Italia
«Codice Da Vinci», smascherare l’inganno
Non ha alcuna attendibilità storica. È il giudizio di Franco Cardini, docente di storia medievale all’Università di Firenze, su Il Codice da Vinci – il bestseller di Dan Brown – da cui è stato tratto il film omonimo. La pellicola aprirà la 59ª edizione del Festival di Cannes (17-28 maggio) e il 19 maggio uscirà in tutto il mondo. Tre i protagonisti: Ron Howard in regia, Tom Hanks nei panni del professore Robert Langdon, Audrey Tatou in quelli della crittografa Sophie Neveu. A pochi giorni dall’uscita nei cinema del film di Howard, LA RIVISTA DEL CINEMATOGRAFO (n.5/2006, in questi giorni in edicola; www.cinematografo.it), mensile dell’Ente delle Spettacolo, ha intervistato FRANCO CARDINI, con l’intento di decrittare Il Codice da Vinci. Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista.
Sono sostenibili storicamente le tesi prospettate da Il Codice da Vinci di Dan Brown e ora trasposte nel film omonimo di Ron Howard?
Non vi è alcun rapporto con la realtà storica. L’Opus Dei, di cui parla Dan Brown, è inesistente. I documenti storici che presenta, come quelli riguardanti il cosiddetto Priorato di Sion, sono falsi acclarati da almeno trent’anni. La confusione, che Brown fa tra i manoscritti ritrovati nell’oasi egiziana di Nag Hammadi, che sono testi gnostici, e quelli trovati a Qumran sul Mar Morto, che sono testi essenici, non può legittimarsi in una ricostruzione fanta-storica. Certi dati vanno rispettati, altrimenti anche il divertissement semi-storico cade.
Dove ha sbagliato Dan Brown?
Dan Brown è responsabile di due gravi colpe. Primo, aver infranto le regole della pseudo-storia che prevedono l’inserimento dell’invenzione in una realtà storica verosimile e accuratamente ricostruita. La seconda, pesantissima, colpa è l’aver sostenuto in una pagina introduttiva ancora presente nelle edizioni in lingua inglese, mentre in Italia Mondadori l’ha stralciata che Il Codice è basato su documenti storici.
Questa non veridicità storica è percepita dal lettore/spettatore o queste tesi vengono assorbite inconsciamente?
Il problema fondamentale non sono le tesi di Dan Brown, ma la debolezza culturale e intellettuale della nostra società. E da questo punto di vista si può fare molto poco. Un’incompetenza diffusa per cui nessuno ha rilevato il plagio che Dan Brown ha fatto del Santo Graal di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, del Mistero del sacro Graal di Graham Hancock e di altra cattiva letteratura tutta diventata bestseller.
Il Codice può essere considerato un’opera programmaticamente anti-cattolica?
Non penso che sia anti-cattolico tout court, ma che con qualche furbizia Dan Brown si sia inserito in un filone letterario esoterico-scandalistico e nel contesto politico post-11 settembre, in cui le relazioni tra gli Usa neo-con di George W.Bush e la Santa Sede erano molto deteriorate. In questo momento storico esce Il Codice da Vinci che, in primis, colpisce una delle istituzioni cattoliche notoriamente più care a Giovanni Paolo II, l’Opus Dei, e poi riprende in chiave femminista new age il discorso sulla religione primitiva, pacifica, legata all’autocrazia delle donne. Un’operazione – non notata da alcuno – che Brown fa coscientemente, riferendosi senza citarla alla fondatrice del femminismo antropologico Margaret Alice Murray, egittologa, famosa per il pamphlet pseudo-antropologico Il dio delle streghe.
Egittologo è pure Robert Langdon (Tom Hanks), il protagonista del film.
Ebbene, Langdon – e qui mi irrita la miseria culturale del lettore per spiegare il rapporto fra il principio femminile e quello maschile nella cultura egizia antica ricorre allo ying e allo yang, come la ragazzina che vende essenze di fronte a casa mia. L’anglista Dan Brown non ha la cultura di Umberto Eco, che inserisce nel Nome della rosa riferimenti culturali vastissimi e nondimeno scala le classifiche di vendita internazionali. Dan Brown non ce la fa, ma sa che la cultura dell’erborista è molto diffusa: da qui lo ying e lo yiang.
Furbizia a supplire una carenza culturale, dunque?
Per parlare del potere delle madri Brown non scomoda Bachofen, ma prende il bestseller della Murray, che è la bibbia di un femminismo chic molto anti-cattolico. E lo fa nel momento in cui Bush ha il consenso più vasto, immaginando l’Opus Dei quale sorta di Spectre. Il successo del Codice è di matrice politica: mi meraviglio che non sia stato percepito.
In questo scenario quali effetti sortirà la trasposizione di Ron Howard?