umano, cioè rappresenta tutta la dimensione umana nel mondo: non può ridursi, quindi, soltanto a un’istituzione tra le altre, con poteri o interessi legittimi, deve avere a cuore l’uomo in quanto tale, la persona in tutte le sue dimensioni. Grazie a questa cultura dell’umano, la Chiesa è capace di radunare il mondo intero, di qualunque fede o ideologia: lo stesso che si è inchinato di fronte a Giovanni Paolo II morente”. Professoressa Siviglia, quanto contano “educazione” e “formazione”? “Cammini formativi comuni e permanenti risultano fondamentali per dare più diritto di parola ai laici nella Chiesa, ma anche per creare circuiti comunitari su cui confrontarsi, da credenti, sui problemi del Paese. Nelle nostra parrocchie, ancora si fa pastorale per le masse, che garantisce anonimato alla folla di chi frequenta la Messa e mina così il percorso del progetto culturale. Affinché le parrocchie facciano un salto verso una pastorale personalizzata e personalizzante – in grado di formare le coscienze, far crescere il senso critico, stimolare la capacità di fornire un giudizio sulla realtà, assumendosi le responsabilità in maniera anche autonoma rispetto alle gerarchie – bisogna riscoprire l’anima popolare della Chiesa italiana: altrimenti una piccola élite di intellettuali non potrà mai portare fino in fondo il percorso iniziato con il progetto culturale”. C’è un ruolo specifico “al femminile”, in questo compito?“Finita ormai l’epoca delle rivendicazioni, credo sia giunto il momento della reciprocità: nel nostro Paese, invece, rispetto ad altri Paesi d’Europa c’è ancora un grande vuoto di presenza delle donne. Basti pensare alla sfera politica, dove la componente femminile è spesso solo un optional, come in altri ambienti intellettuali. Ci vuole, anche in questo ambito, un grande salto culturale, sia all’interno che all’esterno della comunità cristiana: le donne, come scriveva Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem, sono per eccellenza le custodi della cultura dell’umano. Che senza un’autentica reciprocità tra uomini e donne rischia di essere poco feconda”.a cura di M.Michela Nicolais

Il sito del Progetto culturale

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